"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

14 feb 2019

SDOGANAMENTI - I METALLICA SUL PALCO DI SANREMO



Ci sono due cose che all’Italiano Medio non dovete toccare. La Nazionale di calcio e il Festival di Sanremo.

Sin da bambini gli appuntamenti con la Maglia Azzurra e col Palco dell’Ariston, volenti o nolenti, ci vengono instillati assieme alle pappette dello svezzamento. Ed entrano a far parte sia del nostro immaginario personale che della nostra identità nazionale.


Da buon italiano medio, appunto, non mi perdo le partite dell’Italia trasmesse da Mamma Rai (non oso immaginare la rivoluzione popolare che ci sarebbe se i diritti tv degli Azzurri venissero ceduti alle pay-per-view).

Su Sanremo ovviamente è diverso. Fino all’adolescenza ero uso, in famiglia, guardicchiare la prima parte di tutte le serate fino all’ora di andare a dormire. Sapete com’è…la curiosità di vedere il nuovo presentatore, la nuova valletta, la nuova scenografia…e cazzate del genere.

Talmente “cazzate” che in età adulta, sporadicamente, mi capita ancora di fare così…lasciare acceso su Rai1, magari solo la prima serata. Senza neppure soffermarmici. Lasciando la tv in sottofondo, giusto quell’oretta dopo cena, mentre si rassetta la cucina e/o si stendono i panni appena usciti dalla lavatrice.

Ed è così che martedi 05 febbraio, prima serata del Festival 2019, mi soffermo esattamente nel momento in cui vengono annunciati gli Zen Circus, introdotti da Claudio Bisio e Virginia Raffaele come gruppo toscano di punk/indie rock attivo già da 25 anni ma che io, ignorantemente, non avevo mai sentito. E mi incuriosisco.

Il gruppo entra in scena e già mi fa ben sperare il look del batterista, Gian Paolo Cuccuru: barba e capelli lunghissimi, canotta nera e phisique du role da heavy metal drummer. Ma l’aspettativa di ascoltare un pezzo davvero “pesante” al festival (cosa che, ahimè, “L’amore è una dittatura” non si rivelerà neppur lontanamente) sale nel momento in cui la telecamera inquadra il loro direttore d’orchestra, tal Carlo Carcano. A posteriori scopro che il Maestro, comasco classe ’70, pare essere tra i più seguiti e quotati musicisti “colti” d’Italia, visto che il suo background spazia dalla musica classica all’elettronica; da quella teatrale a quella sinfonica; da musica per sola voce fino a sonorità più oscure…
Non disdegna il Nostro neppure il rock e, supponiamo, anche il Metal, posto che ha avuto l’ardire di presentarsi a Sanremo, patria della più facilona musica pop, con una maglietta di “Master of Puppets”. Certo, sotto la giacca istituzionale, ma le celebri file di croci bianche, con l’apocalittico cielo rosso sullo sfondo, erano ben visibili. Così com’era ben visibile il logo dei Metallica e parte del titolo del capolavoro di Hetfield&co.

Sanremo da anni sta cercando di stare al passo coi tempi. Sempre meno i vecchi carneadi/interpreti della musica leggera italiana. Sempre di più le presenze di rapper, trapper, band rock, reggae, funk, elettronica, ecc. Per carità, sempre senza troppo disturbare le orecchie del morigerato pubblico sanremese. E se il brano più rockeggiante della kermesse è stato quello di una ragazzina di 69 anni a nome Loredana Bertè, beh…qualche domanda bisognerebbe porsela.
Ma qualcosa di nuovo, seppur di qualitativamente infimo, si è sentito da "La terra dei cachi" di Elio in poi. Soprattutto nei testi, sempre meno d’amore e sempre più “impegnati” socialmente. Non ci sorprende minimamente quindi il fatto che in questo 2019 a trionfare sia stato un brano pop-rap (“Soldi” di Mahmood; davvero orrendo, peraltro): roba impensabile per Sanremo almeno fino a inizio anni 2000.

Ma torniamo a noi.

Considerazioni in ordine sparso su Carcano e la sua maglietta: le sensazioni sono state ambivalenti. Da un lato il piacere istintivo di veder "violato" il Festival da un iconico disco, decisivo per ogni metallaro esistente sulla faccia del pianeta. Dall’altro, una sensazione di fastidio dettata dal pensiero Ehi, non scherziamo…che cazzo, MOP e Sanremo devono rimanere cose ben separate e distinte!
Si sono quindi manifestate assieme da un lato un’emozione di pancia nel riconoscere, inaspettatamente, un totem dell'estremo all’interno di una manifestazione-totem ai suoi antipodi; dall’altra l’atavico senso di snobismo e autoreferenzialità del metallaro che non vuole (im)mischiarsi con la musica nazional-popolare.

Attenzione, non siamo di fronte a un caso shockante, seppur ragionato da un punto di vista del marketing, come quello trattato tempo fa dal nostro Blog relativamente alla maglietta degli Slayer in un negozio di H&M. E questo perché i Metallica ormai da un ventennio sono mainstream e piacciono trasversalmente. Così come MOP è ormai “sdoganato” persino dalla pessima classifica di Rolling Stones dei 500 migliori dischi di tutti i tempi (pos. 167).
Però è anche vero che quei Metallica del 1986, seppur già sotto egida di una Major, erano ancora i ragazzi portabandiera del thrash, e quindi della musica più violenta allora in circolazione. E probabilmente questo post non sarebbe neppure nato se Carcano avesse, ad esempio, indossato la maglietta del Black Album o di “Load”.

Ma tant'è...prendiamo nota dell'accaduto e facciamo, al netto di tutte le nostre considerazioni e senza dietrologie sterili, i complimenti a Carcano e al suo ardire.

A cura di Morningrise