Stamattina accendo la tv ma
nessun telegiornale ne parla. Vado sui siti dei principali giornali italiani ma nisba. E ne rimango basito. Ma come, cazzo: oggi esce, dopo 5 anni di attesa, il
nuovo album della più grande metal band attualmente in circolazione e il mondo
pare andare avanti senza accorgersene!! Non ci siamo…non ci siamo proprio…
Per
fortuna c’è Metal Mirror che colma la lacuna ed è pronto a parlarvi del Collettivo
capitanato da Robin Staps!
Sono in fibrillazione, ansioso di
ascoltare la nuova creatura dei The
Ocean Collective, ma al contempo un po’ timoroso, consapevole che “Pelagial”, il loro album da “10”,
capolavoro del metal 4.0, (quello
post-“post”, e giustamente già celebrato dal nostro Blog) sotto tutti i punti
di vista (musicale, conceptuale e produttivo-esecutivo) sarà difficilmente
avvicinabile.
Ma so già che a priori per il
sottoscritto “Phanerozoic
I: Palaeozoic” si candida ad essere album del 2018. E ve lo diciamo subito:
a noi gli 8' di "Cambrian II: Eternal Recurrence" e i 9’ di “Permian: The
Great Dying”, i due brani estrapolati e messi in rete dalla band, sono
piaciuti. Il loro fine post-metal, sempre bilanciato tra pieni e vuoti,
violenza impattante e melodie ricercate, ci sono parsi validi, per quanto a
tratti un po’ di maniera. L’ispirazione comunque c’è ed il fatto che le songs crescano ascolto dopo ascolto ne è un sintomo. Ma aspetteremo l’intero album per dare un giudizio globale.
Questo post ha invece lo scopo di
“preparare il terreno” al nuovo nato per coloro che non conoscono, o conoscono
da poco/poco a fondo, la band tedesca. E poi un po’ di “preparazione
all’ascolto” ci vuole visto che ancora una volta i Nostri si cimentano con
tematiche che, per capirle a fondo, manco una laurea in Scienze Naturali
basterebbe!
Per sommi capi: il Fanerozoico
è un Eone (cioè la massima misura utilizzata dai geologi per individuare i
tempi dell’evoluzione terrestre) e il Paleozoico
e la prima Era (cioè l’unità di misura immediatamente inferiore all’Eone) del
Fanerozoico. Insomma, si parla di cose successe 500 milioni e rotti di anni fa…mica
bruscolini! Periodo nel quale si verificarono sostanziali evoluzioni (e
conseguenti parziali distruzioni) delle forme di vita vegetali e animali sul
nostro Pianeta. Evoluzioni rispetto ad altre di che periodo? A quelle del Precambriano, guarda caso il
titolo del full lenght del 2007 dei TOC. E infatti “Phanerozoic” è il seguito,
temporalmente mancante nella discografia dei tedeschi, di “Precambrian”. E il
raffronto tra le cover dei due album lo esplicita in modo plastico.
Non faremo qui (almeno non in
questo post) la recensione di “Phanerozoic”, ma vi guideremo, per comprenderlo
meglio, nell’analisi di “Precambrian”, in modo tale che l’ascolto della nuova
release possa essere meglio compreso.
Ne aveva già sommariamente, e
mirabilmente, parlato il nostro Mementomori nel post sulla
classifica dei migliori album doppi del Metal. “Precambrian” è infatti un doppio tomo di 83’ di musica non
semplice da assimilare, squilibratamente formato da una prima parte di appena
22’ e una seconda di 61’.
Ancora piccolo ripasso di geologia: il Precambriano è una sorta di Super-Eone che va dall’inizio della
formazione della Terra (4 miliardi e mezzo circa di anni fa) fino appunto
all’inizio del Farenozoico (540 mln di anni fa) e che raccoglie in sé tre eoni:
l’Adeano, l’Archeano e il Proterozoico. E sono appunto questi tre eoni che danno
il titolo ai due capitoli di “Precambrian”: il primo “Hadean / Archaean” è una
botta nei denti mica da ridere, in cui il post-hardcore di fondo della band
viene innervato da robuste siringate di metal a-là-Meshuggah dando vita a una
sorta di extreme-metal (a tratti deathoso) tecnico e “matematico” di pregevole
fattura, per quanto freddino e “respingente”. Nonostante i brani siano tutti
validi (con nota di merito per la splendida, conclusiva “Neoarchaean: To Burn
the Dock of Doubt”) noi preferiamo i The Ocean maggiormente riflessivi e vari. Quelli
del secondo tomo appunto, “Proterozoic”, in cui l’approccio progressivo emerge
in maniera preponderante, mettendo allo scoperto tutte quelle abnormi capacità
di scrittura “ad ampio respiro” che si evidenzieranno da “Heliocentric” (2010) in poi.
Il minutaggio dei brani si alza perciò esponenzialmente, e le commistioni jazz,
sinfoniche ed elettroniche si fanno apprezzare all’interno di uno stile
fondamentalmente post-metal/sludge (la meravigliosa “Rhyacian: Untimely Meditations”
è l’emblema meglio riuscito di quanto detto).
Clean vocals, inserti di violino,
viola e violoncello, di chitarra acustica e slide, di languidi pianoforti,
sassofoni e glockenspiel…un impasto sonoro, quello di “Proterozoic”, vario e
cangiante, in cui violenza e brutalità vanno naturalmente a braccetto (ascoltatevi
la splendida “Ectasian” per farvi un’idea).
Il disco, nella sua lunghezza e
complessità, necessita di numerosi ascolti per poter essere apprezzato. E,
nonostante certi passaggi possano dare un retrogusto di dispersività, e la
materia a volte sfugga di mano nel corso del disco, è del tutto
evidente di essere davanti a un prodotto decisamente superiore alla media.
E pensare che, con l’inserimento
dell’attuale singer Loïc
Rossetti, il meglio doveva ancora venire...
Voto: 7,5
Canzone top: “Stenian: Mount Sorrow”
Momento top: l’alternanza di
pieni e vuoti di “Calymmian: Lake Disappointment”
Canzone flop: (a voler essere severi)
“Palaeoarchean: Man and the Sea”
A cura di Morningrise