Ci sono due cose che all’Italiano Medio non dovete toccare.
La Nazionale di calcio e il Festival di Sanremo.
Sin da bambini gli appuntamenti
con la Maglia Azzurra e col Palco dell’Ariston, volenti o nolenti, ci vengono
instillati assieme alle pappette dello svezzamento. Ed entrano a far parte sia
del nostro immaginario personale che della nostra identità nazionale.
Da buon italiano medio, appunto, non mi perdo le partite dell’Italia trasmesse da Mamma Rai (non oso immaginare la rivoluzione popolare che ci sarebbe se i diritti tv degli Azzurri venissero ceduti alle pay-per-view).
Da buon italiano medio, appunto, non mi perdo le partite dell’Italia trasmesse da Mamma Rai (non oso immaginare la rivoluzione popolare che ci sarebbe se i diritti tv degli Azzurri venissero ceduti alle pay-per-view).
Su Sanremo ovviamente è diverso. Fino all’adolescenza ero uso, in famiglia, guardicchiare la prima parte di
tutte le serate fino all’ora di andare a dormire. Sapete com’è…la curiosità di
vedere il nuovo presentatore, la nuova valletta, la nuova scenografia…e cazzate
del genere.
Talmente “cazzate” che in età
adulta, sporadicamente, mi capita ancora di fare così…lasciare acceso su Rai1,
magari solo la prima serata. Senza neppure soffermarmici. Lasciando la tv in
sottofondo, giusto quell’oretta dopo cena, mentre si rassetta la cucina e/o si stendono i panni appena usciti dalla lavatrice.
Ed è così che martedi 05
febbraio, prima serata del Festival 2019, mi soffermo esattamente nel momento
in cui vengono annunciati gli Zen Circus,
introdotti da Claudio Bisio e Virginia Raffaele come gruppo toscano di
punk/indie rock attivo già da 25 anni ma che io, ignorantemente, non avevo mai
sentito. E mi incuriosisco.
Il gruppo entra in scena e già mi
fa ben sperare il look del batterista, Gian Paolo Cuccuru: barba e capelli
lunghissimi, canotta nera e phisique du role da heavy metal drummer. Ma l’aspettativa
di ascoltare un pezzo davvero “pesante” al festival (cosa che, ahimè, “L’amore
è una dittatura” non si rivelerà neppur lontanamente) sale nel momento in cui
la telecamera inquadra il loro direttore d’orchestra, tal Carlo Carcano. A posteriori scopro che il Maestro, comasco classe
’70, pare essere tra i più seguiti e quotati musicisti “colti” d’Italia, visto
che il suo background spazia dalla musica classica all’elettronica; da quella
teatrale a quella sinfonica; da musica per sola voce fino a sonorità più
oscure…
Non disdegna il Nostro neppure il
rock e, supponiamo, anche il Metal, posto che ha avuto l’ardire di presentarsi
a Sanremo, patria della più facilona musica pop, con una maglietta di “Master
of Puppets”. Certo, sotto la giacca istituzionale, ma le celebri file di croci
bianche, con l’apocalittico cielo rosso sullo sfondo, erano ben visibili. Così
com’era ben visibile il logo dei Metallica e parte del titolo del capolavoro di
Hetfield&co.
Sanremo da anni sta cercando di
stare al passo coi tempi. Sempre meno i vecchi carneadi/interpreti della musica
leggera italiana. Sempre di più le presenze di rapper, trapper, band rock,
reggae, funk, elettronica, ecc. Per carità, sempre senza troppo disturbare le orecchie del
morigerato pubblico sanremese. E se il brano più rockeggiante della kermesse è
stato quello di una ragazzina di 69 anni a nome Loredana Bertè, beh…qualche
domanda bisognerebbe porsela.
Ma qualcosa di nuovo, seppur di
qualitativamente infimo, si è sentito da "La terra dei cachi" di Elio in poi. Soprattutto nei testi, sempre meno
d’amore e sempre più “impegnati” socialmente. Non ci sorprende minimamente
quindi il fatto che in questo 2019 a trionfare sia stato un brano pop-rap
(“Soldi” di Mahmood; davvero orrendo, peraltro): roba impensabile per Sanremo
almeno fino a inizio anni 2000.
Ma torniamo a noi.
Considerazioni in ordine sparso
su Carcano e la sua maglietta: le sensazioni sono state ambivalenti. Da un lato
il piacere istintivo di veder "violato" il Festival da un iconico disco, decisivo
per ogni metallaro esistente sulla faccia del pianeta. Dall’altro, una
sensazione di fastidio dettata dal pensiero Ehi, non scherziamo…che cazzo, MOP
e Sanremo devono rimanere cose ben separate e distinte!
Si sono quindi manifestate
assieme da un lato un’emozione di pancia nel riconoscere, inaspettatamente, un
totem dell'estremo all’interno di una manifestazione-totem ai suoi antipodi;
dall’altra l’atavico senso di snobismo e autoreferenzialità del metallaro che non
vuole (im)mischiarsi con la musica nazional-popolare.
Attenzione, non siamo di fronte a
un caso shockante, seppur ragionato da un punto di vista del marketing, come
quello trattato tempo fa dal nostro Blog relativamente alla maglietta degli Slayer in un negozio di H&M. E questo perché i Metallica ormai da un ventennio
sono mainstream e piacciono trasversalmente. Così come MOP è ormai “sdoganato”
persino dalla pessima classifica di Rolling Stones dei 500 migliori dischi di
tutti i tempi (pos. 167).
Però è anche vero che quei Metallica del 1986, seppur già sotto egida di una Major, erano ancora i ragazzi portabandiera del thrash, e quindi della musica più violenta allora in circolazione. E probabilmente questo post non sarebbe neppure nato se Carcano avesse, ad esempio, indossato la maglietta del Black Album o di “Load”.
Ma tant'è...prendiamo nota dell'accaduto e facciamo, al netto di tutte le nostre considerazioni e senza dietrologie sterili, i complimenti a Carcano e al suo ardire.
A cura di Morningrise
Però è anche vero che quei Metallica del 1986, seppur già sotto egida di una Major, erano ancora i ragazzi portabandiera del thrash, e quindi della musica più violenta allora in circolazione. E probabilmente questo post non sarebbe neppure nato se Carcano avesse, ad esempio, indossato la maglietta del Black Album o di “Load”.
Ma tant'è...prendiamo nota dell'accaduto e facciamo, al netto di tutte le nostre considerazioni e senza dietrologie sterili, i complimenti a Carcano e al suo ardire.
A cura di Morningrise