La
foto da noi scattata parla chiaro: i manichini di H&M indossano magliette degli Slayer.
Perlamordiddio, non ci scandalizziamo, ma una strana sensazione serpeggia
fra di noi...
Verificando
su internet, ho appreso poi che nell'affair sarebbero coinvolti Slayer,
Metallica e Guns 'n' Roses. Le magliette di suddette formazioni
non sono solamente esposte in negozio, ma sono anche in vendita. Ne deduco che
vi sia stata anche la realizzazione di una linea di prodotti ad hoc (ossia
magliette disegnate e stampate appositamente per essere vendute in esclusiva
nei punti vendita della popolarissima catena di abbigliamento).
Dettaglio ulteriore: oltre alle T-shirt di queste band, vi sono anche quelle
“anonime” che richiamano, in modo astratto, fashion ed ovviamente
innocuo, l'immaginario dell’universo metal (croci, teschi, serpenti ed altri
stereotipi).
La
notizia non turba i nostri sonni: il metal non è mai stato un fenomeno
culturale realmente scomodo. Nonostante in esso vengano trattati svariati
temi considerati tabù (morte, satanismo, occultismo ecc.), il metal non ha mai
fatto veramente paura alla nostra società, che lo ha tranquillamente assorbito
(venduto nei megastore, accolto negli stadi ecc.). Altra faccenda, per esempio,
è quella vissuta da certi artisti che gravitano nella cosiddetta grey area
(Death in June e Der Blutharsch sono i primi nomi che mi vengono
in mente), appartenenti a quel fenomeno underground sospeso fra
industrial e folk apocalittico, che spesso è stato ferocemente osteggiato, avversato,
bandito, censurato e boicottato, avendo attirato l’ira e lo sdegno non solo della
frangia più bigotta dei benpensanti. Il metal, salvo qualche sparuto gruppo
black-metal più (ehm…) “nichilista”, non ha mai avuto problemi di questo tipo.
Sebbene i Judas Priest cantassero a squarciagola “breaking the law, breaking
the law”, il metallaro le regole le segue eccome (al massimo si diletta
a disturbare la quiete dei vicini di casa). E in virtù di questa “buona
condotta”, anche il metal nel complesso viene condonato, insieme ad altri tipi violenti
come l'Uomo Tigre e Ken il Guerriero.
Fatta
la dovuta premessa, torniamo alle nostre magliette. Non ci sorprendiamo
certamente nel vedere coinvolti nell'operazione i Metallica, da anni spudoratamente
svenduti ai dettami del vil denaro (non ci stupiremmo, in verità,
nemmeno se al posto del pagliaccio di McDonald's un giorno trovassimo la statua
colorata e sorridente di Lars Urlich). Ma al di là dei Metallica,
siamo comunque disposti a comprendere anche le band più “oneste”: è chiaro a
chiunque, oramai, che, con tutti i cambiamenti tecnologici e sociologici che negli
ultimi anni hanno sconquassato l'industria musicale, i musicisti, se vogliono
campare di musica, non possono limitarsi alla sola musica.
Fatta
anche questa seconda premessa, giungo finalmente al punto. E' tutto chiaro, pacifico,
incontrovertibile, durante la Seconda Guerra Mondiale anche le aziende dei
paesi avversari continuavano a stringere accordi commerciali fra di loro, chiarissimo,
però gli Slayer non sono un gruppo metal qualsiasi: essi sono i padri e i
paladini e quindi simbolo dell'Estremo, non solo perché hanno coniato
quel linguaggio e quella grammatica che caratterizzano universalmente il metallo
estremo tutto (tema già introdotto nel nostro blog), ma anche per il messaggio
lirico di cui essi sono portatori (si veda, sempre sul nostro blog, la “cattiva novella” che essi ci raccontano).
Gli
Slayer, per esempio, hanno scritto il testo di “Angel of Death”, nel
quale si descrivono gli esperimenti del dr Mengele in quel di Auschwitz (non
proprio la lista della spesa).
Gli
Slayer, inoltre, sono stati il bersaglio di una polemica che Max Cavalera
rivolse al loro indirizzo all'indomani della pubblicazione di “Divine
Intervention”, sostenendo che i loro concerti erano raduni di naziskin.
Gli
Slayer, inoltre, nel 1996 furono citati in giudizio per l'assassinio di
Elyse Marie Pahler, quindicenne massacrata da ragazzi che per quel gesto
sostennero di essersi ispirati a brani come “Altar of Sacrifice”, “Kill
Again” e “Necrophiliac” (processo terminato con l'assoluzione degli
Slayer in nome della libertà di espressione artistica, nda).
Gli
Slayer, infine, furono nuovamente tirati in ballo per l'italianissima vicenda
delle Bestie di Satana (con “Kill Again” ancora sul banco degli
imputati).
Con
la pubblicazione di “Christ Illusion” (si badi mene: il loro penultimo
album, non il primo!) le polemiche non si sono certo diradate. Al di là della
sobria copertina (un Cristo mutilato in un mare di sangue nel quale galleggiano
le teste mozzate della Madonna e degli apostoli), con quell'album gli Slayer non
solo continuarono ad infastidire i soliti perditempo religiosi, ma riuscirono
persino a fare incazzare i parenti delle vittime della strage dell'11 settembre
per via del testo del brano “Jihad”. Insomma, a torto o a ragione, per
superficialità, bigottismo o semplice idiozia, intorno alla band gravitano da
sempre brutte storie: satanismo, antisemitismo, terrorismo,
ossia tutto quello che la società rifugge a gambe levate. Com'è dunque che
tutto questo finisce nelle vetrine di H&M?
Le
teorie sono due. A) La catena necessita dell’ennesimo rilancio di
immagine: questa volta si richiede qualcosa di più audace del solito,
qualcosa di trasgressivo, di ribelle, di rock! Il manager di turno, ignaro di
chi siano gli Slayer e quale sia la loro storia, chiede al suo stagista di fare
una ricerca su Google, tipo “band heavy metal che vendono di più”
e di contattarle per coinvolgerle nel progetto. B) Stessa trafila, con
la variante dello stagista zelante che di sua iniziativa raccoglie qualche
informazione in più su Wikipedia, predispone la sua pedante relazione e la
consegna al suo capo, il quale a sua volta chiede una valutazione all'ufficio
legale in merito al rischio impatto-immagine. Rischio che rimane minimo, anzi
nullo, perché a) chi conosce gli Slayer non si cura degli aspetti etici
dei loro contenuti lirici; b) chi non li conosce ovviamente non sa nulla
della loro filosofia. Conclusione: chi sono gli Slayer, quale è il
messaggio da essi veicolato, è un dato irrilevante per chi prende decisioni sulla
base di una serie di file Excel. Egli al massimo si chiederà: “Sono gli
Slayer coerenti con la strategia commerciale che abbiamo scelto? Ci faranno
fatturare di più?”
Io
ci vedo l'ennesima assurda ed insensata forzatura di categorie di pensiero in
una società oramai divenuta incomprensibile, in quanto in essa tutto si mescola
a tutto in modo indiscriminato. Mettere gli Slayer in una vetrina di H&M
risponde a questa logica, significa confondere mondi lontanissimi e
concettualmente inconciliabili: operazione a maggior ragione condannabile perché
ispirata solo ed esclusivamente da motivi di profitto. Potremmo dunque parlare di economia,
di sociologia, forse di etica, ma probabilmente è solo una
questione di estetica: ci son cose che semplicemente non stanno bene
insieme (come la crema chantilly sulle melanzane alla parmigiana) o cose
che semplicemente non si possono vedere (come coloro che portano gli occhiali
da sole quando piove). Vedere gli Slayer in H&M (o Zara, o Mango, o dove
diavolo vi pare) è come dire Pasolini e palestra, patate fritte e Dostoevskij:
non c’entrano nulla l’uno con l’altro e dovrebbero stare separati. E’ solo una
questione di igiene mentale. Perché quello delle catene di negozi, dei
fast-food, delle SPA, degli autogrill è un mondo in cui stanno bene Checco
Zalone, Panariello, Pieraccioni, Gigi D’Alessio.
Non
gli Slayer. Perché quello che evocano gli Slayer è un altro mondo. E qui il mio
pensiero vola verso quelle mitica serata al Palavobis di Milano, ottobre
2001, poco dopo il crollo delle Torri Gemelle, quando si aspettava il loro
ingresso sul palco, e noi sotto, nella mischia, mentre davano in filodiffusione
l’introduzione fastidiosa e cacofonica di “God Hates Us All”. Potevi
percepire la violenza nell'aria, il calore, il sudore, la pressione
insostenibile della folla, le gente che ti spingeva da dietro, i disperati che
resistevano davanti schiacciati contro la sbarra sotto il palco. Scene assurde
ed irripetibili, delirio collettivo, paura, esaltazione, buio. Il ragazzo con
gli occhi cerchiati, la fascia e i capelli à la Robert Smith che guardava
indietro e con accento romagnolo diceva “calma, ragassi, calma, son venuto
apposta fino a Milano per farmi i lividi, ma aspettate che almeno inissino a
suonare”. I cori da stadio che rimbombavano incessanti, le mani come
artigli che premevano sulle spalle in uno spasmo collettivo. Tutti erano uno. E
poco più in là: isole di niente con in mezzo serafici energumeni rasati a zero e
con barba sfibrata che si guadagnavano lo spazio vitale grazie all'aura di
rispetto ed al timor panico che incuteva la loro stazza (ma forse anche per quei
polsini borchiati e chiodati che se ti finivano per sbaglio in un occhio eri
nella merda). Non le vetrine patinate di H&M, non la techno
dozzinale che vi alberga, ma quelle scene appena adesso rimembrate: quello è il
mondo, e non altri, che voglio che mi evochino gli Slayer.
Uno
mondo dove le lettere H e M significano semplicemente Heavy Metal....