CAPITOLO 10: "IN LIVE CONCERT AT THE ROYAL ALBERT HALL" (2010)
La Royal Albert Hall. Londra. Austera e imponente, è il fiore
all’occhiello della zona bene (quella compresa tra Kensington e Chelsea) della
metropoli inglese, uno dei suoi centri culturali e artistici.
Dall'inaugurazione, quasi
150 anni fa ad opera della sovrana più amata dai sudditi britannici, la Regina
Vittoria, è stata nei decenni teatro delle più svariate manifestazioni, ma gli
appassionati di musica la pensano soprattutto come luogo di concerti. Moltissimi
Mostri Sacri della musica hanno voluto immortalare su disco e/o, più
recentemente, su DVD una propria esibizione alla Hall, quasi che una
performance lì fornisse una sorta di “bollino blu” di qualità alla propria
carriera.
Dai folkesters irlandesi The
Dubliners a Bob Dylan, dagli Who ad Emerson, Lake & Palmer, da Nick Cave a
Eric Clapton, passando per i Deep Purple, la Royal Albert Hall ha visto salire
sulle sue assi il gotha della musica mondiale.
E in questo gotha, anche loro.
Gli Opeth.
Eh si, anche Akerfeldt & co.
hanno avuto l’onere e l’onore di esibirsi alla RAH e lo hanno fatto in uno dei
momenti più importanti della loro carriera, il 2000, 20esimo anniversario della
loro fondazione avvenuta a cavallo tra l’89 e il ’90 in quel di Stoccolma.
“In Live Concert…” è, lo
diciamo subito, impegnativo e richiede da parte dell’ascoltatore dedizione e
tempo, visto che i Nostri per l’occasione non si risparmiano e ci regalano musica utile a riempire tre CD, per quasi tre ore filate di show (minutaggio nei
quali sono compresi anche i dialoghi autocompiacenti dell’umile Akerfeldt).
Se il primo tomo va a riproporre
fedelmente l’intero “Blackwater Park” (2001), cioè il disco della “maturità”,
da molta critica e pubblico riconosciuto come il loro apice artistico (e questo
già sarebbe bastato per darci appagamento uditivo), i restanti due
dischi riescono, se possibile, a fare ancora meglio, essendo una sorta di
“processione”, un excursus dei restanti otto full lenght pubblicati fino al 2010.
Secondo una formula ricorrente (ad esempio i Dream Theater l’avevano utilizzata
4 anni prima per il loro ventennale di carriera, con il monumentale live
“Score”), ogni album viene così
ricordato con un singolo brano.
Per quanto riguarda il
sottoscritto, vecchio nostalgico dei primi lavori del gruppo, l’emozione più
grande l’ha donata il secondo tomo, composto dai 4 brani estrapolati dai primi
4 capolavori. “Forest of october”, “Advent”, “April Ethereal” e “The Moor”
compongono 56’ di perfezione metallica che valgono un’intera carriera e al
contempo dimostrano, sentite così, una di seguito all’altra, la coerente
evoluzione/maturazione avuto dal songwriting di Akerfeldt dal 1995 (“Orchid”)
al 1999 (“Still life”).
“Wreath”, “Hope leaves”,
“Harlquin Forest” e “The lotus eater” è il restante quartetto compreso nel
terzo tomo, che rivisita la seconda fase della band (quella che va dall’ottimo
“Deliverance” al buonissimo “Watershed”) prima che con “Heritage” (2011) gli
Opeth così come li abbiamo sempre conosciuti smettessero di esistere.
Ai fan della prima ora, come il
sottoscritto, mancherà la presenza in formazione dei vecchi Peter Lindgren e
Martin Lopez ma bisogna ammettere che la resa sonora dell’ensemble non ne
risente minimamente e, anzi, il sound complessivo risultato pieno, corposo, piacevolmente
stratificato come non mai. Del resto, oggettivamente, Fredrik Åkesson e Martin Axenrot sono, oltre
che due musicisti ipertecnici, capaci naturalmente di seguire senza
tentennamenti le infinite evoluzioni e cambi d’umore della musica opethiana. E Martin
Mendez, dal canto suo, è il solito orologio svizzero con il suo Fender, cuore pulsante a donare corposità e ritmo al tutto.
Ogni minuto di questo live
esprime in definitiva il grande potenziale concertistico di un Metal che
possiamo definire senza tema di smentite “superiore”, con la M maiuscola, visto
che quello composto da Mikael è (era?) profondamente sincretico, capace di fondere
diversi sottogeneri in un unicum coerente e compatto.
Ci pare quindi di riuscire a chiudere
la nostra Rassegna sui 10 migliori live album del Metal nel miglior modo
possibile. E questo perchè, oltre a quanto detto sopra, gli Opeth sono stati
per quasi un decennio (che nel Metal corrisponde praticamente a un’era…) la
punta di diamante di un intero movimento, riferimento per molte band, capaci di
mettere d’accordo deathsters oltranzisti e defenders dell’heavy classico; giovani
progsters e scafati rocker settantiani.
Gli “svedesi intelligenti”,
secondo una splendida definizione del nostro Mementomori, li vogliamo allora
ricordare così, a celebrare (e auto-celebrarsi) per 20 anni di musica che hanno
accompagnato, tra esaltazione e lacrime, la crescita, dall’adolescenza alla
maturità, di tanti amanti del nostro genere preferito.
Redazione di Metal Mirror compresa...
A cura di Morningrise