Prima che questo 2016 finisca,
ritengo necessario celebrare sul nostro Blog (così come avevamo fatto anche per
“No heavy petting” dei grandissimi UFO) il 40ennale di un disco fondamentale
per ricostruire la storia delle origini del nostro genere preferito.
Parliamo dei Thin Lizzy e del loro splendido “Jailbreak”, pubblicato nel 1976, appunto.
A cura di Morningrise
In un parallelismo non troppo
azzardato, potremmo dire che i Thin Lizzy stanno all’Heavy Metal della di-lì-a-poco
nascente New Wave britannica, come i Rush stanno al Prog Metal.
La motivazione principale di tale
influenza risiede in diversi aspetti stilistici della band irlandese, a partire
dall’utilizzo di due chitarre soliste (cosa che verrà ripresa in modo forte dai
numi tutelari Judas Priest e Iron Maiden), e da un songwriting che, nonostante
una certa complessità e una miscela di svariati stilemi, rimarrà snello,
accessibile e diretto.
Un successo, il loro, concentrato in pochi anni (essenzialmente il
secondo lustro della decade settantiana), ma che li ha resi di fatto immortali tra i fan e tra i colleghi sia dell’epoca che di quelli a venire. “Jailbreak” è il
disco e della consacrazione e del definitivo slancio verso quel successo.
La ricorrenza ci ha spinto ad
andare a parlare direttamente con il mastermind della band, leader indiscusso
dei TL e personaggio tra i più carismatici e in un certo senso più estremi del
mondo del Rock di allora: Phil Lynott.
Phil ci ha lasciati il 4 gennaio
del 1986 a soli 36 anni a causa di problemi cardiaci e renali
dovuti all’abuso di alcool e droghe.
Ci manca maledettamente Phil. E
così abbiamo deciso di andarlo a scomodare nell’Aldilà per fare quattro
chiacchiere…ben presto diventate ben più di quattro…
Metal Mirror: Ciao Phil, come stai? Grazie
per il tempo dedicatoci!
Phil Lynott: Grazie a voi ragazzi! E’ 30
anni che sono quassù e ancora non avevo avuto modo di rilasciare un’intervista.
La cosa mi aggrada. Certo che farla per il trentennale della mia morte non è il
massimo dell’allegria…
MM: Ehm, in realtà Phil la
ricorrenza non è per il trentennale della tua dipartita, ma per il 40ennale di
“Jailbreak”…che ci dici a proposito? Che ricordi ti legano a quel disco?
PL: Caspita, quanto tempo…beh,
cosa vuoi che ti dica? Ovviamente sono stati anni ruggenti, mitici. Eravamo già
in pista da cinque anni ma ancora si stentava ad emergere. Del resto sai, in
quegli anni la concorrenza non mancava tra grandi band rock, hard rock, prog
rock, eccetera. E anche noi stessi non avevamo ancora messo a fuoco
definitivamente la nostra proposta. Si cominciò con quelle matrici di
derivazione ancora sessantiana. Insomma, si faceva un rock ancora poco
graffiante, non troppo personale. Solo più avanti cambiammo rotta…
MM: Non per piaggeria Phil, ma io
onestamente qualcosa di diverso nei TL ce lo vedo sin da subito. Forse una certa sensibilità, una profondità di
messaggio… Up till now I used to pass my
time / drinking beer so slowly, sometimes
wine / No God, air, water or sunshine / And honesty was my only excuse /
I took your love and I used it . Ricordi queste parole?
PL: Eccome no! “Honesty is no excuse”!
MM. Esatto! Questi versi li hai
scritti a 22 anni, per il vostro primo omonimo LP. A dimostrazione che sei
sempre stato un paroliere sensibile e profondo. Questo già vi distingueva da
tutti gli altri.
PL: Mah, può essere. Ti ringrazio
per le tue parole. In realtà tutto mi nasceva spontaneo. Sai, non è proprio
banale l’infanzia e l’adolescenza che ho avuto…una certa sensibilità bene o male
la coltivi per forza! (ride NdR)
MM: Parlaci di quegli anni Phil;
giustappunto della tua infanzia e adolescenza. Nei tuoi scritti, traspare un
amore infinito per l’Irlanda e Dublino in particolare. E neppure ci sei nato in
Irlanda…eri pure tifosissimo del Manchester United!
PL: Ehi ehi, vacci piano con le
affermazioni (mi fa un occhiolino, NdR) Io SONO, ehm…ero irlandese eccome! Ho
pure tenuto il cognome di mia madre, che era irlandese fino al midollo.Non
c’entra niente che fossi nato in Inghilterra e tifassi United. A West Bromwich
ci sono nato per esigenze lavorative del mio vecchio; mentre l’amore per i Red
Devils più che altro era dovuto all’affetto e la stima per un fuoriclasse come
George Best, irlandese pure lui.
MM: Nord-irlandese per la
precisione…
PL: Si, si, lo so. Ma non c’entra
niente sai? L’Irlanda è un’isola, una unica. Io e George eravamo molto amici,
condividevamo un sacco di cose e ci sentivamo irlandesi, senza aggettivi.
Irlandesi, punto!
MM: Certo, certo Phil, non volevo
offendere, ci mancherebbe! Del resto i TL sono sempre stati rinomati per aver
anche abbattuto le barriere tra protestanti e cattolici, repubblicani e
unionisti…
PL: esatto, sennò io e Brian
(Downey, lo storico batterista dei TL, NdR) mica ci suonavamo per una vita con Gary
(Moore, chitarrista dei TL, NdR). Quel rompiscatole era di Belfast…poveretto, è
passato a miglior vita anche lui cinque anni fa. Ogni tanto ci ritroviamo pure
quassù e ci facciamo due risate ricordando quei tempi. E già che ci siamo
chiamiamo pure quel matto di Best (ride malinconicamente, NdR).
MM: Ok, ok, torniamo alla domanda
iniziale: la tua adolescenza.
PL: Guarda, non ti nego che
crescere nella Dublino degli anni ‘50/’60 non è stata una cosa banale. Ed è ancora
meno banale se sei nero. E lo è ancora meno se sei nero e vieni considerato
pure un mezzo bastardo e vivi con tua nonna anziché coi tuoi genitori. La gente
è bigotta e la religione cattolica in questo senso non aiutava l’apertura
mentale delle persone. In più mettici che io ero un po’ testa di cazzo, sempre
in giro a fare casino. Insomma, era tutta la situazione alquanto complessa e questo lo patisci quando sei un ragazzo di quell’età.
Hai momenti di grande sconforto, di tristezza, di solitudine.
Per carità, non ho passato in fin dei conti una brutta infanzia; i miei nonni mi hanno dato tanto affetto e a scuola ero ben voluto perché ero sempre sopra le righe. Un po’ perché costretto, ho sempre reagito e la musica mi ha dato una grande mano. E mi ha tolto da quel tunnel di difficoltà, fino a farne addirittura il mio mestiere! Però non ti nego che quei primi anni di vita mi hanno segnato indelebilmente. Da traumi del genere non ne esci mai fino in fondo.
Non cerco scuse per le cazzate che ho fatto con le donne, con le droghe, eccetera. Però chissà, se avessi avuto un’infanzia più serena non sarei finito male così presto…
Per carità, non ho passato in fin dei conti una brutta infanzia; i miei nonni mi hanno dato tanto affetto e a scuola ero ben voluto perché ero sempre sopra le righe. Un po’ perché costretto, ho sempre reagito e la musica mi ha dato una grande mano. E mi ha tolto da quel tunnel di difficoltà, fino a farne addirittura il mio mestiere! Però non ti nego che quei primi anni di vita mi hanno segnato indelebilmente. Da traumi del genere non ne esci mai fino in fondo.
Non cerco scuse per le cazzate che ho fatto con le donne, con le droghe, eccetera. Però chissà, se avessi avuto un’infanzia più serena non sarei finito male così presto…
MM: E probabilmente non avresti
fondato i TL e non saresti diventato chi sei diventato…
PL: Eh eh, chissà…touchè! Che poi
vaglielo a spiegare alla gente che mio padre non mi ha mai abbandonato!!
Tutt’altro: era lontano per lavoro. Lui stava a Londra e io e la mamma a West Bromwich e
poi a Manchester. Ma lui veniva sempre a trovarmi, faceva avanti e indietro da
Londra. Anche quando mia madre gli ha risposto "picche" alla sua proposta di
matrimonio, lui ha cercato sempre di aiutarla economicamente. E lo ha fatto per
me, ovviamente. Però quando hai appena quattro anni non è che fai ragionamenti
tanto complessi. Ti mancano i tuoi genitori, ti chiedi perché tu non viva con
loro e cosa hai di diverso rispetto agli altri bambini. E’ stata dura, cazzo…
(Continua e finisce domani)