"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

10 set 2022

VIAGGIO NEL FUNERAL DOOM: ATARAXIE

 


Ventiduesima puntata – Ataraxie: “Slow Trascending Agony” (2005) 
 
E dopo l’asfissia totale gentilmente elargita dai russi Comatose Vigil, ci concediamo una “boccata d’aria” con i francesi Ataraxie. Una boccata d'aria gelida, a dirla tutta, come suggerito dall'arido paesaggio invernale ritratto nella (stupenda) copertina di "Slow Trascending Agony". 
 
Attivi dal 2000 e debuttanti nel 2005 proprio con “Slow Trascending Agony”, questi quattro ragazzi dalla Normandia non possono essere considerati né dei pionieri del funeral doom né degli interpreti particolarmente originali del genere, tuttavia i Nostri hanno saputo negli anni accattivarsi le simpatie degli addetti ai lavori, e non a caso troviamo i loro album in molte classifiche sui migliori lasciti discografici in area funeral doom. Ma contrariamente al minaccioso titolo, l’esordio discografico dei francesi non è una lenta agonia, ma anzi si esprime attraverso un sound intimamente melodico, vibrante e ad alta caratura emozionale. 
 
Anche la durata dell’album è clemente, presentando cinque brani per “solo” cinquantun minuti di musica. Tolta l’introduttiva “Step into the Gloom”, una strumentale di sei minuti, gli altri quattro brani si assestano tutti fra i dieci e gli undici minuti. Ma nonostante la lunghezza dei pezzi, l’ascolto risulta scorrevole e, tutto sommato, di gradevole fruizione considerato che si sta parlando di funeral doom. 
 
Gli Ataraxie ricordano molto i primissimi My Dying Bride (quelli dell’era pre-Turn Loose the Swans”), presentando un sound rozzo ma sincero, a metà strada fra l’estasi elettrica di certo doom d'annata ed efficaci porzioni di schietto death metal, proprio come succedeva nei primi EP della Sposa Morente e nel ruvido debutto “As the Flower Withers”. Del resto, che la band gradisca premere sull’acceleratore ed alternare parti lente e veloci, lo si capisce anche dalla scelta di coverizzare la mitica “The Tree of Life and Death” dei Disembowelment, brano che possiamo ritrovare in coda alla limited edition in digipack del 2015: quasi dodici minuti che ricalcano in modo fedele le fattezze della mostruosa originale, fra sparate quasi grind ed affossanti fasi doom. 
 
Il sound degli Ataraxie è scarno ma efficace ed intriso di un fascino poetico che attraversa l’intero album. Non v’è da aspettarsi tastiere, orchestrazioni, orpelli di qualsiasi tipo, ma solo la forza evocativa delle due chitarre mischiate con il growl imperioso di Jonathan Théri (anche al basso). L’approccio è old-school e ricorda un po’ “Tragedies” dei Funeral, figli di un funeral ancora molto radicato nel doom-death di inizio anni novanta. 
 
La già citata “Step into the Gloom”, aperta da un claudicante arpeggio, esplode presto nel fragore delle distorsioni, spezzate dai lenti ed irregolari battiti di batteria: non si è distanti da certi scenari cari al post-hardcore primigenio, dove il linguaggio sabbathiano veniva estremizzato e portato alle soglie del noise. Irrompe la voce da orco a sancire, senza pause, l’inizio della paradigmatica “Funeral Hymn”: in essa riff di una certa caratura definiscono il passo titanico di un brano che guarda sia ai My Dying Bride che ai Morbid Angel più fangosi, con un buon lavoro di chitarra che associa riff catramosi a linee melodiche da brividi. Si segnalano i commoventi intrecci di chitarra nella struggente seconda metà, dopo che il pogo si era scatenato con una inaspettata incursione di death metal (ulteriori up-tempo fioccheranno anche nel finale, a dimostrazione che la scrittura dei Nostri sa riservare più di una sorpresa all’ascoltatore!). La voce di Théri si alza di tonalità raggiungendo registri di disperazione quasi depressive black metal, cosa che accadrà più volte lungo lo svolgersi dell’album. 
 
L’atarassia è un termine di origine greca che designa l’assenza di agitazione, la tranquillità. Più precisamente “la perfetta pace dell’anima che nasce dalla liberazione dalle passioni”, come riportato da Wikipedia. Un monicker un po’ curioso, questo, se si pensa ad una band che ad ogni brano non perde l’occasione per vomitarci addosso lo schifo, la fatica, l'insostenibilità di vivere. Ci viene incontro “L’Ataraxie”, che nei cangianti versi finali in lingua francese, indica l’atarassia come un qualcosa di grandemente desiderato, ma non ancora raggiunto: probabilmente, anzi sicuramente, per gli Ataraxie l’atarassia coincide con la liberazione dai tormenti della vita, con la pace dei sensi che si ha con la….morte

"Je voudrais atteindre l’ataraxie que je mérite tant.
L’absence d’émotions dans cette âme mourante
Qui saura me libérer enfin de ces tourments."

Musicalmente il brano si fregia di intrecci di chitarra da brividi che richiamano ancora una volta i My Dying Bride, ma anche altre entità della scuola albionica, come i primissimi Anathema, quelli di “Serenades”. Da segnalare un toccante break acustico, presto sotterrato da vangate di elettricità e dal canto disperato, anche questa volta ben sopra le righe di Théri. 
 
La title-track mette ancora in mostra l’ispirazione delle chitarre, linee melodiche valorizzate da un drumming semplice ma in grado di assestare i colpi al momento giusto, prediligendo ritmi non lineari, zoppicanti, ed andando a supportare quel senso di spossatezza che i brani intendono esprimere in ogni loro frangente. In questo caso il dettaglio stilistico da rimarcare sono gli intarsi di una chitarra arpeggiata che, malinconica, si fa spazio fra le trame elettriche, affiorando mesta fra riff solenni ed un funereo battito di pelli. 

Chiude le danze “Another Day of Despondency”, il brano più dinamico di tutti, non a caso aperto da ritmi sostenuti a rispolverare il lato più death metal della band. In questi undici minuti, tuttavia, accadrà un po’ di tutto, dai soliti riff imponenti agli innesti di chitarra arpeggiata, passando da un sofferto recitato in lingua madre. 

Sebbene i testi siano redatti per lo più in inglese, la band decide di non rinunciare del tutto al proprio patrimonio linguistico, centellinando accuratamente versi in francese i quali conferiscono un fascino ed una eleganza del tutto appropriati agli umori delle composizioni. Agghiacciante il finale ove un furioso blast-beat si scatena all’improvviso e grida disperate marchiano a fuoco gli ultimi scampoli di un album che, tutto sommato, aveva mostrato un passo misurato e ponderato fino a quel momento. 
 
Dal silenzio che segue al caos furibondo del finale dell'ultimo brano in scaletta ci sarebbe da temere che la band abbia trovato finalmente la sua atarassia, ma fortunatamente la crociata funeral degli Ataraxie proseguirà fino ai giorni nostri con dischi sempre degni di nota (da segnalare il mastodontico doppio-album “L’Etre et la Nausée” del 2013) ed uno status di realtà inossidabile del funeral doom contemporaneo.