Nel 1997 sono usciti diversi album destinati a trovare una onorevole
collocazione sul fronte dell’emancipazione dai cliché del metal classico. Lavori come "One Second" e "A Deeper Kind of Slumber" furono tappe cruciali lungo l'impervio
sentiero che conduceva il metal alle sonorità elettroniche, poi destinate a
divenire pratica diffusa e non più ostracizzata negli anni a seguire.
Eppure Paradise Lost e Tiamat
non sono stati gli unici ad armeggiare con l'elettronica nell'anno 1997: dalla Norvegia del black metal svettavano i
grandi Arcturus, che con il loro
secondo full-lenght, "La Masquerade Infernale",
raggiungevano il loro apice creativo, nonché consegnavano al mondo uno dei
capolavori di quel genere/non-genere
che è l'avant-garde metal.
Trent'anni
fa: "Into the Pandemonium"
Per pura coincidenza
celebrativa, nel 1987 i Celtic Frost
davano alla luce quella che potremmo definire un'opera cardine dell'avant-garde-metal:
“Into the Pandemonum”.
Ma
cosa è esattamente l'avant-garde-metal? Un'attitudine piuttosto che
un insieme codificato di stilemi. I Celtic Frost abbatterono barriere, non codificando
un nuovo linguaggio, bensì miscelando ingredienti provenienti da generi anche
distanti fra loro: thrash, doom, dark-wave, opera, elettronica. E si permisero
persino, con pieno disprezzo delle regole
non dette del metal, di aprire il loro album più coraggioso con una cover di un brano new-wave.
Il carattere seminale
dell'opera si sarebbe però rivelato solo diversi anni dopo con il proliferare
del black metal e del gothic metal. Li per lì, tuttavia, lo sforzo artistico di
Fisher e compagni non fu capito:
l'operazione si rivelò, quanto a vendite, un vero flop, tanto che la band, dopo un paio di tentativi maldestri per
recuperare terreno, finì per sciogliersi.
Semplicemente, nel 1987, il
pubblico metal non era ancora pronto per una rivoluzione di tal portata.
Venti
anni fa: "La Cialtronata Infernale"
Ne è passata di acqua sotto i
ponti e di certo nel 1997, appena dieci anni dopo, il cultore del metallo era
più smaliziato, soprattutto in ambito estremo. "La Masquerade Infernale" fu accolta in maniera positiva, ma
senza particolare clamore: del resto gli Arcturus erano considerati più una
"all stars band" che
un'entità autonoma con un proprio progetto artistico. Il fatto che i Nostri non
portassero ancora sul palco la loro musica (cosa che avverrà solo molti anni
più tardi), andava a confermare questa impressione di svago estemporaneo. Una
impressione che sminuiva la reale portata artistica dei lavori dei norvegesi,
anche perché in un progetto parallelo sono viste come normali le
sperimentazioni più azzardate: a certe condizioni sperimentare è infatti meno
rischioso, perché non si ha niente da perdere.
Eppure ne "La Masquerade
Infernale" si sarebbero per la prima volta concretizzate le rivoluzionarie
visioni artistiche di Kristoffer Rygg (ancora
conosciuto come Garm, benché si
fosse per l’occasione ribattezzato G. Wolf),
che nel corso degli anni successivi sarebbe divenuto l’alfiere (nel metal ma
non solo) di un certo modo anticonvenzionale di pensare e fare musica.
Da notare che nel medesimo
anno (pochi mesi prima per l'esattezza) gli Ulver avevano dato alle stampe "Nattens Madrigal", il loro album più ferocemente black metal,
nonché l’ultimo della loro carriera improntato su quelle sonorità. Ma si
capisce che testa e cuore di Rygg erano rivolte verso le sperimentazioni del
suo "side-project"
Arcturus. Ne avremo la riprova appena un anno più tardi quando i Lupi rilasceranno, in veste totalmente
rinnovata, il doppio "Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell", che sembrava
rappresentare lo sviluppo fisiologico di quanto espresso nella "Mascherata”.
Oggi è facile incensare “La
Masquerade Infernale”, vorrei però tornare con i ricordi a quel novembre di
venti anni fa (l’album usciva il 27 ottobre). Per me gli Arcturus erano uno dei
gruppi top del momento. Prima ancora
di udire una loro singola nota (erano tempi in cui la rete non era molto di aiuto per certi tipi di ascolti), li avevo
letteralmente mitizzati nelle mia testa a causa della sola lettura di una
recensione dell'EP "Constellations":
era il '94, Samoth fu arrestato e
il prodotto era dato praticamente per irreperibile già prime della sua uscita.
L'idea che vi fosse a giro un capolavoro "irraggiungibile per chiunque" firmato dal chitarrista degli Emperor e dal batterista dei Mayhem (e dal cantante degli Ulver, avrei scoperto successivamente, visto che conobbi i Lupi l'anno dopo con "Bergtatt"), non mi dava pace. Ma la mia agonia durò
poco: giusto un paio d'anni, ossia il tempo utile per impadronirmi del primo full-lenght "Aspera Hiems Symfonia", che sarebbe divenuto presto uno dei
miei album preferiti in area black metal.
Eppure, quando uscì quasi in
sordina “La Masquerada Infernale”, accolsi tiepidamente il tomo: a disturbarmi,
almeno inizialmente, non fu la svolta stilistica, ma la produzione dell'album,
i suoi suoni, il modo in cui era stato confezionato. Il primo impatto fu di
vera "Cialtronata Infernale", nel senso che la resa finale non
suonava all'altezza delle idee e del song-writing,
che ovviamente era invece eccelso.
Capiamoci: adoro le produzioni
lo-fi che caratterizzarono il black
metal degli anni novanta, ma di certo un approccio del genere non poteva andare
bene per quell'amalgama complesso che era divenuta la musica degli Arcturus. E
così la precisione millimetrica e la potenza di Hellhammer venivano sacrificate in favore di suoni artigianali (con quei tom secchi e quel fruscio fastidioso e persistente dei piatti) che certo non rendevano
giustizia alle trame intricate e ricche di cambi di tempo del suo drumming; la magniloquenza sinfonica,
assicurata dall'infaticabile Sverd,
scivolava in secondo piano dietro le chitarre sature e sporche di Knut Magne Valle, che a mio avviso
avevano dei suoni mal equalizzati (pessimi in fase solistica) che non rendevano giustizia alla discreta tecnica
del chitarrista. Il tutto amalgamato in modo approssimativo, comprese le parti di
elettronica, che saranno state anche rivoluzionarie per il metal estremo, ma
che ad un orecchio allenato apparivano inevitabilmente puerili. Erano del resto
i primi esperimenti dietro alla consolle
di Garm, che anche a livello vocale cambiò
approccio.
Non sapete quanto mi addolora
dirlo, ma fu proprio la prestazione del cantante a deludermi più di tutto il resto.
E non ci accaniremo sulla pessima pronuncia inglese, giustificata dal fatto che
il Nostro fino ad un momento prima aveva cantato in lingua madre. Nella Mascherata, in linea con le
ambientazioni grottesche dell'album, le splendide linee vocali armonicamente
intrecciate che una volta scorrevano fluidamente alternandosi ad uno screaming espressivo (stile che aveva
distinto il cantante fra i suoi colleghi) cedevano terreno ad un approccio
poliedrico e teatrale che prediligeva il canto pulito e l'utilizzo di filtri ed
effetti. Da un lato il carisma vocale del cantante emerse finalmente in tutta
la sua forza visionaria, ma dall'altro siamo convinti che con un briciolo di
attenzione in più a livello di incisione e missaggio avremmo potuto evitare stecche, sovra-incisioni non allineate, rantoli e miagolii/fruscii assortiti. Non contando la non perfetta integrazione fra voci quando scende in campo l'ospite Simen Hestnaes (in seguito conosciuto come ICS Vortex). Lo dimostra il fatto
che laddove queste accortezze sono state prese (si veda per esempio gli album
successivi degli Ulver) i risultati sono stati più che brillanti.
In un secondo momento, quando
la bontà innegabile di quel lavoro si impose su tutto il resto, provai a
spiegarmi quei suoni confusi e mal equalizzati come una cosa voluta, come se i
musicisti avessero voluto conferire un alone sulfureo, veramente infernale,
alla loro messinscena. Oppure che vi fosse alla base di tutto una volontà destabilizzante
da cui traeva origine un cambio di rotta tanto drastico e un concept che vedeva fra i suoi temi
dominanti la follia (è forse l'intera
opera un elogio alla follia? Una bizzarra invettiva contro quel
conformismo che è spacciato per libertà per neutralizzare la vera libertà,
quella anarchica, quella umana di Satana, ovviamente nell’accezione libertaria
del Carducci?).
Con il senno di poi, ossia
dopo l'ubriacatura, mi sono spiegato invece quelle scelte come figlie di un
approccio ingenuo ed approssimativo di fronte ad ambizioni più elevate delle
reali capacità. E per capacità non mi riferisco al tasso tecnico dei musicisti
(altissimo), ma alla consapevolezza che un professionista deve avere a tutti i
livelli quando confeziona una proposta così raffinata, sia da un punto di vista
musicale che concettuale.
Peccato per questi vizi di forma, perché nella sostanza
"La Masquerade Infernale" è un album immenso, sensazionale, e non
penso di esagerare se definisco l'attacco improvviso dei ritmi spezzati della
jungle alla fine di "The Chaos Path"
uno dei guizzi più geniali mai uditi in ambito metal; o la progressione finale
di "Ad Astra", nel suo
dinamismo, nella sua integrazione fra elementi orchestrali ed armamentario
rock, uno dei momenti più alti del prog tutto. Giusto per fare due esempi.
A volte mi capita ancora di
pensare a cosa potrebbe essere stata "La Masquerade Infernale" se
essa avesse potuto godere di una veste all'altezza dei suoi contenuti, se quei benedetti brani fossero stati cuciti
meglio, resi più fluidi nei loro molteplici cambi di ambientazione, valorizzati
da suoni nitidi che potessero far risaltare i dettagli, le sfumature, i punti
focali. Non chiedo una produzione laccata in prog-metal style (anche se poi, in estrema sintesi, è di musica
progressiva che stiamo parlando), ma almeno una produzione come quella degli
album successivi degli Arcturus, per esempio come quella di "The Sham Mirrors" che, pur
conservando delle asperità black metal (soprattutto a livello di chitarra), sa
far coesistere potenza, complessità &
genialità compositiva: la vera cifra stilistica della band.
Oggi:
l'eredità de "La Masquerade Infernale"
A vent'anni tondi tondi dalla
sua uscita, non si può certo dire che “La Masquerade Infernale", per
quanto operi fuori dagli schemi e dunque potenzialmente progenitrice di nuovi
stilemi o approcci, abbia fatto tendenza o abbia cambiato il volto del mondo del metallo.
Nel corso dei primo decennio
degli anni duemila il fenomeno neo-progressive
(in cui potremmo buttare dentro anche gli Arcturus) si sarebbe affermato fino a
divenire uno dei tratti dominanti del metal del nuovo millennio, ma ciò non accadrà
grazie agli Arcturus. Sarà infatti un progressive diverso ad emergere, anzi, nell’approccio
sarà praticamente un progressive agli antipodi rispetto ai toni farseschi ed
eccessivi della "Mascherata", privilegiando semmai forme minimali e
dimensioni intimistiche, come professato in campo rock da Radiohead e Steven Wilson,
che prima con i Porcupine Tree, poi
in qualità di produttore (si veda i casi di Opeth e Anathema) finirà
per influenzare anche il metal.
Gli Arcturus rimarranno dunque
un caso isolato, ma per ragioni diverse rispetto a quelle che sancirono il
"fallimento" commerciale dei Celtic Frost. Gli svizzeri potettero
divenire una guida in quanto la forza della loro formula era tutta concettuale,
ma da un punto di vista meramente esecutivo le loro intuizioni erano facilmente
emulabili, complice il fatto che Fisher e soci non sono mai stati dei mostri di
tecnica. Gli Arcturus invece si: come si è già visto nella nostra rassegna sul black metal norvegese, non
sono una band replicabile. Il virtuosismo e la forte personalità che
caratterizza i componenti, e le ambizioni che li uniscono, rendono la loro
musica unica ed inimitabile. Ed infatti non si conoscono band simili, nemmeno
cloni alla lontana.
Si è poi aggiunto un problema di tempismo storico: prima di
arrivare al neo-progressive dei nostri anni, si sarebbe dovuti passare da un
altro inferno, quello delle chitarre slabbrate e delle grida lancinanti dei
gruppi post-hardcore e post-metal, le cui gesta verranno esaltate da suono
grassi e dal forte impatto.
La Mascherata/Cialtronata,
con i suoi leziosismi e la sua
produzione rachitica (dannata produzione!),
verrà sociologicamente travolta, genialità compresa, rimandando negli anni un fenomeno
di culto.
E' la maledizione dell'avant-garde
metal, bellezza!