Li ho consumati. Li ho ascoltati
a ripetizione per non so quanti mesi (anni?) di fila.
Li ho usati per corteggiare
ragazze. Li ho messi pure in sottofondo il giorno del mio matrimonio. E sono in
ogni compilation da far ascoltare ai miei figli quando siamo in macchina.
Insomma…fanno parte della mia
vita. E in questo 2017 compiono venti
anni tondi. I Blackmore’s Night.
Assieme a Jimi Hendrix, possiamo affermare
che Mr. Richard H. Blackmore sia il più importante tra tutti i chitarristi rock? Credo di
si.
Di Ritchie ho praticamente
seguito e adorato tutte le gesta, in tutte e tre le creature legate al suo nome:
i Purple, i Rainbow e, da ultimi, i Blackmore’s Night.
Pur non avendo mai suonato metal, i BN sono stati trattati fin dagli
albori all’interno delle riviste specializzate di settore. Infatti ricordo come
se fosse oggi quel numero di Metal Hammer del 1997. Vi era contenuta la recensione di “Shadow of the moon”, peraltro neppure
in bella mostra, inserita in mezzo ad altre decine di recensioni del mese. Però
il voto era al massimo, cioè “6”. E il pezzo chiosava con la frase, per la
verità banalotta, “un album che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo”.
Comunque c’era Ritchie che
suonava la chitarra e tanto mi bastò per procurarmi immediatamente il disco.
Stregato, rimasi letteralmente
stregato da quelle atmosfere magiche, sognanti, delicate. Ascoltando gli
strumenti ad arco (viole, violini e violoncelli) sembrava davvero di essere
trasportati in epoca medioevale, magari alla corte di qualche sovrano,
circondati da persone dal sangue blu, nobildonne eleganti, menestrelli,
cavalieri, ecc.
Certo, la chitarra acustica, il
mandolino e il liuto suonati da Ritchie guidavano
l’ascolto, ma l’effetto magico di cui sopra non ci sarebbe stato senza la voce
della Candida Notte. Cioè la
bellissima Candice l. Isralow, meglio conosciuta con il nome d’arte di Candice Night. Candice ha una bella
voce, limpida, pura, cristallina. Ma non tecnicissima e difficilmente
applicabile ad altri contesti. E questo è da tenere presente per il seguito del
post.
Parentesi prosaica: la storia
della nascita dei BN è veramente esemplare di cosa una bella e
giovane topa può spingere a fare anche al più sgamato delle rockstar avvezzo alla
vita da rockstar nella quale di certo la gnocca a disposizione non latita.
Galeotta, pare, fu la richiesta
di un autografo, nel lontano 1989, di Candice al suo eroe, che in quell’anno
teneva ancora in piedi i Rainbow. Il guitar hero aveva all’epoca 44 anni. Lei
18. Una parola tira l’altra, si diventa amici…lei, nel campo della moda già da
ragazzina, cercava la sua personale realizzazione nel mondo della musica, sua grande
passione coltivata sin dalla gioventù ma mai sbocciata concretamente. E così da amici a diventare
trombamici e poi fidanzati è un attimo (per il matrimonio invece Candice dovrà
aspettare 15 anni!).
Ma torniamo alla musica: il
problema del c.d. medioeval/folk rock è che se non sei più che stra- ispirato,
dopo un pò spacchi le palle. Ed è quello che è successo al nostro Ritchie e ai BN. "Shadow of the moon" è un capolavoro, ma dal secondo full lenght
ci si comincia un pò ad annoiare. E questo nonostante che “Under a violet moon” fosse ancora un ottimo
disco, pieno di melodie azzeccate e di emozioni profuse a raffica. Ma già dal
terzo “Fires at midmight” (2001), il latte alle ginocchia cominciava a formarsi e il
sapore di “minestra riscaldata” diventava preponderante.
Ecco come la penso: i BN dovevano essere un progetto
parallelo di Blackmore, un divertissement prima che The Man In Black dovesse tornare a comporre e suonare fumante hard
rock. Poi magari mi sbaglio, ma l’idea è che il Nostro sia rimasto prigioniero
della sua stessa creatura. Del resto, come si suol dire, tira più un pelo di…che
un carro di buoi!
Quindi: una parentesi? No, manco per sogno. Il buon riscontro di pubblico e critica, e magari la
volontà della giovane pulzella di proseguire nel progetto, ha fatto sì che ad
oggi, i BN abbiano sfornato qualcosa come dieci-dico-dieci album in studio,
quattro live dvd, tre album dal vivo, una compilation e svariati singoli.
E nonostante questa imponente discografia, nonostante Ritchie abbia
una collezione di oltre duemila (2.000!) dischi di musica rinascimentale, ho
come l’impressione che in realtà si rompa un po’ gli zebedei a suonarla da vent’anni a questa parte.
Un’impressione nata dalla recente visione di uno di quei live DVD, per la
precisione “Castles and dreams”, del
2005. Lo scenario era stupendo, si suonava in una piazza del borgo di Burg Veldenstein, in Germania, con alle spalle un meraviglioso castello medioevale. I
Nostri erano vestiti di tutto punto, con abiti d’epoca e lo stesso le prime
file degli spettatori, per creare ancora di più l’ambientazione adatta.
Ritchie, che a detta di chi lo ha conosciuto non è mai stato il massimo della
simpatia, ha lo sguardo e l’espressione di uno a cui hanno appena detto che
dovrà passare le vacanze estive nella stessa casa della suocera. Insomma: una faccia un pò così...una faccia-di-merda Mai un
sorriso, mai un gesto che esprima empatia verso il pubblico o i compagni di
ventura. Solo nei bis, quando Blackmore impugnerà la chitarra elettrica, si
lascerà andare a qualche espressione davvero soddisfatta come a dire aahhh…Ora si che
ci siamo! Ora si che godo a suonare!
La storia di Blackmore mi ha
fatto venire in mente un po’ quella del nostro Al Bano Carrisi, quasi coetano
di Ritchie. Fornito da Madre Natura di un voce incredibile, potente come un
cannone, si è auto-limitato a fare scialbi duetti con Romina Power, gran bella
donna ma sicuramente non una cantante dotata. Così Carrisi per circa 22 anni si
è autocastrato a cantare “Felicità” e “Nostalgia canaglia” quando magari
avrebbe potuto cantare brani, anche lirici, di ben altro spessore tecnico.
Del resto la fig…cioè, l’amore è
l’amore e al cuore non si comanda, giusto? Soprattutto se tali scelte artistiche, che potrebbero
apparire “di ripiego”, portano con sè successo e soldi.
La differenza tra Blackmore e
Carrisi è che quest’ultimo, per note e tragiche vicissitudini famigliari, ha
abbandonato la collaborazione forzata con l’ex moglie ed a fine carriera è tornato
a fare quello per cui è davvero portato, potendo esprimersi finalmente in brani
adatti alla sua ugola e toccando il culmine nell’esibizione del 1998 come
terzo tenore assieme ai giganti del genere, Placido Domingo e Josè Carreras.
Ritchie invece, a settant’anni
suonati da un pezzo, è ancora vestito da menestrello trecentesco, con lo
sguardo duro e incazzato a suonare medioeval rock invece che imbracciare la
sua Stratocaster e a spaccare il culo ai passeri come sa sicuramente ancora fare.
La nostra speranza e il nostro augurio è che possa ancora tornare a deliziarci le orecchie con la cosa che sa meglio fare: comporre e suonare heavy rock. Prima che venga fagocitato in una notte senza via d'uscita...la Notte di Blackmore...
A cura di Morningrise