Il metal è morto, si diceva. Ce ne siamo accorti quasi per caso,
apprendendo della scomparsa di Lemmy, facendo un bilancio dell’anno
appena trascorso ed andando, pochi giorni dopo, a vedere l’ultimo episodio
della saga “Star Wars”: “Il Risveglio della Forza”.
Questa
non è una recensione del film, ma vi saranno degli SPOILER, pertanto chi
non l’ha visto per oggi è dispensato dalla lettura di Metal Mirror
(andate in pace ed ascoltatevi pure la discografia intera di Gigi D’Alessio).
Non
siamo degli appassionati di “Star Wars” e se siamo andati a vedere
l’ultimo episodio della saga è un po’ per noia e un po’ per curiosità. L’uscita
dell’Episodio VII è, volenti o nolenti, l’evento cinematografico
dell’anno, per lo meno mediaticamente parlando. Forse al cinema c’eravamo solo
per poterne parlare, magari per poter criticare, ma mentiremmo se
dicessimo che ci siamo andati mal volentieri: siamo cresciuti con la prima
trilogia, abbiamo sopportato la seconda, siamo abbastanza disillusi per iniziare
a guardare la terza.
Il
film è scorrevole, non annoia, ha ritmo e punta tutto sull’effetto
nostalgia. A prescindere dalle scelte effettuate per la sua realizzazione, l’esito
sarebbe stato comunque lo stesso: un successo stratosferico ai botteghini.
E così è stato.
Ma
gli aspetti economici non ci interessano. Saremo forse ingenui, ma quello che ci chiediamo è: visto che si era consapevoli che l’operazione sarebbe stata votata
inevitabilmente al successo, con tutte le risorse che si hanno avuto a
disposizione, e con l’ambizione di andare a confrontarsi con il Mito, non era
proprio possibile fare le cose leggermente meglio? Tipo scegliere attori
credibili o scrivere dialoghi dignitosi? E dire che non siamo ragazzi
pretenziosi: ci saremmo accontentati di una sceneggiatura votata all’autocelebrazione
più bieca, che desse enfasi alle vicende, che disseminasse la pellicola di scene
madri, momenti topici con la solo finalità di sfruttare il Mito fino in fondo e lavorare sulla sfera delle emozioni.
È il tocco Disney a disturbare, un tocco di plastica che forza un classico
della fantascienza popolare nella direzione di un cartoon buonista per
famiglie. Gli attori scelti sono semplicemente impresentabili, sembrano uscire
dagli scarti dei casting dei programmi di Disney Channel. Dio benedica Harrison Ford, che peraltro non mi ha mai fatto impazzire, Mark
Hammill, attore mediocre che a parte “Star Wars” ha fatto poco o nulla
nella vita, e Max Von Sydow, un grandissimo ma che compare per il tempo
di una scoreggia (mentre un velo pietoso va steso sull’interpretazione di Carrie
Fisher, la cui recitazione non è stata sicuramente aiutata dai decenni di alcool,
psicofarmaci e depressione che si porta sulle spalle). Ma al di là degli
attori, sono proprio i personaggi ad essere insipidi: se l’idea era quella di
creare i presupposti per una nuova trilogia (aspettiamo di vedere gli
sviluppi), al momento l’obiettivo pare decisamente mancato.
La
nuova generazione non fa altro che imitare quella vecchia. Si è tacciato
l’episodio VII di non essere altro che un remake del IV (reboot dicono oggi), il primo
in ordine cronologico, nonché il più amato da tutti (e il meglio riuscito,
potremmo aggiungere!). E in effetti molte sono le somiglianze, fra cui spicca
l’idea di un team di personaggi “improvvisati” e apparentemente male
assortiti che, dopo un periodo di formazione, si ritrovano riuniti per combattere
le forze del Male. L’eroina Rey (Daisy
Ridley) tutto sommato ci può anche stare, e pure il robbottino BB-8
(adorabile e disneyano fino al vomito). Non sta a ragione, invece, aver reclutato gli insulsi John Boyega (improbabile stormtrooper
pentito) e Oscar Isaac (insopportabile pilota della Resistenza
): uno di colore, l’altro latino-americano (come a voler
rimarcare la via ostentata del “politicamente corretto”), a costoro manca indubbiamente il physique du role per poter stare anche solo accanto a Han Solo e Chewbecca
nella medesima inquadratura.
In
particolare nella definizione del nuovo “antagonista”, tale Kylo Ren,
copia sbiadita del mitico Darth Vader, si poteva fare meglio, molto
meglio. Punto primo: ma chi cazzo avete scelto come attore? Volto più
insulso e sgradevole non poteva essere scelto, Vinicio Capossela faceva sicuramente
una figura migliore. Mi chiedo quali agganci abbia avuto il giovane Adam
Driver, con all’attivo una risicata filmografia, per potersi
aggiudicare una parte così importante. Punto secondo: posso capire il percorso di definizione identitaria (la venerazione del nonno Vader, la lotta incessante fra forze del Bene e del Male, il bipolarismo che ne consegue), ma Kylo Ren ha veramente zero carisma. Cazzo: eri il più promettente degli allievi Jedi e prendi le mazzate da una tipa che ha preso una spada laser in mano per la prima volta quindici minuti prima? Punto terzo: Darth Vader aveva bisogno di maschera ed armatura
in quanto tagliuzzato a fette ed ustionato per benino, ma se Kylo Ren è
perfettamente integro nel fisico (ma non nella psiche, evidentemente) che
bisogno c’era della maschera (fra l’altro molto simile a quella del suo
inarrivabile predecessore) se non per un insano spirito di emulazione?
Ricordiamo che nella scorsa trilogia, che già non ci aveva entusiasmato, almeno c’era stato il tentativo di dare corpo ai personaggi con degli attori scafati come Liam Neeson, Natalie Portman ed Ewan McGregor: poi magari non ci sono piaciuti nemmeno loro, ma almeno c’era stata la buona volontà. E’ come se nel passaggio fra generazioni si sia perso qualcosa: oggi abbiamo effetti speciali, mega-produzioni, ma non abbiamo le emozioni, che paradossalmente riescono a dare i volti segnati dall’età di Harrison Ford e Mark Hammill (come già detto non proprio degli attori eccelsi). Ed infatti due sono stati i momenti in cui mi sono emozionato: la morte (peraltro prevedibilissima) di Han Solo (comunque un momentaccio non indifferente) e l’apparizione a due secondi dalla fine di uno stoico ed invecchiato Luke Skywalker, nel saio e nel volto di un Mark Hammill con tanto di rughe e barba da asceta. Come a dire: the old school rules!
Ma
cosa c’azzecca tutto questo con il metal? Apparentemente nulla, ma
sono troppi i parallelismi con quello che si diceva nel post precedente
per ignorarli. Ma attenzione: non vogliamo gettare una similitudine fra le
varie trilogie di Guerre Stellari e l’evoluzione/involuzione del metallo
nella sua quarantennale storia. No, non vogliamo favorire impulsi nostalgici e
gridare: “Evviva gli antichi tempi gloriosi, che schifo oggi!”, oppure: “Si
stava meglio quando si stava peggio!”.
Sostenendo
che il metal è morto (o che rischia seriamente di morire),
abbiamo raccontato come in verità il cambiamento sia sempre stato salutare per
il genere e per i suoi sviluppi. L’esito disastroso (artistico ed emotivo)
della prosecuzione della saga di “Star Wars”, ci può invece servire da monito,
affinché il metal non faccia la stessa triste fine.
I
produttori del nuovo episodio si sono trovati innanzi ad un bivio. C’era
la via più ambiziosa, ma anche più coraggiosa: provare a costruire qualcosa di
nuovo che sprigionasse nuove forze creative che agissero nel rispetto di un illustre
passato. Oppure la via meno rischiosa: copiare pedissequamente il passato. Indovinate
un po’ qual è stata la loro scelta?
Lo
stesso bivio si presenta oggi al metal, che ha la possibilità di evolversi,
come di rimanere saldo e fieramente imprigionato nei suoi sempiterni cliché,
non capendo che il passato va visto come un patrimonio e non come uno scomodo
rivale. Dare un seguito al Mito può essere un’opportunità ed un ostacolo
al tempo stesso. Il vantaggio principale di una situazione del genere è che non
si viene dal nulla, bensì si dispone di un prezioso bagaglio esperienziale che
diviene base di partenza e lettera di referenze che ci accredita verso il
prossimo. Lo svantaggio sta invece in un nefasto confronto con un passato
irraggiungibile e probabilmente insuperabile, se ovviamente si decide di emulare
e non creare qualcosa di personale.
Nel loro
percorso di emancipazione, le giovani leve del metallo avrebbero la via
spianata per fare grandi cose. Di contro, nel continuare a crogiolarsi nel loro
bacino di sicurezze, esse non potranno di sicuro portarsi al di sopra, ma nemmeno al pari, degli standard originari. Infarcire il tutto di
mega-produzioni, effetti speciali (leggasi: orchestre, cori ecc.), od affidarsi esclusivamente
alla tecnica ed al mestiere, a poco serve di fronte alle mirabolanti energie
creative che il metal ha mostrato ai suoi albori. Pochi mezzi, tanto cuore,
potremmo concludere!
Entrambi,
“Star Wars” e Metal, hanno almeno fino ad oggi il loro pubblico
garantito, a prescindere dalla qualità di quello che avranno da offrire. Sul
primo versante, con la prevedibile logica della comodità e dell’incasso sicuro,
riavremo certamente una nuova trilogia di Guerre Stellari che non sarà
altro che una minestrina riscaldata. Spero che il metal conservi in sé ancora
qualche energia vitale e l’orgoglio per ribellarsi ad un simile destino.
Che
la Forza sia con lui…