Continuiamo la nostra chiacchierata con il mitico Phil Lynott, compianto leader dei Thin Lizzy.
Nella prima parte dell'intervista, il musicista irlandese ci aveva sviscerato soprattutto i temi legati alla sua difficile infanzia.
Ora ci concentreremo di più sugli aspetti prettamente musicali, anche se, nel fluire della discussione, gli argomenti toccati sono stati molteplici...
A cura di Morningrise
MM: Ok, Phil, cambiamo argomento.
Quello che impressiona nei vostri dischi è la capacità di miscelare la forza e
l’immediatezza del rock con una caterva di altre influenze. Io ci ritrovo del
proto-metal, del blues, del country ma soprattutto del folk. O sbaglio?
PL: Ebbeh, ovvio! Essere
irlandese e non avere influenze folk è come essere brasiliani e non amare il calcio…scherzi a parte, l’anima folk nei TL emerge perché ne era intrisa la mia, di
anima.
Sai, mi sono avvicinato alla musica con la collezione di dischi di mio zio che ne aveva una marea. Ci ho trovato tanti gruppi blues e rock ma anche molti folk e così fu molto naturale per me trasporre questi elementi nella musica dei TL.
Sai, mi sono avvicinato alla musica con la collezione di dischi di mio zio che ne aveva una marea. Ci ho trovato tanti gruppi blues e rock ma anche molti folk e così fu molto naturale per me trasporre questi elementi nella musica dei TL.
MM: E non è un caso che il primo
grande successo fu “Whiskey in the Jar”, un brano della tradizione popolare
irlandese..
PL: Eh, si strana la vita! Fai
successo con un pezzo che non è neppure tuo!
MM: Però dai...ma come l'avete
riarrangiata?? Spettacolo!
PL: Si, si…ci è uscita
discretamente bene, direi! (ride ancora, NdR)
MM: E della cover dei Metallica
che mi dici? La riproposizione fatta da Hetfield e soci in “Garage inc.” nel
1998 credo che abbia sdoganato il nome dei TL anche nella comunità di
metallari. Che ne pensi?
PL: Si, può essere. Però sai, non
è che mi interessassi molto alla cosa. E poi sono tutte vicende che ho vissuto
da quassù…quando è uscito “Garage inc.” ero già morto da 12 anni!
MM: Senti Phil, parliamo del segno che hai lasciato, che hanno lasciato i tuoi Thin Lizzy. Cioè, oramai siete
all’interno delle classifiche rock di sempre, la città di Dublino ti ha dedicato già più di
dieci anni fa una statua in bronzo in pieno centro, siete tra i
gruppi più amati, coverizzati, stimati dai colleghi…Hetfield ancora oggi nel
2016 gira video dei Metallica indossando le vostre t-shirt; Kirk Windstein dei
Crowbar si è tatuato il vostro logo sulla gamba. Per non parlare dei Maiden…
PL: Beh, è straordinario
effettivamente. Quando cominciammo non me lo sarei mai immaginato. Non lo nego:
fa’ piacere essere stimato dai colleghi. Ma probabilmente, ora che sono qui,
avrei preferito essere meno influente e stimato e vivere di più…
MM: Quel brano che ti ho citato
prima, “Honesty is no excuse”, che è bellissimo tra l’altro, a qualcosa a che
vedere con questo rimpianto che ti leggo negli occhi?
PL: Beh, se lo leggiamo col senno
di poi, si. Ho trattato male il mio corpo, l’ho portato al limite. Troppo, e
troppo in fretta. E alla fine queste cose le paghi. Il fatto di essere stato
sempre libero e onesto con me stesso e con gli altri, con tutti i miei limiti,
non mi esime dalle mie responsabilità. Non tanto come professionista, quanto
come padre. La droga e l’alcool non hanno solo portato alla rottura con mia
moglie, ma soprattutto a lasciare senza padre le mie figlie. Cazzo, se ci
penso…Cathleen, la mia seconda figlia, aveva solo sei anni quando sono morto…mi
sento una merda da questo punto di vista. A maggior ragione per ciò che avevo vissuto io nella mia
infanzia...
MM: Senti, passiamo a cose più
positive: ti siamo venuti a trovare per celebrare i 40 anni di “Jailbreak”, da
molti considerato il vostro capolavoro.
PL: “Jailbreak” è un disco che ci
è uscito davvero bene. Oramai eravamo rodati, con Scott (Ghoram chitarrista dei TL
dal ‘74, NdR) e Brian ci conoscevamo da anni e ci intendevamo perfettamente. Non
sono stati anni semplicissimi comunque. C’erano casini sul posto di secondo
chitarrista, tra Robertson e Gary Moore. Due talenti, due personalità forti…non
era facile gestire entrambi. A proposito, lo sai che anche Gary è passato da
quest'altra parte? Lo ha stroncato un infarto cinque anni fa…
MM: Ehm, si…me lo hai detto poco
fa. Sappi che lo considero un grande!
PL: E fai bene a considerarlo
tale! E’ anche per merito suo se abbiamo fatto il salto di qualità dai nostri
primi lavori. Ed è anche per merito suo che da “Nightlife” in poi abbiamo
trovato un contratto con una major (la Mercury, NdR). Gary ha scritto con me
pezzi che si sono rivelati dei successi incredibili, come “Waiting for an
alibi” e “Roisin Dubh (Black Rose)” e..
MM: Scusa scusa Phil, già che
l’hai citata: “Roisin Dubh” secondo me è un pezzo emblematico dei TL perché
porta con se tutti i germi di quello che sarà poi molto heavy metal a venire. Con
in più una dose di epicità notevolissima…
PL: Si, anch’io lo considero un
pezzo avanti coi tempi. E’ uno dei miei preferiti.
MM: Scusa, ti ho interrotto. Tornando
a “Jailbreak”: tutti lo ricordano per la title-track e “The boys are back in
town”. Ma di “Emerald” che mi dici? Posta in chiusura, è forse la canzone
meglio scritta dell’intero disco…potente, epica. E al contempo “accessibile”,
orecchiabile. Un brano perfetto.
PL: Ti ringrazio. Ci sono molto
affezionato anch’io a quel brano. Lo scrivemmo tutti assieme, sai? A “otto
mani”: io, i due Brian, Scott. Dà anche l’idea della chimica che esisteva nella
band in quel preciso momento. Forse è proprio lì, con
“Jailbreak” e nello specifico con “Emerald” che abbiamo smesso di essere una
band “solo” rock e abbiamo definito il nostro stile, diventando qualcosa di
più, di più...heavy. Certo, le nostre origini ci portavamo sempre a inserire del
blues, del country e il nostro immancabile bagaglio folk. Ed è anche questo che
ci differenziava dai gruppi hard ‘n heavy emergenti di allora.
MM: Si, Phil, concordo. Ma
passiamo a un argomento più spinoso: i Thin Lizzy gruppo-tributo. Quello che è successo
dal ’96 come lo hai vissuto? Ci sei rimasto male per l’iniziativa di John Sykes?
PL: Guarda, ho sentimenti
contrastanti in merito. Io John lo conoscevo non da molto, assieme ci ho fatto
solo il mio ultimo disco coi TL, “Thunder & Lightning”. Peraltro quando si
unì alla band i pezzi erano già stati scritti e lui non potè dare una grossa
mano in fase di scrittura. Ma veniva dalla NWOBHM, aveva suonato nei Tygers of
Pan Tang. Aveva 24 anni all’epoca, dieci meno di me, ed era pieno di entusiasmo. Devo dire che il suo tocco chitarristico ci fece fare un’evoluzione
significativa dopo che venivamo da qualche anno di appannamento. Da un lato apprezzo che abbia
riportato in vita i TL nel ’96 in mia memoria, come tributo alla mia figura,
promettendo di non scrivere nessuno studio album nuovo. Ha pure lasciato i Blue
Murder per riformare i TL. Ti dirò: stava facendo grandi cose coi BM, poteva
continuare lì invece di impelagarsi in questa avventura di riesumare i Lizzy.
Se penso a tutti i casini per far andare d’accordo i vecchi componenti, tutte
le critiche che si è fatto piovere addosso…sono sicuro che non l’ha fatto per
soldi, almeno spero…però considerato tutto…ma chi gliel’ha fatta fare?!?
MM: Credo un grande amore per la
tua musica e il rispetto per la tua persona…
PL. Si, si, lo so. Però
probabilmente era meglio lasciar perdere. E’ durata addirittura 15 anni sta
cosa…bah… Quando sono morto, i TL dovevano morire con me. Per sempre…
MM: Phil, forse la musica non ti è
mai bastata nella tua vita. Non mi sto riferendo alla droga, ma alla poesia.
Hai scritto due libri di poesia…che ci dici a riguardo?
PL: Tutte le forme espressive
dell’animo umano hanno pari dignità secondo me. Ho riversato molto di mio nei
testi e nella musica dei TL, ma la scrittura mi ha sempre affascinato e sentivo
che poteva essere un mezzo espressivo altrettanto valido. Abbiamo una ricca
tradizione letteraria in Irlanda e prendendo spunto da essa, ho cercato di
esprimere le mie emozioni, quelle che avevo vissuto da ragazzo sulla strada.
Che poi sono esperienze comuni a tanti…tanti outsider, tanti “perdenti” se
vogliamo. Ma io volevo dimostrare, in primis a me stesso, che anche un
“reietto” poteva fare bene, con impegno e passione, ed emergere. Anche se tengo
a precisare una cosa: non mi sento una rock star ma una persona normale, “del
popolo” e con un vissuto che poteva essere compreso dai più. Di certo in quelle
liriche mettevo molto del mio lato triste, più oscuro se vogliamo; quello che
come ti accennavo sopra era probabilmente il portato di tutti i casini
adolescenziali. Quando ho scritto quei libri di poesie comunque ero impegnato
full-time nella musica e in altri progetti che avevo in testa. E’ stato più che
altro un divertissment…
MM: Phil, siamo alla fine della
nostra chiacchierata. Dobbiamo andare. Volevo chiederti un’ultima cosa: si dice
che il tuo successo, in un ambito musicale che da sempre è stato appannaggio
dei bianchi, sia stato importante per dimostrare qualcosa. Tipo che anche i
neri potevano essere dei grandi rocker…A me pare un discorso stupido…
PL: Ma si, tutte stronzate! Ti
stoppo subito guarda…già ho dovuto sentire troppe domande sul colore della mia
pelle…ti rispondo come una volta ho risposto a un coglione giornalista che mi
ha chiesto come ci si sentiva ad essere un irlandese…nero!! Sai cosa gli ho
detto?
MM: No, Phil, cosa gli hai
risposto?
PL: …che mi sentivo come una…pinta
di Guinness!! L’ho ammutolito!!
MM: Ah ah, grazie Phil! Grazie di tutto e soprattutto di averci donato la tua musica!