I 10 MIGLIORI ALBUM
DELLE CULT BAND (ANNI ’80)
1980: “ANGEL WITCH”
I due mesi che cambiarono per
sempre la storia del rock e che fecero partorire ufficialmente il nostro amato
Heavy Metal, vanno dal febbraio all’aprile del 1980.
Nel secondo mese di quell’anno venne
infatti pubblicata la più celebre compilation heavy della storia, quella “Metal
for Muthas” che non solo ebbe il merito di far conoscere al grande pubblico
gli Iron Maiden, ma che, da sola, riassunse in una manciata di canzoni quello che in
Inghilterra stava accadendo già dai tardi anni settanta. E cioè il declino
del movimento punk e la contemporanea nascita di una nuova ondata di band che,
raccogliendo l’eredità hard rock settantiana e dello stesso punk, mirava a
svecchiare quel sound attraverso stilemi più veloci, duri ed aggressivi.
Se gli Iron furono, come abbiamo già accennato su MM, la band di punta di tutto questo variegato calderone
(tanto da essere gli unici presenti nella compilation suddetta con ben due canzoni…
e che canzoni, visto che si trattava di “Sanctuary” e “Wratchild”!), i
vice-leader dell’intera scena sembravano davvero poter essere gli Angel Witch
di Kevin Heybourne. Anzi, l’album di
debutto di quest’ultimi uscì il mese successivo a MfM (marzo ’80); mentre “solo” ad aprile la Vergine di Ferro
esordiva con il disco omonimo, capolavoro immortale dell’H.M. tutto.
A cura di Morningrise
Nella nostra Anteprima di questa
singolare rassegna scrivevamo, riferendoci alle sfortunate casistiche dei
gruppi cult che avevamo in mente: “c’è chi è partito alla grande, con consensi di critica e
pubblico, e che nel volgere di una singola
pubblicazione, o comunque in pochi anni, sono spariti, vuoi per problemi
con le case discografiche, vuoi per instabilità cronica delle line-up”.
Ecco, gli Angel Witch li potremmo annoverare in
questo gruppo. Anzi: sono riusciti a fare, loro malgrado, di peggio! E cioè sono
diventati cult non tanto e non solo per il disco che stiamo trattando,
quanto proprio per quel singolo brano contenuto in “Metal for Muthas”. E cioè
“Baphomet”. Che è un gran pezzo. Una magnifica canzone: oscura, aggressiva, con
cambi di tempo, fraseggi e parti strumentali pregevoli. Una rivisitazione in
chiave moderna del dark sound di matrice sabbathiana degli anni ’70.
Un brano talmente pregevole che la cosa non sfuggì alla Electric and Musical Industries Limited
(la major meglio conosciuta come EMI)
la quale aveva messo sotto contratto già gli Iron e che decise di accaparrarsi
anche gli Angel Witch.
Sembrava per Heybourne&Co. l’inizio di una carriera inarrestabile. E
invece…
Invece succede che la EMI cancella l’accordo poco
dopo che il singolo pubblicato per lanciare l’imminente full lenght si
rivelò un flop commerciale. Certo, da parte dell’etichetta ci fu fretta, poca
lungimiranza, timore di investire a vuoto i propri denari...però mi piacerebbe
d’altro canto domandare al nostro Kevin: ma cristo santo, hai composto un disco
della madonna, un caposaldo di tutta la New Wave, con un songwriting di livello
eccelso, con brani pazzeschi…e cosa vai a scegliere come singolo?? “Sweet
danger”…cioè la traccia (assieme all’hardrockeggiante “Confused”) meno riuscito
di tutti, un up-tempo punkeggiante alquanto banalotto!! Ma con che razza
di criterio lo scelsero??? Bah...misteri…sta di fatto che senza la EMI, la
subentrante Bronze Rec. fece uscire in fretta e furia il disco, che risentì
enormemente di una cattiva produzione, riscontrabile soprattutto in una
“povertà” dei suoni molto evidente, che ne inficiò la resa complessiva. E il responso del
pubblico non fu dei migliori.
Da lì’ in avanti, nonostante le recensioni molto positive (a parte qualche rarissima, ma purtroppo influente,
eccezione), la band di fatto non esistette più. Gli anni a venire furono
infatti una via crucis di continui rimpasti della line-up, con l’unico
collante umano, invero alquanto scadente visti i (non) risultati di stabilità,
del tormentato (e tormentoso!) Heybourne; il quale testardamente portò avanti per
tutti gli anni ’80 e ’90 il nome della band senza riuscire mai più a raggiungere i picchi compositivi di “Angel
Witch”.
Tornando al nostro platter: la prima cosa che salta
agli occhi è la strepitosa copertina che si rifà a un dipinto del pittore
romantico inglese John Martin: Gli
angeli caduti che arrivano nel Pandemonio. Una cover maligna ed evocativa
come non mai (del resto Heybourne era concittadino, e grande estimatore, dei
Black Sabbath e qualcosa questo avrà voluto pur dire!).
Autore di tutti i testi e di tutte le musiche, il
Nostro, autore di una prova strepitosa alla chitarra (e più che buona dietro al
microfono), riesce a variare continuamente
la sua proposta nell’arco dei 38 minuti di durata del disco. A parte il
paio di cali qualitativi succitati, il resto è da urlo, e soprattutto
manteneva, ampliandole, tutte le ottime premesse fatte intravedere da
“Baphomet”!
Dal trittico iniziale (la celeberrima title-track,
“Atlantis” e “White Witch”), in cui Heybourne, da autentica macchina “genera riff” qual era, mette in mostra la sua
grande capacità di inventare piccole cattedrali metalliche, destreggiandosi tra
parti tiratissime ad altre più cadenzate; ai due capolavori “Sorcerers” e “Free Man”, due gemme dal vago sapore progressivo (nella chiusura di “Sorcerers”
sembra che entrino in scena persino gli Uriah
Heep più ispirati), in cui Kevin alterna mirabilmente oscuri arpeggi a
controllate esplosioni elettriche, condite da assoli particolarmente ispirati e
suggestivi. Sono due brani questi che, da soli, iscrivono di diritto la band
inglese negli annali del Metal, e che ricordano da vicino, per sonorità e
struttura, le mitiche “Remember Tomorrow” e “Strange World” contenute in “Iron
Maiden”.
Se “Gorgon” poi risulta fortemente vicina allo stile
dell’epoca dei Def Leppard (che,
guarda caso, debuttarono con il capolavoro “On Through The Night” appena due
giorni dopo gli A.W.!), una nota di merito è doverosa per “Angel of Death”, un
assalto sonoro che, assieme alla breve song strumentale “Devil’s Tower”, chiude
il disco con un mood particolarmente dark e maligno, molto vicino a
quanto si era sentito con la stessa “Baphomet” (uno stile che verrà ripreso a
piena mani negli anni a venire, tra gli altri, anche dai Celtic Frost di Tom G.
Warrior, che si dichiarerà più volte fan degli A.W.).
In definitiva, un must di tutta la N.W.O.B.H.M.
e piccolo bignami per definire le abnormi potenzialità del nascente Heavy
Metal che stava scuotendo nelle/dalle fondamenta il music business
del Regno Unito.
Un album particolare, bellissimo, che mette in
mostra diverse sfaccettature del metallo che stava per nascere e le cui
intuizioni verranno riprese in modo massiccio nel nascituro Thrash americano: sarà infatti annoverato frequentemente tra le influenze di grandi
artisti thrash-metal statunitensi, da Chuck Schuldiner a Dave Mustaine; e i suoi brani saranno anche oggetto di rivisitazioni da parte di gruppi
appartenenti a generi molto diversi tra loro.
Un bel riconoscimento per l’opera artistica di
Heybourne, il quale ebbe il solo torto di non trovare nel mercato e nelle case
discografiche persone che investissero seriamente nel suo progetto, andando
incontro a un destino ingrato.
Un caso incredibile di come il successo ottenuto
grazie ad un singolo brano (un brano
cult di una band cult a tutti gli effetti!), acclamato ed osannato da
critica e pubblico, possa essersi rivelato, senza le giuste combinazioni fortunate, un
boomerang letale. Un nodo scorsoio al quale, senza quasi accorgersene, rimanere impiccati...