Fantasia metallica: una navicella
spaziale verrà inviata su un pianeta lontano, dove si è scoperto che vi dimora
una civiltà aliena. Sulla navetta verranno caricati i manufatti artistici e
scientifici più rappresentativi nei diversi ambiti dell’agire e del pensare
umano, in modo tale che fungano da
biglietto da visita della nostra Specie; in modo tale cioè da farci conoscere indicando il grado di
Civiltà attualmente raggiunto dall’Uomo.
Se per assurdo dovessero chiedere
a me (eeehh...le imperscrutabili decisioni del Governo della Terra!) di scegliere un disco, un
solo album da imbarcare in questa missione; un dischetto ottico a lettura laser
che dovrà rappresentare tutto il Reame del Metallo dalle sue origini ad oggi;
un’unica opera per far capire cos’è il Metal a chi non lo ha mai conosciuto...ebbene non avrei dubbi: indicherei “The
Sound of Perseverance” dei Death.
Sarebbe una scelta sulla quale non
potrei soffermarmi troppo: se lo facessi, mi verrebbero in mente altre decine
(centinaia?) di titoli che potrebbero assolvere con tutti i crismi questo oneroso compito. E quindi la mia sarebbe una scelta di pancia, di
istinto. E, non lo nego, di cuore. Ma, nella sua immediatezza, supportata anche da una buona dose di razionalità e ponderatezza.
Perché quindi TSOP? Perché credo
che nessun altro come, quanto e più di esso assolva meglio alla funzione sopra
richiesta. Sia come espressione riassuntiva di 20 anni di Storia Metal, (convogliando
in sé una moltitudine di elementi tecnici, stilistici e concettuali di ciò che lo ha preceduto); sia perché fu capace di tracciare una strada stilistica per il futuro del Metal,
per il nuovo millennio che di lì a poco si sarebbe aperto.
E questo restando totalmente dentro al recinto metallico, senza copulazioni con altri stilemi esterni ad esso.
TSOP è Metal puro, senza aggettivi (nè post nè avantgarde nè alternative ecc). Solo Metal, come si suol dire, “at its best”. Al contempo
quindi, un traguardo e punto di partenza.
Prerogativa dei capolavori. Parola di cui tutti noi spesso abusiamo. Ma
obiettivamente quantomai calzante per quest’opera d’arte messa in musica.
Potete quindi capire la mia
sorpresa nel momento in cui, seguendo con interesse e passione la Rassegna sui
10 gruppi più repellenti del Metal del nostro Dottore, ho ritrovato al secondo posto l’analisi proprio di TSOP. E, addirittura al primo posto, quello che possiamo ragionevolmente considerare la sua naturale continuazione, il suo logico
seguito: e cioè quell’altro capolavoro immane che risponde al nome di “The Fragile Art of Existence” dei
Control Denied (del resto la formazione dei C.D. era composta dagli stessi musicisti con la non trascurabile
aggiunta di quel mostro di tecnica di Steve Di Giorgio al basso e dell’ottimo
singer Tim Aymar).
Certo dopo teste mozzate che
limonano, merde in bocca, chirurghi pazzi che si scopano donne che hanno appena abortito, uomini cacati dagli intestini di bovini, ecc., trovarmi le due
creature più belle di Chuck ai primi due posti è stato davvero inaspettato. Ma dopo aver
letto e riletto quei post ne ho capito il motivo e il ragionamento che sta
alla base della spiazzante scelta.
Senza andare a rielaborare e
approfondire temi e concetti che il nostro Doc ha sviscerato già in maniera
magistrale (in particolare quelli della repellenza esistenziale e della filosofia della repellenza), vorrei però dare un mio piccolo, personale, contributo alla
discussione sulla poetica di Chuck; o quantomeno quello che a me hanno trasmesso le sue ultime opere. E per farlo devo partire da una
data.
13 maggio 1999. Accaddero tre cose:
1 - venne pubblicato "The Fragile Art Of Existence"; 2- Chuck compì 32 anni; 3- gli venne anche diagnosticato (ma quanto è beffardo a volte il destino??!!) quel maledetto tumore che ce lo porterà via nel giro di due anni e mezzo.
Appresa la tragica notizia il mio pensiero si soffermò con maggiore attenzione sul nome scelto per la band: Controllo Negato
(bellissimo monicker peraltro). Sembra quasi un presagio di quello che sarebbe stato di lì a poco.
La
tua vita infatti, una volta che ti diagnosticano un male del genere, non puoi più
controllarla autonomamente. Ti devi affidare ai medici, ai farmaci, alla
scienza. Non hai più il volante in mano. Non riesci a incidere sui fatti della
tua esistenza. Che diventa, appunto, più fragile, precaria. A corto raggio.
E' anche alla luce delle vicende personali di Chuck che TSOP e TFAOE acquisiscono,
nella loro insuperabile bellezza artistica, un'aura davvero inquietante. Direi meglio
ancora disturbante (le due straordinarie cover peraltro aumentano da subito tali sensazioni). Ti lasciano sotto pelle
un senso di precarietà, una consapevolezza lucida di quanto sia difficile non
solo comprendere il senso della vita, ma anche le modalità, se esistono, di
viverla al meglio. E la domanda sorge spontanea,
appunto: esistono queste benedette modalità??!! Cosa ci dice in merito Chuck attraverso la sua musica e i suoi testi?
Lasciamo un attimo la domanda in sospeso. E cambiamo personaggio e forma artistica. Dalla musica al cinema.
Un paio di mesi
prima di quel fatidico 13/05, il 07 marzo ‘99, era morto in Inghilterra (lontano dalla sua città natia; destino che toccherà anche a Chuck nel 2001) un altro newyorkese
illustre: Stanley Kubrick. Come tutti sanno, se non il più grande, uno dei più grandi Maestri
della Storia del Cinema.
Cosa c’azzecca nel nostro discorso su Chuck il regista americano?
Ebbene: l’accostamento tra questi due
enormi artisti in realtà mi è venuto subito naturale perché quello del “controllo negato”
è esattamente il tema centrale di tutta la poetica sviluppata da Kubrick nel corso della
sua ultra-quarantennale carriera. E’ il fil rouge che ha attraversato tutta la
sua produzione.
Com’è noto Kubrick si è cimentato,
sfornando sempre dei capolavori, con tutti i generi cinematografici possibili:
dai noir degli esordi ai film bellici; dalle opere storiche alla commedia nera;
dalla fantascienza con risvolti filosofico-sociali alla satira grottesca; dal
drammatico al thriller orrorifico. Insomma: un’ecletticità assolutamente unica
e inimitabile.
Come detto, il filo conduttore in opere tanto tematicamente
differenti è proprio l’incapacità/impossibilità dei personaggi kubrickiani
di afferrare le redini della propria vita e condurla verso i propri obiettivi.
Più l’anelato controllo viene ricercato e insistentemente voluto, più il flusso
della vita, degli eventi e delle azioni altrui lo distraggono da esso e lo
portano, inevitabilmente, alla rovina e/o alla morte.
Pensateci: questo è l’amaro e
frustrante destino di Johnny Clay/Sterling Hayden in “Rapina a mano armata”;
del dott. Humbert/James Mason in “Lolita”; di Barry Lyndon/Ryan O’Neill e di
Spartaco/Kirk Douglas negli omonimi film; o ancora di Alex De Large/Malcolm
McDowell in “Arancia Meccanica” e, con conseguenze addirittura devastanti per
l’umanità, del colonnello Lionel Mandrake/Peter Sellers ne “Il Dottor
Stranamore” che non riuscirà, nonostante strenui e commoventi sforzi della
ragione, ad evitare che l’olocausto nucleare si compia.
Probabilmente però questo grande
tema esistenziale, che investe in modo ontologico la condizione umana, fu
espresso in maniera plastica, e al contempo terribile, in “Shining”: Jack
Torrance/Jack Nicholson, totalmente privo di controllo sulla propria vita famigliare e artistica (e quindi esistenziale) subirà la conseguenza di
perdere completamente il senno (nel plot ovviamente a causa anche dell’influsso
malefico dell’”Overlook Hotel”) fino a cercare di compiere quello che è
probabilmente il gesto più atroce che un uomo possa compiere: uccidere un
bambino innocente; bambino che per di più è suo figlio.
Kubrick affrontò anche nel suo ultimo
lungometraggio il tema del controllo negato: in “Eyes Wide Shut” il dott. William
Harford/Tom Cruise vaga di notte per New York, continuamente sballottato da
eventi sconvolgenti sui quali non ha nessun potere di controllo. E quando,
indagando su di essi, proverà a incidere sulla realtà, la sua inadeguatezza si
esprimerà in maniera lampante e tragica.
Quello che, a questo punto, ci interessa capire è se i Nostri Due, questa strana coppia, hanno proposto non dico una soluzione, ma quantomeno un modo per cercare di
utilizzare al meglio il tempo che abbiamo a disposizione su questa terra. Un
atteggiamento di vita che possa contrastare, compensandolo, il terribile
destino del controllo negato.