“La potenza è nulla senza
controllo”. Recitava così lo slogan di un vecchio spot televisivo di una nota
marca di pneumatici.
La frase mi è tornata in mente in
relazione a una band che ancora sul nostro blog non abbiamo trattato: i Brutal
Truth.
A cura di Morningrise
Penso di essere davvero la
persona meno indicata per parlare di grind e hard/crust-core. Sono generi che
ho sempre faticato a digerire, che non sono mai riuscito a metabolizzare e ad
apprezzare appieno.
Anche per quanto riguarda i
capisaldi del genere (da “Scum” a “From enslavement to obliteration”, passando
per “Reek of putrefaction”), la mia sopportazione nel loro ascolto è alquanto
limitata.
Ma c’è sempre un’eccezione alla regola. E quest’eccezione, per il sottoscritto, si chiama Brutal Truth.
Come prima cosa: ma quanto sono simpatici i BT?? Io li adoro solo a guardarli in foto! Se uno vedesse, senza strumenti in mano, per strada, i membri dei BT gli sembrerebbero quattro scappati di casa senza arte né parte. Kevin Sharp è il classico uomo del Sud degli States, barbone lunghissimo a-là-Kirk Widstein, panzone prominente e vestiario basico maglia-della-pelle+cappello da cow boy+jeans cadenti. Dan Lilker non ha bisogno di presentazioni dato il suo curriculum (Nuclear Assault, Anthrax, Stormtroopers Of Death, e tanto altro), ma esteriormente, così segaligno e con quell’ammasso scompaginato di ricci, più che un musicista metal mi ricorda Telespalla Bob, mitico personaggio dei Simpson.
E poi c’è lui, uno dei miei idoli: il batterista Richard Hoak. Ma ce l’avete presente
Richard? Sembra un imbolsito funzionario comunale, lontano anni luce dallo
stereotipo del drummer di metal estremo. E invece: si siede davanti al drum-kit
e lo vedi fare cose mirabolanti, con espressioni facciali assurde! Non si
possono descrivere…bisogna vederlo. A me ricorda un domatore circense dentro
una gabbia, con frusta e bastone, alle prese con un branco di leoni agitati…
Comunque, pochi cazzi: i BT sono
dei musicisti fantastici, ipertecnici e con un’inventiva da primi della classe. E mi vorrei soffermare in
particolare su quell’enorme disco che risponde al nome di “Need To Control”,
pubblicato nel 1994. Mi soffermerei su questo platter perché è forse l’esempio
più mirabile di riforma dal di dentro di
un genere di per sé immodificabile.
A tal proposito vorrei ricordare
le parole che il nostro Mementomori scrisse sul grind, nell’ambito del
bellissimo post su Justin Broadrick e i suoi Jesu: …il grind, in quanto
estremizzazione definitiva del metal, è un genere che nasce già “puro” e per
questo non ammette evoluzioni: semplicemente perché “più in là” non si può
andare. Evolvere, nel grind, siginifica uscire direttamente dal genere. Niente
sfumature: o bianco o nero, o dentro o fuori: un po’ di melodia? Rallenti
leggermente? Inserisci timidi accenni di contaminazione? Allora non sei più
grind!
Non so se NTC sia grind o meno.
Di certo la direzione intrapresa dai Nostri incorpora elementi diversi,
fondendoli assieme. Attenzione, pezzi tipicamente grind, parossistici ci sono eccome. Basti sentirsi le schegge impazzite di “Black door
mine” o “Turn face”; o le bordate death di “Bite the hand” e “Judjement”; o
ancora le più punkeggianti, ma rientranti ancora nel grind, “Choice of a new
generation” o la cover dei The Germs “Media blitz”. Ma anche in questo contesto
l’impressione che i quattro americani danno è quella di un alternarsi consapevole di controllo &
perdita di esso (tematica di fondo di tutto il disco, sia nella musica che
nei testi), grazie anche a una produzione ottima, fredda, tesa proprio a mettere
in risalto questa dualità.
Se in tutti questi brani il
minimo comun denominatore è comunque la velocità, seppur con una dinamica dei
pieni e dei vuoti mai banale e che rendono ogni parte interessante e mai scontata, per il sottoscritto, che come detto non è un amante del grind, i
BT danno il meglio di sé dove “strutturano” le canzoni in modo più complesso,
ragionato, dando luogo a brani dal minutaggio un po’ più consistente dei
canonici 2 minuti/2 minuti e mezzo. Basti pensare all’opener
“Collapse” (una canzone perfetta, da tramandare ai posteri, un death-doom
impastato e fangoso che avrei visto bene, ad esempio, anche su “Blessed are the
sick” dei Morbid Angel); o ancora alla camaleontica “Godplayer” in cui la furia
crust in stile Anal Cunt, si fonde con rallentamenti sludge, stacchi jazzistici e
tocchi folk grazie all’uso del didgeridoo, uno strumento della tradizione
aborigena australiana.
Le articolate “Ordinary madness”
e la conclusiva “Displacement” (9 minuti e mezzo in due!) non fanno che
ribadire, nella loro eccelsa qualità, come NTC nelle sue diverse anime sia
stata davvero l’opera che ha reso i BT un’entità
musicale di spessore superiore rispetto a molta concorrenza coeva.
E allora, il punto è: con i Brutal Truth di "Need to control" siamo ancora dentro al grind, pur
con le sue barriere spostate di un bel po’ in avanti? O lo abbiamo, di fatto,
superate?
Non saprei. Non ho le conoscenze
idonee per dirlo. Di certo siamo davanti a
grandissima musica metal.
Riascoltatelo anche a 22 anni di
distanza. Ricordando che la…violenza e la velocità sono nulla senza controllo…