Nel 2018 mi sento di rivalutare Mortuus, dal 2004 voce dei Marduk.
Ho capito che nel metal oramai bisogna non affezionarsi troppo alle formazioni storiche e capire la necessità delle band di andare avanti nonostante la perdita di componenti che hanno concorso al loro successo. E se con i Voivod siamo riusciti a superare il trauma post-morte dell’insostituibile Denis “Piggy D’Amour, di sicuro l'impresa sarà più facile con i Marduk, da un po’ di anni orfani del cantante Legion.
Di Legion, francamente, se ne poteva anche fare a meno: è vero che la sua voce ha marchiato l'ascesa irresistibile dei Marduk (innescata, a dirla tutta, già da prima del suo ingresso con lavoroni come "Those of the Unlight" ed "Opus Nocturne"). Ma è altrettanto vero che quelli erano gli anni di massimo splendore per la band, anni a cui sarebbe seguito quel fisiologico calo di ispirazione che affligge ogni band che esce dal suo periodo migliore. Lui c’era in quel periodo e ha svolto il suo sporco lavoro alla grande, armato di uno screaming tanto affilato quanto espressivo, ma non lo definirei insostituibile, tanto che il Nostro non ha potuto impedire il trend qualitativamente discendente intrapreso dalla band con album come “La Grande Danse Macabre” e “World Funeral”.
E così il nostro Legion, sempre meno a suo agio a cantar di (ehm) Seconda Guerra Mondiale e Terzo Reich, ad un certo punto decise di abbandonare la baracca. A pesare più che altro è stato il fatto che con lui se ne andò il bassista G.War, mentre poco prima aveva già abbandonato il batterista Fredrik Andersson, cosicché all’uscita di “Plague Angel” del nucleo storico rimaneva solamente il leader maximo Morgan Hakansson. Comprensibile che in molti (me compreso), innanzi a lavori oramai privi di sorprese, si sentissero legittimati ad abbandonare la gloriosa corazzata svedese.
La band, in realtà, ha continuato negli anni a pubblicare lavori onesti, mostrando capacità pur sempre sopra la media. Certo, i Nostri non sono stati più in grado di sfornare “Il Capolavoro”, limitandosi a coltivare la loro fan-area. Più in generale, è venuta a mancare quella tensione che accompagnava e spingeva la band, dagli inizi melodici, a sfornare prove sempre più estreme e convincenti, con “Panzer Division Marduk” a costituire una sorta di “Reign in Blood” del black metal. Non ha aiutato il fatto, infine, che il black metal classico non vivesse in quegli anni un gran momento. Il calo di interesse nei confronti dei Marduk, pertanto, è forse dipeso più dal contesto storico/culturale degli anni zero che dalla band stessa, la quale ha più o meno sguazzato nello stesso brodo. Se infatti sul piano stilistico, in generale, non si percepiscono grandi differenze con il passato glorioso, su quello vocale si sono registrati addirittura dei miglioramenti.
Eccoci dunque a Mortuus, che ridendo e scherzando canta nei Marduk da sei album a questa parte. Già dal nome, Mortuus ci piace. Il fatto poi che egli si ritenga, insieme a Morgan, esperto di Bibbia (risate in sottofondo) ce lo rende addirittura irresistibile (per la cronaca: i due “studiosi” si interessano di Bibbia per la violenza in essa contenuta, che credevate?). Ma al di là del fatto che Mortuus, perfettamente in linea ideologica con la filosofia guerrafondaia della band, nutra persino delle ambizioni intellettuali, è bene rimarcare come questo cantante sappia essere davvero un grande interprete: ora malvagio, ora agonizzante, ora epico, ora declamatorio, con quel piglio teatrale che il suo predecessore ignorava.
E in un contesto in cui il maggiore songwriter della band, ossia Morgan, si è impantanato in una deriva sonica sempre più essenziale (un’attitudine quasi punk, fra sfuriate senza compromessi, efficaci mid-tempo ed impeti marziali), diviene provvidenziale un personaggio istrionico capace di portare da tutti i punti di vista un valore aggiunto, non solo dietro al microfono.
Daniel Rostén (questo il suo nome di "battesimo") vanta infatti un ruolo in prima fila in act come Funeral Mist e Triumphator (sotto lo pseudonimo Arioch). Dietro al suo instancabile latrato si rivela essere il musicista, il genio compositore che non ti aspetti. E certo il suo estro è la causa di quelle “stranezze”, di quei tocchi inediti, quei guizzi di diversità con cui viene condito il suono ortodosso dei Marduk: basta fare un raffronto con le soluzioni bizzarre presenti negli album dei Funeral Mist (si pensi anche al recente ”Hekatomb”, dove Mortuus-Arioch figura come factotum polistrumentista) e quella vena sperimentale che affiora via via nei Marduk di oggi sotto forma di intermezzi atmosferici, incursioni industrial, inserti rumoristici, sinistre dissonanze e sperticate acrobazie vocali. Un contributo crescente che, dai passi incerti compiuti con "Plague Angel" (fin troppo debitore dello stile di Legion), ha caratterizzato lavori brillanti come "Rom 5:12", Wormwood" e "Serpent Sermon", fino ai più recenti, sempre riusciti, "Frontschwein" e "Viktoria".
Insomma, un personaggio di peso, questo Mortuus, che ha saputo incarnare con sicurezza e persino strafottenza il ruolo di nuovo front-man dei Marduk, apportando anche quel pizzico di pepe che ci vuole dal vivo (come quando frullò giù dal palco quel fan ubriaco che provò ad abbracciarlo). Senza poi contare le convinzioni sataniste tronfiamente professate e quelle simpatie naziste cagione di controversie che sono d’obbligo in ogni band black metal che si rispetti. Come non citare, a tal riguardo, la vicenda della presunta adesione al Movimento di Resistenza Nordica, movimento ovviamente di estrema destra. L'aneddotica in questi casi ha sempre un risvolto tragicomico, come per esempio il fatto che il Nostro, insieme al batterista della band, è stato accusato dell'acquisto online di materiale di propaganda di suddetto movimento e ha continuato a negare l'evidenza con tanto di comunicati ufficiali, pur essendoci le prove che il materiale era stato ordinato a suo nome e spedito a casa sua...).
Ma al di là del folclore, i Marduk degli ultimi quindici anni, musicalmente parlando, non hanno niente da invidiare a quelli degli anni novanta, tenendo conto dell’inevitabile processo di invecchiamento che riguarda ogni band: forti di un sound personale ed immediatamente riconoscibile (che ha fatto indubbiamente scuola), essi hanno dovuto solo pagare lo scotto di continuare ad essere tradizionalisti in un’epoca in cui il black si è accattivato consensi soprattutto quando ha saputo ampliarsi in direzione post-rock e progressive. In un'epoca in cui il popolo metal si è fatto più esigente e propenso a stufarsi di proposte che smettono di evolversi.
Più che una band in decadenza, definirei i Marduk come dei veterani che, malgrado i gusti mutevoli del mondo, difendono con onore il loro status di blackster intransigenti. E con un tipino come Mortuus a fare il mattatore, riescono nel paradosso di risultare ancora più intransigenti, pur facendosi, al tempo stesso, portatori di qualche variazione interessante. Ci possiamo stare.