"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

18 feb 2019

I DIECI MIGLIORI RIFF DI CHITARRA DEL METAL


Se nell’anteprima ci siamo dilettati a ripercorrere l’evoluzione del riff di chitarra nella storia del rock, adesso è il momento di fare sul serio. La celebre “Back in Black” degli AC/DC, che abbiamo appena citato nella classifica dei dieci migliori riff di chitarra del rock, costituisce un primo avvicinamento a sonorità veramente dure, ma concettualmente non ancora metal. 

I Motorhead di "Ace of Spades" (tanto per dirne una), gli Accept di "Balls to the Wall", gli Scorpions di “Rock You like a Hurricane” progrediranno nel processo di indurimento dei suoni, rasentando il metal vero e proprio, ma il legame con il rock è sempre evidente, quando invece il nostro compito è quello di analizzare come stilisticamente il metal sia stato in grado di sviluppare in modo autonomo il concetto di riff di chitarra. Andiamo dunque a vedere quelli che sono, secondo noi, i migliori dieci riff del metal

10) “Du Hast” (Rammstein, 1997) 
Ok, possiamo comprendere che partire con i Rammstein a molti potrà sembrare una eresia, ma la forza trascinatrice del riff portante di “Du Hast” non si può negare (intro discotecaro permettendo). E’ proprio vero che a volte basta poco e in un riff semplicissimo (peraltro copiato ai Ministry di “Just One Fix”) i tedeschi trovano il successo planetario. Certo, di riff ve ne sono più geniali e meglio concepiti nell'universo metal, ma se ancora oggi, a più di venti anni di distanza, il brano spopola nelle rockoteche di tutto il mondo, e tenere la testa ferma è impossibile quando lo si ascolta, ci sarà motivo. 

E giusto per aggiungere altre empietà, sappia il metallaro purista che il riff spacca-culo non è prerogativa del metal classico, basti pensare a “Killing in the Name Of” e “Bulls on Parade” dei Rage Against the Machine, animate dalla miscela incendiaria di chitarra/basso/batteria che solo un trio con le palle cubiche come Morello/Commerford/Wilk fra crossover, funky e furia hendrixiana, poteva garantire. Nell’elenco delle blasfemie inserirei inoltre "In the Meantime” degli Helmet e (eresia delle eresie!) “The Beautiful People” di Marylin Manson (fraseggio elementare, ma capace di caratterizzare i connotati di molto industrial-rock a venire). 

9) “Deathcrush” (Mayhem, 1987) 
Torniamo a noi e ristabiliamo gli equilibri con Euronymous, colui che darà il la al True Norwegian Black Metal e che, più di ogni altro, contribuirà a configurare i contorni del black metal così come oggi lo conosciamo. Dal canzoniere dei leggendari Mayhem, tuttavia, non andremo a pescare i classici del seminale “De Mysteriis dom Sathanas” (fucina di riff veramente innovativi), bensì la dilaniante title-track dell’EP “Deathcrush”, quando ancora i norvegesi si dilettavano in una forma di extreme-metal difficile da inquadrare. Il riff in questione (quello iniziale per intenderci) è il frutto perverso dell'estremizzazione/brutalizzazione delle intuizioni oscure di Black Sabbath, Mercyful Fate e Bathory: uno di quei riff che, ascoltati una sola volta, ti si stampa nel cervello e ti ritrovi a cantare per tutto il resto della vita. 

8) “Hall of the Mountain King” (Savatage, 1987) 
Non potevamo in questa nostra rassegna trascurare un nome come quello di Criss Oliva, a parere di chi scrive uno dei migliori chitarristi di sempre dell’empireo metal. Dal repertorio ricco di prelibatezze dei Savatage peschiamo la sulfurea title-track di “Hall of the Mountain King”, trasportata da un riff appuntito quanto granitico, intramezzato da fughe solistiche che esprimono classe, dinamismo e virtuosismo ad ogni passo: caratteri fondanti dell’arte di questo musicista che ci ha abbandonato troppo presto (R.I.P.). 

7) “Breaking the Law” (Judas Priest, 1980) 
Partiamo dalla doverosa premessa che non è detto che le band storiche del metal classico abbiano necessariamente scritto riff memorabili. Una coppia di asce come Glenn Tipton e K.K. Downing ha letteralmente inventato un linguaggio (quello dell’heavy metal), ma si parla principalmente di linee melodiche, prodezze solistiche, armonizzazioni ed intrecci chitarristici, laddove le ritmiche vere e proprie venivano ereditate, senza troppe variazioni, dall’universo hard-rock. Per questo motivo, nella infinita lista dei classici immortali firmati dai Judas Priest, non è stato semplice scovare un riff che rispondesse alle nostre esigenze. Il passo sabbathiano di "Victim of Changes" (che spalancherà le porte agli Slayer)? Il furente cavalcare di "Exciter"? La graffiante "Painkiller"? Alla fine la scelta è ricaduta sul mitico riff di “Breaking the Law” che, forte di un tema melodico che può essere facilmente cantato in coro da stadi interi, rappresenta uno dei migliori esempi in cui, a livello di riffing, il metal ha saputo dire qualcosa di peculiare e nettamente diverso da quanto professato dall'hard rock. Il riff, con i Judas, si è fatto anthemico alla stregua di un ritornello! 

6) “Fear of the Dark” (Iron Maiden, 1992) 
Il discorso è lo stesso di quello fatto nel paragrafo precedente: gli Iron Maiden come i Judas Priest sono stati dei grandi innovatori e a loro si deve gran parte degli sforzi volti a dare una identità autonoma all'heavy metal. Ma a livello di ritmiche molto era già stato detto prima di loro da Led Zeppelin, Deep Purple e Black Sabbath. Gli Iron hanno semmai forgiato un approccio melodico che diverrà presto patrimonio condiviso del genere. Prendete gli incipit di "Run to the Hills" o di "Aces High", o le melodie cavalcanti di "The Trooper": heavy metal fumante al 100% come mai era stato espresso in precedenza, ma nella nostra rassegna abbiamo voluto concentrarci sulla frase musicale a livello ritmico. Per andare sul sicuro e fugare ogni dubbio, abbiamo optato quindi per un momento iconico del metal tutto, ossia lo scoppio delle chitarre dopo l'introduzione arpeggiata di "Fear of the Dark". Dalla penna di Steve Harris (autore del brano) e dalle mani di Dave Murray e Jenick Jers, con un grande Nicko McBrain a dettare i tempi, scaturisce quel mitico motivo ronzante che puntualmente causerà ossa rotte durante le incredibili esibizioni dal vivo della Vergine. L’attacco vocale di Bruce Dickinson aggiungerà gloria alla gloria, ma questa è un’altra storia… 

5) “Walk” (Pantera, 1992) 
Eccoci dunque alla top-five, che sarà dominata principalmente dal thrash metal. Non se la prendano i i puristi del metal classico, ma il vero regno del riff è proprio il thrash. Sviluppatosi nella prima metà degli anni ottanta, il thrash avrebbe elevato a cifra stilistica la commistione ragionata di cambi di tempo e forza del riff. Un riffeggiare diverso rispetto a quello di derivazione hard-rock: compresso, graffiante, ispessito dalle due chitarre. La branca del groove metal, in particolare, baserà praticamente tutto su questa impostazione. Gli iniziatori furono i fratelli Dimebag Darrel e Vinnie Paul, propositori di una scrittura fresca ed innovativa che isolava ulteriormente il modulo del riff, rendendolo elemento a sé stante, ancora più asciutto, secco e reiterato con meccanica spietatezza. Ogni singola canzone dei Pantera da “Cowboys from Hell” in poi porta in sé uno o più riff vincenti, noi pertanto ci semplifichiamo la vita scegliendo uno dei più noti, quello di “Walk” (dal capolavoro “Vulgar Display of Power”), ancora più spezzato, chirurgico, ripetuto con baldanza quasi marziale, con puntuali accelerazioni a scombinare gli schemi. Una nuova era avrà inizio! 

4) “Symphony of Destruction” (Megadeth, 1992) 
Di thrash si parlava ed allora eccoci nel gotha del gotha del genere con i Megadeth del signor Mustaine, altro genio della chitarra, fautore di una infinità di riff rimasti nell'immaginario collettivo. “Peace Sells”, “In My Darkest Hour”, “Holy War” sono tutti mirabili esempi delle capacità eccelse di Megadave & co., ma noi dribbliamo quel nervoso vorticare di note che la mano piena di eroina di Mustaine ha saputo disegnare nel corso della prima parte della sua carriera per recarci verso il mid-tempo maestoso di “Symphony of Destruction” che, dietro all’apparente semplicità, cela una ricerca ed una capacità di sintesi che potevano garantire solo comprimari come Dave Ellefson, Marty Friedman e Nick Menza (grandissimo nell'individuare il passo giusto per non banalizzare un incedere tutto sommato prevedibile). 

3) “Enter Sandman” (Metallica, 1991) 
Non potevano mancare all'appello nemmeno i Four Horsemen, maestri anch’essi nel disegnare riff dall'enorme efficacia, sebbene per loro la melodia sia sempre stata un valore da perseguire. Anche nel canzoniere dei Metallica i riff celebri si sprecano (“Seek and Destroy”, “The Four Horsemen”, “MASTER OF PUPPETS”, tanto per fare tre titoli), ma a noi, più di ogni altro, è rimasto in mente il riff bombastico e sabbathiano della opener del tanto vituperato Black Album. "Enter Sandman" è un ponderato mid-tempo che valorizza la linea della chitarra ritmica e il groove del basso, con la batteria a conferire le giuste variazioni di accenti. A quasi trenta anni dalla sua genesi, ancora non riusciamo a toglierci quel riffone dalla testa e, senza rendercene contro, ci ritroviamo a cantarlo sotto la doccia: capacità che solo i veri grandi possiedono e che permette loro di entrare nell'empireo dell'immortalità

2) “Raining Blood” (Slayer, 1986) 
Quando si vola a tali altitudini diviene veramente difficile dire con certezza “questo è meglio di quello”, ma dopo varie meditazioni ci sentiamo di porre su uno scalino superiore le alchimie assassine di Jeff Hanneman/Kerry King, coadiuvati da quel genio delle bacchette (inventore della batteria estrema) che risponde al nome di Dave Lombardo. Impossibile dunque non celebrare in questa occasione quel concentrato di violenza e prepotenza maniacalmente calcolate che è il primo minuto e mezzo di “Raining Blood”: dai feedback inquietanti dell’introduzione, allo scoppio marziale della batteria con la conseguente pioggia di chitarre (sangue che scroscia da un cielo lacerato) ed il trottare furioso che precede la fatale accelerazione, embrione di quel death metal che sarebbe esploso di lì a poco. Non solo un momento decisamente pericoloso durante ogni concerto degli Slayer, ma anche un passaggio cruciale per la storia del metal, visto che da questi solchi scaturirà la metodologia del metal estremo

1) “Children of the Grave” (Black Sabbath, 1971) 
Il riff sarà anche prerogativa del thrash metal, ma non potevamo non riconoscere il primo posto a coloro che il metal l’hanno letteralmente inventato: i Black Sabbath. Nelle mani di Tony Iommi, ottimamente supportato dal basso ottenebrante di Geezer Butler e dalla batteria elefantiaca di Bill Ward, origina tutto o quasi il metal che verrà. Se con il mitico riff del brano omonimo nasceva il metal stesso (avviando di traverso il filone doom), con quello di "Symptom of the Universe" si sarebbe anticipato di dieci anni il thrash metal. E se il premio "riff fantasioso" va di diritto a quello di “Iron Man”, il quale è il primo riff che, insieme a “Smoke on the Water”, ogni chitarrista principiante utilizza per approcciarsi allo strumento ed esercitarsi, ci è sembrato doveroso consegnare la prestigiosa palma del miglior riff del metal di sempre a “Children of the Grave”, rapsodica e perniciosa cavalcata in cui il riffing del combo di Birmingham si fa avamposto di violenza mai udita prima (correva l’anno 1971!), insinuando il carattere epico che sarà tratto distintivo del metal, iniettando oscurità e mestizia in quantità estranee alle band hard-rock dell'epoca e covando persino l’embrione del thrash metal. Seminale è dire poco: non resta che inchinarsi a cotanta genialità!

P.S. Sono una persona corretta e per onestà intellettuale ho deciso di redarre questa classifica con spirito obiettivo. Tuttavia dovete concedermi, a questo punto, di citare a margine di nota quelli che io personalmente reputo essere i migliori riff dell’heavy metal, quelli che in pratica mi ritrovo a canticchiare ogni singolo giorno della mia esistenza. Eccomi dunque a citare i Danzig di “Dirty Black Summer” (rigurgito squisitamente sabbathiano da parte di un chitarrista come John Christ che certo non si distingue fra i più virtuosi alle sei corde), i Gorefest di “Low” (applicazione alla materia death metal della lezione panteriana) e soprattutto i grandissimi Coroner di “Serpent Moves” che, fra metal iper-tecnico (la mano dell'immenso Tommy Vetterli è sempre una garanzia), estro hendrixiano ed influssi modernisti (taglio modern-thrash e dissonanze di matrice noise-industriale), firmano una delle frasi più geniali del metal di tutti i tempi. Ascoltare per credere!