Il carattere distintivo della Norvegia
è come l’avvertenza nella parte posteriore di un autobus: ti indica la distanza
di sicurezza da tenere (Gylve Nagell – alias Fenriz)
Nel bellissimo documentario sul
Black Metal norvegese “Until the light
takes us”, di cui Metal Mirror ha già trattato grazie al nostro Lost In
Moments, veniamo a conoscenza di un personaggio che, ad oggi, è considerato il
più importante artista contemporaneo norvegese: Bjarne Melgaard.
Classe ’67, Bjarne è un cittadino
del mondo: nato in Australia da genitori norvegesi, è cresciuto ad Oslo ma il
suo lavoro l’ha portato a fare esperienze, di vita e di lavoro, in mezza Europa
e negli Stati Uniti, dove attualmente risiede.
A cura di Morningrise
Melgaard non è né un pittore né uno
scultore ma una sorta di “artista a tutto tondo”, essendo le sue opere un mix di disegni, quadri e installazioni in cui ha spazio anche la
parola scritta, il tutto approcciato con un gusto e un punto di vista
fortemente provocatorio.
Tra i diversi temi affrontati
nella sua carriera, un posto di spicco lo hanno avuto il sesso (soprattutto
nella sua forma sadomasochistica) e la musica. Ed essendo norvegese, ma
soprattutto interessandosi alle sottoculture sociali alternative, non poteva
che accostarsi da vicino al Black e fare la conoscenza di chi quel genere l’ha
forgiato.
Il perché Melgaard sia stato così
affascinato da Darkthrone, Immortal, Burzum e compagnia satanica, ce lo spiega
lui stesso, confrontandoli (e dandoci quindi lo spunto per questo post) nientepopodimeno
che al norvegese più celebre della storia recente: Edvard Munch (1863 - 1944):
“Mi sono fermato a pensare cosa
fosse il vero fenomeno culturale in Norvegia, e non riuscivo a trovarlo. La
Norvegia è piena di fenomeni culturali mediocri e se ve ne sono di importanti,
sono completamente ignorati. Cosa succede con il Black Metal qua in Norvegia? Quello che
mi interessava di più in esso era l’estetica spettacolare, lo stereotipo del
corpse-paint. Assomiglia a qualcosa che avevamo visto in passato, ma non è la
stessa cosa. Se confronti la foto di “Transilvanian Hunger” con “L’urlo” di
Munch vi sono molte similitudini. Non credo che sia un riferimento forzato,
come dicono alcuni. Munch sapeva che c‘era da
aver paura dell’eccesso di emozioni…un contenuto emozionale che ho rilevato
soltanto nel Black Metal norvegese”.
101 anni: tanti sono passati da quello che è senza dubbio uno dei più celebri dipinti della Storia dell’Arte ("L'Urlo"- 1893, appunto) dal più importante album black, "Transilvanian Hunger" (1994) dei Darkthrone.
Melgaard, come suriportato, dà una bellissima chiave
di lettura per questo parallelismo che può apparire azzardato ma che a me ha fatto
tornare in mente le splendide parole scritte dal nostro Mementomori nel momento
in cui descriveva proprio TH e la sua copertina: “[…] fino ad arrivare a un
bianco/nero (quasi si trattasse di un quadro astratto o neo-impressionista) di
un losco figuro urlante e con un candelabro in mano appena distinguibile nell’oscurità”.
Come racconta lo stesso Munch,
l’ispirazione per il quadro nasce da una visione di un tramonto su un fiordo in
cui l’autore dichiara di avvertire una vertigine; in cui la Natura che lo
circonda pare essere attraversata da un urlo dolente e potentissimo, tale da
provocargli appunto un senso di vertigine insopportabile. In quella figura
priva di capelli, quasi senza scheletro, che pare fusa direttamente con
l’ambiente circostante, ognuno di noi vi può vedere quello che più sente e che
l’immagine gli fa avvertire nell’animo.
Di certo, ciò che suscita l’Urlo
attiene alla rabbia, al dolore, alla paura e l’angoscia. Per l’esistenza limitata dell’Uomo? Per la
consapevolezza della fuggevolezza dell’esistenza? Per la falsità dei rapporti
umani? Dai critici abbiamo letto di tutto. E ogni interpretazione è ovviamente
valida.
Seguendo il filo del nostro
ragionamento comparativo, possiamo dire a questo punto che, a differenza de “L’Urlo”,
opera pittorica che rimane di fatto “sorda e muta”, TH si può, per nostra
fortuna, anche ascoltare con il senso dell’udito. E il riff che ci accoglie una
volta schiacciato “play” è probabilmente il riff più celebre della storia del Black, quello della title track.
Qualche tempo fa, in riferimento ad esso, il nostro
Dottore mi disse: “è un riff che ti prende e ti trascina giù”. Poche parole, ma
così efficaci e adeguate. Forse è proprio in questo
concetto, in quel "ti trascina giù", che vedo il trait d’union tra Munch e i
Darkthrone, tra “L’Urlo” e TH, link individuato anche da Melgaard. E cioè che
sono entrambe opere che ti afferrano
nello stomaco, ti avvolgono e ti obbligano a scavare nei recessi del tuo
animo a porti le domande sul senso della vita e, in definitiva sulla sua
limitatezza e tragicità. Il tutto dominato da un senso di Morte di una potenza mai vista e udita.
Lo capiamo più a fondo ancora una
volta grazie alle parole di Mementomori: “[…] melodie che corrono alla velocità
della luce, scavano, penetrano nella carne e nelle ossa, perforano la materia
fino a trascendere il Reale. […] Quel che ci insegnano i Darkthrone è che il
Black Metal è un genere che tende all’Assoluto, un movimento, uno slancio
artistico che […] trova la sua forma più autentica, la perfezione, man mano che
si approssima a quel luogo posto oltre l’Infinito”.
Impossibile dirlo meglio.
Impossibile specificarlo in maniera più efficace.
Due capolavori assoluti quindi
che veicolano, con strumenti diversi e con uguale grandezza artistica, la tragica
piccolezza della Natura umana.
Due opere che ci fanno capire il
perché, come ci diceva Fenriz all’inizio del nostro scritto, bisogna stare
attenti a non avvicinarsi troppo alla personalità della Norvegia…