Nella prima parte di questa rassegna ci siamo divertiti a ripercorrere le vicende di band leggendarie alle prese con il rimpiazzo del loro cantante storico.
Black
Sabbath, AC/DC, Iron Maiden, Judas Priest, Helloween,
Queensryche, Savatage: storie diverse, diverse soluzioni, traumi,
collassi e rinascite sotto il segno di un popolo famelico, quello metal, pronto
a celebrarti in eterno come a scaricarti in un istante. Il medesimo
problema lo hanno dovuto affrontare anche band minori o dal front-man
meno iconico. Vediamo cosa è successo.
Come
si è comportato, per esempio, il mondo estremo? Il mondo estremo non ha
bisogno di front-man: ci si piega sugli strumenti e si suona seriamente,
niente cazzate. Però qualche caso lo possiamo citare. Il più eclatante: i Sepultura.
Max Cavalera se ne va ed è un vero disastro, perché non era solo la voce,
ma anche l'anima stessa della band. Tanto che c'è da chiedersi come abbiano
fatto i tre superstiti ad aver il coraggio di continuare a suonare conservando
il marchio. Ma quello che per me è più incomprensibile, è la forza misteriosa
che ha portato molta gente a continuare a seguirli, anche quando, di lì a poco,
avrebbe lasciato pure il fratello Igor...Non è ovviamente tutta colpa
del nuovo arrivato Derrik Green, ma la sua voce piatta e monotona certo
non aiuta a far dimenticare un leader così carismatico, che, beninteso,
con i suoi Soulfly non combinerà cose mirabolanti. E dunque il salto da
"Roots" (fra l'altro riportato sui palchi quest'anno dai soli
fratelli Cavalera per la celebrazione del ventennale) al fiacco "Against",
del 1998, si rivelerà inevitabilmente una caduta verticale per i carioca,
che da quel momento avrebbero perso quell'alone mitico che li aveva
accompagnati fino al capolavoro tribale di un paio d'anni prima.
Sempre
rimanendo in tema di estremo, mi ha sempre fatto sorridere il passaggio di
staffetta fra Chris Barnes e George Fisher in seno ai Cannibal
Corpse. Mi fa sorridere perché secondo me Barnes non è tipo da rimpiangere,
sebbene fosse più verace del suo successore, il quale invece lo supererà in
tecnica, potenza e resistenza. Si può forse affermare che gli album con Barnes
erano più originali ed innovativi, ma da "Vile" in poi i
Nostri non sbaglieranno un colpo, dimostrando che professionalità, serietà e
coerenza possono compensare ogni defezione: il brutal death metal dei Cannibal
Corpse è infatti una formula che con attenzione certosina a metodi e procedure
è replicabile all'infinito, a prescindere da chi suona.
Faccenda
diversa per i Morbid Angel, che un frontman veramente carismatico
ce lo avevano. Nel 1995, dopo la pubblicazione di "Domination",
David Vincent se ne va per unirsi ai Genitortures della moglie,
ed è un duro colpo per la band che da quel momento vedrà come unico baricentro
il leader di sempre Trey Azagthoth. "Formulas Fatal to
the Flesh", anno 1998, è un fiasco clamoroso, di pubblico e
critica, sebbene per che scrive quello sia stato un lavoro con degli spunti
veramente interessanti e per certi aspetti innovativo per il death metal del
periodo. Però i meriti (o i demeriti, a seconda del punto di vista) vanno tutti
ad Azagthoth e Sandoval, perché Steve Tucker cantava con voce
impastata ed anonima, apparendo la copia sbiadita di chi l'ha preceduto.
L'"Era Tucker", come da noi analizzata, era tuttavia ancora
una fase decorosa della carriera dei Morbid Angel, che tracolleranno proprio
con il ritorno del figliol prodigo Vincent, con quell'abominio che porta il
nome di "Illud Divinum Insanus", il peggior album di sempre
per la band, e forse del metal intero: a dimostrazione che il carattere
vincente dell'Angelo Morboso non era prerogativa di Vincent.
Ci
sono poi stati i Voivod, i quali, prima ancora di dover rimpiazzare il
mai troppo compianto Denis "Piggy" D'Amour", dovettero
fare i conti con l'abbandono dell'altro Denis, quello dietro al microfono: Denis
Belanger, in arte Snake. Fra "The Outer Limits" e
"Negatron" passano solo due anni, ma è impossibile riconoscere
questo lavoro del 1995 come il naturale successore del capolavoro del
1993. Il volto dei canadesi viene qui completamente stravolto e quasi sembra di
tornare al caos dei primordi, dopo che da "Angel Rat" in poi
il sound dei nostri si era ripulito. Un fattore determinante è stato sicuramente
il nuovo cantante/bassista Eric Forrest. La voce di Belanger era stata
una delle più particolari del metal, e se il ben più anonimo latrato di Forrest
ha suscitato più di un mugugno fra i fan, c'è da dire che i Nostri hanno
almeno avuto il coraggio di tentare nuove strade: Forrest era un cantante
hardcore prestato al techno-thrash dei canadesi, i quali decisero di tornare al
sound duro e claustrofobico dei primi album. E la voce aliena del
cantante, resa "voivodiana" da effetti, echi e riverberi, non
è affatto fuori luogo. Non è quindi colpa del nuovo arrivato (che fra l'altro
nel successivo e decisamente migliore "Phobos" si muoverà
molto bene) se un po' siamo rimasti delusi da questa pubblicazione: la
responsabilità, semmai è tutta dell'accoppiata D'Amour/Langevin che
aveva controllo assoluto sui comandi della navicella Voivod.
Voltiamo
pagina e cambiamo totalmente scenario, andando a trovare i Gathering,
uno dei casi più eclatanti di identificazione fra band e cantante. I Gathering
sono degli onesti, si sono fatti sempre un discreto culo, dagli inizi fino ai
giorni nostri, lavorando di fino, sperimentando e cavalcando audaci
cambiamenti. Eppure non c'è stata speranza per loro dopo la separazione con Anneke
Van Giersbergen: come si suol dire Anneke ha dato, Anneke ha tolto.
Il successo degli olandesi ha infatti coinciso con l'ingresso in formazione della
talentuosa cantante rosso-crinita, voce unica nel panorama gothic/doom degli
anni novanta. Andata via, l'attenzione per la band si è improvvisamente spenta,
nonostante i Nostri abbiano continuato a lavorare con professionalità e
dedizione. "The West Pole", uscito nel 1998 con dietro
al microfono Silje Wergeland, è stato ascoltato dalla gente solo per la
curiosità di sentire la nuova voce dei Gathering e poi archiviato insieme alla
band. La sola colpa della pur non malvagia Silje è stata quella di non essere
Anneke. A sua volta, la Giersbergen ha portato avanti una carriera solista
fallimentare e deludente, decisamente non all'altezza del suo nome. Come se
costei, senza i suoi ex compagni, non sia stata in grado di ripetere la magia.
Di
donna in donna, la voce femminile più celebre degli ultimi quindici anni è
stata indubbiamente Tarja Turunen dei Nightwish, nati come grande
nuova promessa del power europeo e poi affermatosi come band di punta dell'intero
movimento. L'idea della "front-woman" era sicuramente rischiosa
in un ambiente fallocentrico come quello del power, ma presto divenne
una valida arma di distinzione in un mercato inflazionato. Bella e brava, Tarja
divenne presto l'icona della band, che si avvaleva di musicisti preparati ed un
regista accorto quale il tastierista e leader Tuomas Holopainen.
La separazione non avvenne senza traumi, ma alla fine non si è trattato di uno
strappo così forte da compromettere l'esistenza della band. Certo, la sostituta
Annette Olzen, che debuttò nel 2007 con "Dark Passion Play",
non seppe evidentemente colmare il vuoto lasciato dalla carismatica ex, ma i
Nostri continuarono per la loro strada, rincarando di brutto la dose di
sinfonismi, orchestre, sovra-registrazioni, concept ambiziosi, suite
infinite ed altrettanti pomposi interludi. Mancava solo una front-woman
che ne fosse all'altezza, e questa verrà individuata nella già esperenziata (ex
After Forever) Floor Jansen, bella valchiria che per energia,
simpatia e bravura farà dimenticare Tarja, che ne frattempo costruiva una
carriera di successo sul proprio nome senza però poter rivaleggiare
artisticamente con gli ex compagni.
Di
power in power, torniamo in Brasile dagli Angra, che, all'indomani del
deludente "Fireworks" ebbero una bella gattina da pelare
nel dover trovare un sostituto ad un cantante unico come Andre Matos. I
Nostri rischiarono persino lo scioglimento, perdendo per la strada della
crisi ben tre pezzi su cinque della formazione. Un titolo come "Rebirth",
anno 2011, portava con sé voglia di riscatto e palesava una
determinazione che condurrà la band viva e vegeta fino ai nostri giorni, grazie
a classe, ispirazione e perizia. Quanto ai nuovi Eduardo Falaschi e il
recente Fabio Lione, semplicemente non sono Matos, e da primi della
classe gli Angra regrediranno al rango di onesti professionisti degni di
rispetto.
Stesso
destino è toccato, nel loro piccolo, ai Royal Hunt di Andrè Andersen,
il quale negli anni costituirà un solido punto di riferimento per i danesi.
Però D.C. Cooper era un bel pezzo di cantante, voce particolare fra le
mille sirene del prog-metal. Con "Paradox" i Nostri trovavano
il loro capolavoro e grazie ad esso si stava prospettando una fiorente
carriera. Ecco invece che Cooper se ne va, e per i Royal Hunt la strada si fa
in salita e lo scenario muta improvvisamente in un faticoso percorso di
riaffermazione di identità. Nel 1999 esce così "Fear",
dove si metteva una toppa con l'americano John West, che veniva dagli Artension.
Per l'amordelcielo, non sono avvicendamenti da strapparsi i capelli, ma
si perdono sfumature importanti per una band che lottava ancora per affermarsi
in pieno e che rischiava di scivolare nell'anonimato, nonostante Andersen si
facesse un culo maledetto dietro alle tastiere. Professionalità e dedizione
faranno sopravvivere la band, ma mai le toglieranno lo status di
media-notorietà. Quando anni dopo Cooper tornerà all'ovile, in molti
stapperanno lo champagne, ma per i Royal Hunt sarà troppo tardi, visto
che le energie migliori saranno oramai in parte esaurite.
Torniamo
dall'altra parte dell'oceano con gli Iced Earth di Jon Schaffer.
Non ho mai capito cosa abbia Matthew Barlow da renderlo un cantante
insostituibile, fatto sta che la sua dipartita è stata un lutto insanabile per
la band. Evidentemente la sua voce poliedrica, fra il rozzo e il melodico, con
spiccate tendenze teatrali, era l'unica a poter valorizzare il sound
monolitico di Schaffer. E la sua militanza coincise perfettamente con il
periodo migliore della band. Uscito Barlow, è mancato un pizzico di sale al
polpettone power-thrash servito dagli Iced Earth. A rimpiazzarlo troviamo di
nuovo Tim Owens, reduce dai Judas Priest: secondo rimpiazzo,
secondo flop, perché anche qui il Nostro si mostrerà un talentuoso
senz'anima e "The Gloriuos Burden" del 2004 va a
certificare in tutti sensi la fine del periodo magico degli Iced Earth, che pur
continueranno ostinati per la loro strada, senza però regalarci altri lavori
degni di nota.
Chiudiamo
la carrellata con tre esempi che ci riconducono ad un certo grado di storicità.
Gli Accept: mi è molto dispiaciuto apprendere che ad un certo punto i
tedeschi abbiano deciso di rimettersi insieme senza Udo Dirkschneider. Che
senso hanno gli Accept senza Udo? Perfino meno di quanto ne abbiano i Judas
Priest senza Halford, perché i Judas sono una band leggendaria di cui non si
può fare a meno, e capisco il motivo del dover continuare a perpetuare a tutti
i costi il Mito contro ogni avversità. Ma degli Accept, grande band senza dubbio,
si poteva fare anche a meno: meglio celebrarli con qualche vecchio vinile ogni
tanto che buttare soldi in album scialbi e di mestiere come “Blood of the
Nations” (2010) con Mark Tornillo alla voce.
Candlemass:
è vero che il fulcro della band è sempre stato il bassista e fondatore Leif
Edling, ma come fare ad immaginarsi i doomer svedesi senza
l'ingombrante, in tutti i sensi, figura di Messiah Marcolin, dopo che la
teatralità fuori misura del panzuto tenore aveva marchiato i loro album
migliori? Eppure "Chapter VI", del 1992, vide
l'ingresso in formazione del nuovo cantante Tomas Vikstrom, ugola
anonima come poche, insufficiente a sostituire Messiah Marcolin, che era stato
allontanato per dissidi interni. L'album fu un flop tremendo, tanto che la
band finì con lo sciogliersi. Non facciamo fatica a crederlo, il doom non può
essere suonato da gente normale: in questo ambito la formula vincente si
compone sempre di una parte razionale e di una irrazionale, di un artista serio
e di un pagliaccio. Se questo valeva per i grandi Black Sabbath,
figuriamoci se non valeva per i piccoli Candlemass.
Venom,
infine: non saremo certo qui a tessere le lodi di Cronos, né dei Venom,
che eccetto i primi tre album hanno prodotto solo merda. Essi hanno fatto
schifo con Cronos, senza Cronos, di nuovo con Cronos, con o senza Mantas
ed Abbadon. Tanto che i tre album con Tony "The Demolition
Man" Dolan, peraltro equivalente a Cronos, sono stati una esperienza
futile, né più, né meno, che tutto il resto della discografia della band da
"Calm Before the Storm" in poi.
E
dunque? E dunque non vi è una regola: si è visto l'impossibile (i Black
Sabbath che sopravvivono alla dipartita di Ozzy, rigenerandosi con Dio)
e il prevedibile, come tutta quella schiera di band dal gran potenziale (Angra,
Royal Hunt ecc.) che si sono incagliate per sempre senza il loro
cantante storico, nonostante la pubblicazione di lavori sopra la media. In tutto
questo l’unica cosa a contare sembra essere il carattere volubile e passionale
del metallaro: è infatti un vero paradosso vedere fra i fan dei Queensryche
chi ha accettato senza batter ciglio un Todd La Torre
qualsiasi, e chi invece non si dà pace ancora oggi se Roy Khan ha
lasciato i Kamelot...Ma questa è un'altra storia...