Si chiude con i fratelli Cavalera l'anno
concertistico 2017. Si chiude anche un cerchio che simbolicamente
abbraccia l'intera epopea del metal classico.
Avevamo inaugurato l'anno concertistico laddove tutto era
iniziato: con i Black Sabbath. E con Iommi e compagni celebrammo la fine: il The End Tour, il tour d'addio (ma sarà poi il
vero addio?) della band che creò l'heavy metal. In un complicato giochi di
specchi, oggi riscopriamo le radici ("Roots")
di artisti che hanno segnato come pochi altri la fine di un'era (quella del
metal classico) e gettato le premesse per qualcosa di nuovo (il nu-metal e
tutto quello ne sarebbe conseguito, soprattutto a livello culturale e
sociologico). Parlo ovviamente dei Sepultura
degli anni novanta, qui degnamente rappresentati dal loro nocciolo essenziale,
ossia voce/chitarra e batteria.
Attenzione, però, stasera
avremo l'onore di vedere sul palco anche gli Insomnium (melodic death metal dalla Finlandia) e i sempre verdi
(in tutti i sensi) Overkill:
insomma, di argomenti di cui sparlare
ne abbiamo anche questa volta!
Esordisco dicendo che nella
serata di martedì 12 dicembre si è consumato quello che io orgogliosamente
definisco il mio capolavoro londinese. Nemmeno mezz'ora prima che le vibranti
note metalliche del Kentish
Town Forum mi avvolgessero, mi trovavo in vesti orribilmente formali nel
bel mezzo del Christmas Party della
mia azienda. E vi assicuro che in Inghilterra la festa di Natale aziendale è
roba seria: abiti da sera, papillon,
qualcuno persino in frac tanto per
intenderci. Non è il mio caso, ovviamente, ma insomma, quanto ad eleganza
facevo la mia porca figura. Rassegnato a trascorrere una serata fra caminetti
crepitanti, quadri d'epoca, pianoforti a coda e camerieri con vassoi stracolmi
di tartine e calici di vino, ad un certo punto del tardo pomeriggio (si
trincava dalle quattro...) come mosso da una insopprimibile forza interiore,
incapace di resistere al richiamo del metal, mi son detto: "Affanculo, affanculo tutti!". E
come un Cenerentolo pieno di prosecco
e vino rosso mi sono dileguato senza salutare nessuno per fiondarmi nel gelo
londinese, attraversare la città a denti stretti e gettarmi nelle forti braccia
dei fratelli Cavalera! (Prospettiva che accarezzavo segretamente per tutto il
giorno, senza mai decidermi veramente.)
Arrivo tutto trafelato nel bel
mezzo dell'esibizione degli Insomnium
e l'accoglienza non poteva essere migliore. Intanto sono sollevato per essere
arrivato in tempo, anzi, in netto anticipo rispetto a quanto preventivato. I
finnici poi fanno il resto, "scaldandomi" con le loro note di cuore:
melodie nordiche mischiate alla freschezza di un sound che sembra appartenere ad una band di ultima generazione. I
Nostri, in realtà, non sono affatto dei novellini visto che debuttavano
discograficamente nell'oramai lontano 2002 e che oggi possono vantare un
portfolio di ben otto album.
Con le mie categorie "da
vecchio" essi mi paiono un mix ben calibrato di Children of Bodom, Amorphis
e primi Sentenced, rispecchiando in
pieno umori e stilemi della loro terra natia (sebbene la loro proposta poggi
fermamente sulla sacra triade del melo-death
svedese At the Gates/Dark
Tranquillity/In Flames). Sonorità che oggigiorno non mi entusiasmano più di
tanto, ma che stasera trovo bellissime: i brani (che non conoscevo) hanno un
bel tiro melodico e risultano di facile presa, irruviditi dai suoni un po'
rimbombanti del Kentish Town Forum, locale assai ampio e confortevole. Non so perché ma intimamente sento che sarà una grande serata.
Tutto gira come si deve, la
musica, la gente ed il meglio deve ancora venire. E' la volta degli Overkill e saranno gioie dalle prime
note. "Mean, Green, Killing Machine",
opener dell'ultimo "The Grinding Wheel", è francamente
un gran bel pezzo. Bobby "Blitz" Ellsworth è semplicemente Bobby "Blitz" Ellsworth: fisico
asciutto, cesto di capelli imponente, tipico piede sull'amplificatore ed una
voce che tira giù il soffitto. La band è in palla stasera e mi pare persino
meglio di quando la vidi circa quindici anni fa, perché oggi i suoni sono
migliori e le due chitarre danno una marcia in più al thrash granitico dei Nostri: un susseguirsi senza pietà di ritmiche
serrate, assoli al fulmicotone e strilli laceranti.
Ma sono io ad essere diverso:
stasera sento il calore, ogni cosa è vera, sembra che tutto sia possibile, che
tutto possa accadere, mentre solo pochi giorni fa con My Propane, Scar Simmetry
e Vuur tutto appariva noioso,
scontato, prevedibile. E' il fascino della Vecchia
Scuola, di quelle band che, se forse in studio dopo tanti anni di onorata
carriera si mostrano pigre, quando montano sul palco sfoderano gli artigli e
danno davvero il massimo.
L'anthemica "In Union We
Stand" (miglior momento della serata, con la sua lunga introduzione di
batteria per presentare il nuovo ingresso dietro alle pelli Jason Bittner - una macchina
infernale), "Elimination",
"Hello from the Gutter"
sono i pezzi forti di una scaletta giocoforza essenziale di nemmeno dieci brani
pescati da una discografia di quasi venti album. Ovviamente c'è anche il mestiere: ce lo vedo Bobby Blitz ogni fottuta sera a ripetere le stesse frasi cambiando i
nomi delle località di volta in volta visitate. E chissà quante volte Bobby
Blitz avrà incitato il pubblico gridando "We don't care what you say"
ricevendo come risposta "Fuck You!":
è l'inevitabile siparietto che deve essere obbligatoriamente consumato al
termine di ogni concerto degli Overkill che si rispetti, eppure la gente
reagisce con entusiasmo alzando fieramente il dito medio. E’ il bello della Vecchia
Scuola: possedere certezze e trasmettere
sicurezze. In questo gli Overkill sono quasi commoventi e mi dispiace quasi
averli spregiati nella rubrica "Legno".
Eccoci ai fratelli Cavalera. Ammetto che, data l'eccitazione della situazione
complessiva, se anche Gigi D'Alessio si fosse presentato sul palco, l’avrei
comunque accolto con gioia. Potrete quindi intuire la mia esaltanzione quando
hanno fatto irruzione le note di "Roots
Bloody Roots": adoro queste serate in crescendo.
I suoni sono confusi e
rimbombanti, ed io stesso avrei potuto cantare meglio di Max Cavalera: in verità si capisce poco in generale, ma sono
consapevole che mi sto apprestando a vivere un'esperienza a tutto tondo dove la
musica è solo un ingrediente di contorno.
Avendo consultato le scalette
delle date precedenti, letto qualche live-report
in rete e persino visionato l'intera esibizione della band a Wacken quest'estate, so per filo e per
segno quello che succederà stasera: l'intera riproposizione di "Roots" e poi una manciata di bis discutibili,
ossia "Excruciating" (tratta dall'ultima release dei Cavalera
Cospiracy), una cover dei Motorhead (a scelta fra "Orgasmatron" ed "Ace of Spades") ed una versione velocizzata
della stessa "Roots Bloody Roots".
Tuttavia la forza dirompente del carisma di Max Cavalera è un qualcosa che va vissuto direttamente per essere veramente capito.
E il punto sta tutto qui:
l'energia, l'alchimia speciale che si è creata fra musicisti, pubblico e queste
note. La gente salta, canta, grida, ride, poga, vola: vedo piedi per aria, ragazze trasportate da un capo all'altro della platea, energumeni
a petto nudo che si abbracciano commossi, corpi per terra, coppie che si baciano, è come
se la musica dei Nostri creasse una connessione sotterranea in grado di
sprigionare un'energia primordiale presente in ognuno di noi, catalizzarla ed elevarla a
qualcosa che junganiamente potremmo
definire collettivo. Da ricordare che, in tutto questo, io sono ancora vestito
da Christmas Party, ma la gente
sembra non curarsi di questa mia eleganza fuori luogo, anzi, sembra apprezzarla
in quanto simpatica diversità, ispirata dal rispetto che la mia anzianità
suscita innanzi ai più giovani.
L'atmosfera, nonostante la
brutalità, è più vicina a quanto potrebbe succedere ad un concerto di Jovanotti durante la riproposizione de
"L'Ombelico del Mondo", o
ad un dj-set sulla spiaggia in Salento,
con Max nelle vesti di rasta-guru più
interessato ad incitare il suo pubblico che a cantare e suonare. Gli altri,
sospinti dai colpi implacabili di Igor
(degna di nota la sua performance
dietro alle pelli), fanno la loro parte, rendendo ancora più disconnesso e
dissonante il materiale di "Roots".
Nonostante in gioventù abbia
ascoltato svariate volte quell'album, devo ammettere di non essere mai riuscito
a memorizzare i brani dopo il quarto. "Roots Bloody Roots", "Attitude", "Cut-Throat"
e "Ratamahatta" sono dunque
gli unici episodi che seguo con un certo interesse filologico; successivamente
subirò l'evento come se si trattasse di una installazione di arte
contemporanea.
Qualcosa dal marasma comunque
emerge: il riff di "Iron Man" gettato nella mischia, il ritornello apocalittico di "Born Stubborn" e il lungo
intermezzo percussivo che vede tutti i componenti della band dietro ai tamburi,
con Jason Bittner degli Overkill a dare una mano. Un bel
momento di tregua, quest’ultimo, in cui torna quell'atmosfera stranamente salentina in cui la gente batte le mani,
balla, manca poco inizia a fare la capoeira.
La sequenza finale composta dal poker "Dictatorshit", "Excruciating" (una fucilata senza compromessi con il riff di "Walk"
nel finale per celebrare la memoria di Dimebag
Darrell), "Ace of Spades"
e il reprise al fulmicotone di "Roots Bloody Roots" è a dir poco micidiale. Forse è questa la fase più genuina ed esaltante della serata: qui i
brasiliani sembrano riscoprire le loro vere radici (non quelle delle tribù
delle foreste dell'Amazzonia) fatte di punk,
hardcore e thrash metal primordiale, tornando quasi a quella furiosa forma di proto-death che era contenuta in lavori
come “Bestial Devastation” e “Morbid Visions”.
Insomma, tira aria di
irruenza, di Dead Kennedys e Discharge. Per questo capisco finalmente
perché i Nostri non ripropongono più i classici di "Beneath the Remains" ed "Arise": perché non sono più interessati ad un approccio
tecnico alla loro musica e comunque non sarebbero più in grado di eseguire quei brani aderendo con fedeltà alle versioni originali, tanto più che sembra di trovarsi ad un centro sociale di periferia ad
assistere all'esibizione di un gruppo di balordi e non di coloro che
furono l'anima di una delle band più rappresentative del metal estremo, prima,
e del metal degli anni novanta, dopo.
Compreso questo arcano,
apprezzo anche di più la furia selvaggia
di questo ultimo scorcio di concerto, dove i freni inibitori di musicisti e
pubblico vengono recisi definitivamente nella velocità, nelle grida belluine,
in un'orgia di suoni e di corpi che si compenetrano senza risparmiarsi.
Francamente parlando ho visto
poche volte un delirio del genere ad
un concerto: i fratelloni Cavalera forse non suoneranno più heavy metal, ma ancora oggi spaccano il culo come pochi altri.
Nonostante
tutto, dei grandi.