"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

13 apr 2015

RECENSIONE: ROYAL HUNT "X"

Arrivano momenti nella vita in cui bisogna farsi delle domande, sia per capire dove si vuole andare, ma anche per giudicare il cammino intrapreso nella propria storia esistenziale. 
Ad esempio: come cazzo sono arrivato ad avere la completa discografia originale dei Royal Hunt

C'è del buono in Danimarca non fraintendetemi, anzi forse si tratta di uno dei gruppi che hanno venduto meno la loro anima alle mode che hanno accolto il mondo del power sinfonico. I Royal Hunt hanno quasi sempre mantenuto il piglio orchestrale con refrain orecchiabili, anche se la qualità dei dischi non sempre è stata omogenea. 
Sono stupito nel vedere i cd della mia preziosa collezione che portano la firma di André Andersen & friends, anche perché così vanno concepiti i Royal Hunt più che come un vero gruppo.
Tutto e tutti hanno sempre girato intorno ai brani scritti dal tastierista e mastermind della band che ha fatto il bello e cattivo tempo alternando cantanti e dischi di spessore diverso. 
Dobbiamo essere onesti però i veri Royal Hunt restano quelli con DC Cooper alla voce, perché il carisma e l'ugola del cantante storico hanno dato il vero marchio di fabbrica al gruppo ma proprio per questo cerchiamo i loro dischi dimenticati! 

"X" fa parte di questa sezione a pieno titolo e, dietro il microfono, vede una vecchia tigre come Mark Boals (entrato dal precedente "Collision Course"). Per chi non lo conoscesse il buon Mark è un rocker vecchio stile, ex cantante di Malmsteen, sempre devoto a quel timbro grintoso tra Dio, Accept e Judas Priest che si adatta a diverse sonorità tanto che da qualche mese si è chiuso in studio con i nostrani Labyrinth... 
Certo se si prende Boals alla voce non ci si può lamentare che il disco suoni retrò, sarebbe come quel presidente che affida la sua squadra di calcio a Zeman e non gradisse il gioco offensivo. Allora perché cazzo prendi il boemo? 

Questo è vero, però all'interno del disco il timbro di Boals vive di alti e bassi, legando solo a tratti con il tipico sound Royal Hunt. Ad esempio le prime tre canzoni "End Of The Line", "King For A Day" e "The Well" sono belle, perché la voce calda del nostro Mark dona quel qualcosa in più alle linee melodiche di Andersen che compone tutto con la qualità di sempre. 
Dopo però si cade negli stereotipi hard rock dove si deve per forza mettere la ballad (scialba "The Last Leaf") o peggio ancora la fiera delle ovvietà heavy in "Army Of Slaves" o quel gusto indeciso tra Bon Jovi, Running Wild e persino Rhapsody di "Falling Down" è l'emblema della confusione in cui cade la seconda parte del disco. 

A mio avviso qui si interrompe il rapporto proficuo con Boals che da lì a poco lascerà il gruppo, perché se gli scombini i piani puoi essere anche Freddy Mercury, ma Andersen tira fuori la sua anima sovietica e ti caccia! Boals abituato allo smisurato ego di Malmsteen non ci sarà rimasto male più di tanto, ma ai posteri ha lasciato due discreti album comunque nella militanza Royal Hunt
La melodia e quel senso di pomposità ereditata dagli Yes è stata da sempre la marcia in più dei Royal Hunt, però qui c'è troppo AOR per i miei gusti e alcuni momenti risentono troppo dello stile Deep Purple o Uriah Heep fuori tempo massimo (vedi "Back To Square One").

È un disco che però nel complesso si fa sentire con piacevolezza, poi io ho un debole per i Royal Hunt e gli perdono quasi tutto. Sono sensibile alle loro canzoni, mi sciolgo facilmente però ormai sono maturato adesso, ponderato nei giudizi e generalmente cresciuto ma scusatemi solo un attimo, non andate via, perché vado a vedere se ho ancora i vecchi pantaloni di pelle, la camicia e gli occhiali da sole... 

Voto: 7-

Canzone top: "King For A Day"
Momento top: ritornello e seguente solo multiplo in "The Well" 
Canzone flop: "Back To Square One"
Anno: 2010
Dati: 12 canzoni, 54 minuti 
Etichetta: Scarlet Records