Tempo fa il nostro Lost in Moments ha perfettamente descritto il potere catartico dello spostamento dei dischi che compongono le nostre discografie (con quantitativi a 4 cifre) e della loro ricollocazione in nuovi spazi con un nuovo ordine.
Ebbene, recentemente mi è
capitato, per esigenze di spazio casalingo, di dover riassestare cd&cassette
accumulate nell’arco di 3 decadi, ritrovando, con mio sommo stupore, album dalla qualità altissima che
avevo quasi obliato di possedere.
Colgo perciò la palla al balzo per provare a inaugurare questa nuova rubrica sul Blog: “Fondi di…discografia”! Con l’obiettivo di riscoprire e discettare su quegli album dimenticati, poco celebri, poco trattati in rete, ma che meritano una rispolverata per essere, almeno per un’altra volta, messi sotto la luce dei riflettori. Almeno quella dei nostri riflettori, quelli di Metal Mirror.
Dischi che, per la loro
indiscussa qualità e “importanza”, hanno un loro perché nella cinquantennale storia del nostro Genere Preferito.
Esordisco mettendo assieme due album e due band che hanno tre caratteristiche in comune: sono svedesi, più o meno coetanee e hanno suonato entrambe un progressive piuttosto pazzoide, fuori dagli schemi; sicuramente da punti di vista tra loro totalmente diversi ma parimenti declinato in modo poco convenzionale.
Partiamo con gli…
Abstrakt Algebra - “Abstrakt Algebra” (1995)
Scrivi Abstrakt Algebra ma leggi Candlemass. Quel volpone di Leif Edling
imbarca Jejo Perkovic dietro al drum kit e Mats Levén alla voce (entrambi suoi
compagni d’arme nei Candlemass) e fonda questo side project che tanto side
project non è, posto che in quel momento i Padri del Doom Svedese erano
momentaneamente sciolti. Ma soprattutto si affida, per il ruolo di solista alle
sei corde, a Mike Wead, che aveva partecipato
già alla demo che il buon Messiah Marcolin aveva fatto girare nel lontano 1987,
poco prima dello sfolgorante debut dei Candlemass “Nightfall”. L’impronta
classica di Wead (che collaborerà di lì a poco con il Re Diamante sia nei
Mercyful Fate che nei King Diamond), sarà parte fondamentale del progetto.
Lo diciamo subito: la proposta
del quintetto non è facilmente masticabile.
Edling, non rinunciando agli
umori della band madre (specie nelle ritmiche e nella pesantezza dei riff),
riesce a fondere in un tutt’uno credibile stilemi prog metal, heavy classico,
esoterismi pachidermici (vi pago da bere se riuscite ad arrivare vivi al termine
dei 7’ di “April clouds”) e addirittura qualche scoria industrial,
riscontrabile in voci filtrate ed effettistica di sottofondo, mai ingombrante,
usata con sapienza e buona per sottolineare determinati passaggi più oscuri (specie in “Vanishing Man” che ci immerge in
un clima da industria siderurgica). A tutto questo aggiungete melodie oblique
(quelle a metà di “Bitterroot” sono incredibili!), spiazzanti (l’accoppiata
“Shadowplay” – “Nameless” è emblematica), tetri arpeggi e atmosfere che paiono
nate dalla copulazione dei Sabbath del periodo Dio e il sound dello stesso Dio solista.
Ma su tutto svetta la voce di Matts Levèn, autentico mattatore del
disco che, con la sua ugola potente, estesa e “sabbiosa”, cavalca riff e
strutture portanti dei brani con una padronanza che lascia basiti, facendosi
andare, a tratti, ad acuti strappatonsille della miglior fattura.
Il disco possiede un
songwriting di caratura superiore e, nella sua indubbia omogeneità, ci piace
però citare l’opener “Stigmata” (dotata di un riff assassino e di un
bilanciamento tra potenza e melodia davvero sontuoso), la title track, 7’ e
mezzo di miscellanea heavy/doom/epic/prog metal at ist best, e la suite conclusiva
“Who what where when” che, nel suo quarto d’ora buono, ci dà il colpo di grazia con i suoi cambi di ritmo, umori, parti strumentali prettamente
prog, rallentamenti e ripartenze…insomma una follia che ben rappresenta il
progetto Abstrakt Algebra!
Tanta carne al fuoco quindi ma la
cottura è bilanciata, saporita e, nonostante la pesantezza finale (rasentiamo
l’ora di total running time) e qualche “dispersione”, stimola a riassaggiarla
più volte.
Ad “A.A.” non ci sarà seguito però: il materiale composto per il sequel pare fosse talmente ostico che Edling preferì nel 1997 ridare vita ai Candlemass…questo disco rimarrà davvero una mosca bianca nel panorama metallico dell’epoca.
Chicca per collezionisti e
intenditori…
Voto: 7,5
Änglagård - “Buried Alive” (1996)
Cambiamo decisamente “umore” e
“ambientazione” e immergiamoci in questo live fenomenale degli altrettanto
fenomenali Änglagård.
Mettiamo subito le carte in tavola: tutta la genesi del prog svedese, che tanto darà al Metal negli anni a venire (Anekdoten, Pain of Salvation, Evergrey, Wolverine, Andromeda, Seventh Wonder, Soen ecc.) prenderà a piene mani dall’eredità di questa band formata da musicisti di qualità straordinaria, capitanati dal cantante/chitarrista Tord Lindman. Per rappresentarli, più che con i loro due ottimi dischi in studio di inizio anni novanta (“Hybris” e “Epilog”) preferiamo buttarci sul susseguente live “Buried Alive” (show risalente alla loro partecipazione del 1994 al Progfest di Los Angeles) nel quale, in soli 6 brani per una durata di 70’, i Nostri mettono in luce in “presa diretta” tutte le loro qualità, compositive e strumentali.
Se gli amanti di King Crimson e Van Der Graaf Generator, quali noi siamo, troveranno molti punti in comune con il modus operandi degli Änglagård, non si deve però cader in errore: i Nostri suonano con un’energia, e una potenza, che è assimilabile all’approccio e alle sensazioni suscitate dal metallo (e ad ogni modo qualche influenza doomica si coglie sparsa qua e là).
Composizioni lunghe, lunghissime, quasi sempre strumentali (e quando entra il cantato, essendo in lingua madre, riveste quasi la funzione di ulteriore “strumento”) ma mai noiose. Merito di una scrittura sempre ispirata, articolata il giusto, capace di emozionare con parti soffuse e dolcissime (contribuisce il fondamentale apporto del flauto di Anna Holmgren) e subito dopo giustapporre accelerazioni che sfociano in trascinanti cavalcate prog rock.
“Jordrok” (paurosa!), “Höstsejd”, “Sista somrar” (la mia
preferita) sono autentici capolavori, pezzi fuori dal comune sentire.
Un’importante fetta della storia
del Prog europeo passa anche da qui.
Voto: 9
A cura di Morningrise
Gli altri "fondi"...:
- Decoryah
- Messiah