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3 mag 2021

"FONDI DI DISCOGRAFIA" - I MIGLIORI ANNI DI MR. WALKYIER

 



A dispetto della sua statura, parecchio modesta, è l’enorme carisma che ha sempre emanato la sua presenza scenica che ha fatto di Martin Walkyier uno dei personaggi più affascinanti e immeritatamente meno noti del panorama metal dell’ultima decade dello scorso secolo.

Ora che è passata tanta acqua sotto i ponti dalla sua fuoriuscita dagli Skyclad (20 anni: ultimo lascito il live “Another fine mess”, 2001) ci piace celebrarlo, il buon Martin. Perchè la sua figura, tra il losco e l’ossianico, è stata tanto particolare quanto poco conosciuta. Tanto coerente quanto poco valorizzata.

In queste due decadi, qualche progettino qua e là (Hell, Martin Walkyier’s Skyclad) e una sola demo con i The Clan Destine, monicker che richiama uno dei suoi consueti puns, o “giochi di parole” che dir si voglia.

Il nostro Martin, figlio unico, gìà da bambino comincia a incrociare le sue grandi passioni: recitazione, poesia e musica. Imbraccia la chitarra e comincia a spenderci sopra parecchio tempo. Tanto che, appena ventenne, molla il lavoro che aveva trovato (autista di camion) e fonda i Sabbat.

Ora, i Sabbat non ebbero un gran successo e, personalmente, non mi fanno impazzire. Ma vanno ricordati per almeno un paio di motivi (e la nostra rassegna sui Fondi di Discografia ci aiuta in tal senso). 

Il primo motivo è il ”lancio” di quello che diverrà uno dei produttori più richiesti del metallo mondiale degli ultimi 25 anni, cioè Andy Sneap. Il giovane Andy, a 19 anni, si imbarca nel progetto Sabbat e si rende protagonista di prestazione notevoli alle sei corde, dimostrando ispirazione, qualità e capacità tecniche superiori alla media. 

E il secondo motivo, e più importante, è quello di aver lasciato al nostro Genere Preferito un paio di dischi (“History of a Time to Come” e “Wayfearer”) che, pur non delineandosi come “capolavori”, riuscivano a indicare una nuova via al moribondo thrash di fine anni ottanta: riff thrashy, rallentamenti doomici, improvvisi ricami acustici, la voce grattante di Martin…insomma, un’ibridazione ardita, non sempre riuscitissima, ma oggettivamente fresca e spesso ispirata. Brani come “Horned is the hunter”, “Behind the crooked cross” e “The church bizarre” sono un ottimo esempio di quanto detto. Questa miscela va’ vieppiù calata in un contesto lirico pagano, misticheggiante, magico.

I Sabbat si sfaldano e Martin non si perde d’animo; fonda gli Skyclad che, chiariamolo subito, di “cagate” non ne faranno mai in tutta la loro carriera. Se le prime uscite della band non si discosteranno granchè dagli umori dei Sabbat stessi, è a metà degli anni novanta che Martin fa il salto di qualità. Nel suo periodo d’oro, che oggi vogliamo fare emergere dai nostri Fondi, il Nostro mette assieme una sequenza di almeno 4 dischi, tutti molto simili da un punto di vista e stilistico e qualitativo, che meritano di essere ricordati. Se di “Irrational Anthems” il nostro Blog si è già diffusamente occupato, non da meno sono i dischi che, immediatamente prima e immediatamente dopo, hanno preceduto e seguito quel capolavoro. Da “Jonah’s Ark” a “Prince of Poverty Line”, da “The Silent Whales of Lunar Sea” a “The Answer Machine?”.

Così scriveva il nostro Dottore a proposito della band: Il folk degli Skyclad muove dall'incrocio del metal con la musica popolare, sicuramente con un retroterra pagano, ma con la volontà di dare subito un'applicazione del modello folk alla trattazione della contemporaneità. Non si tratta quindi di un recupero di stili passati per il gusto dell'antico, ma della trasposizione di elementi tradizionali (il violino folk) e di moduli tradizionali (le ritmiche saltellanti e serrate) in composizioni che parlano di politica, società e temi esistenziali dei nostri tempi. E mai analisi fu così precisa e calzante.

L’equilibrio tra asprezze metalliche e melodie celtiche, mood da pub irlandese, ritmiche da gazzarra alcoolica e mitragliate di parole sparate a mille all’ora da un Walkyier invasato. E’ il folk thrasheggiante della working class anglosassone, un folk che non vuole evocare paesaggi naturalistici mozzafiato né spiriti pagani o il bel tempo che fu...no, questa è musica di denuncia sociale, che, sempre per citare il nostro Dottore, “sta sulle barricate”, rivendica la propria identità e il proprio orgoglio in un contesto di cambiamenti sociali radicali, dettati da una modernità che si fatica a comprendere (e che perciò si tende a rigettare). 

A costo di sembrare “forzato”, quindi, mi piace pensare a Walkyer come al “Ken Loach del Metal”, il musicista che ha dato voce a tutti coloro che sono piegati dalle sconfitte della quotidianità ma non si spezzano, rialzandosi e andando avanti nonostante le storture della società e le amarezze di una vita fuori dalle luci della ribalta. E che, per farlo, usa programmaticamente chitarra&violino, gli strumenti folkish, del popolo. Componendo canzoni per divertirsi e ballarci sopra, ma anche utili a riflettere e ad indignarsi.

Una poetica, una chiara visione della vita e della società che, nel metal folk e nei giochi di parole delle sue liriche, ci viene sputato in faccia, a una velocità quasi rap.

Dando dignità a tutti quei Principi sulla Soglia di Povertà come lui. Come Martin Walkyier.

A cura di Morningrise

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