Non
racconterò oggi niente di straordinario, perché quelle di oggi sono storie che
abbiamo vissuto tutti noi. Chiunque abbia presenziato ad un concerto metal,
piccolo o grande che sia stato, ha assaporato umori, odori, sensazioni che si vivono
"under the stage" o,
per meglio dire, "under siege".
La
pratica del pogo è oramai, insieme all'headbanging o fare le corna, una modalità irrinunciabile
dell'essere metallaro ed almeno una volta è stata sperimentata da chiunque.
Sta poi alla sensibilità personale decidere se "retrocedere" o
rimanere in prima fila.
Personalmente
parlando, mi pongo a metà strada, definendomi un "cauto pogatore": non mi piace stare
nel cuore del pit, ma nemmeno seduto in
tribuna ad applaudire come se fossi in teatro. Diciamo che il contatto con gli
altri mi piace e che, se ci riesco, amo collocarmi in quel limbo che sta fra
"la fossa dei leoni" (e di tanto in tanto mi capita di
respingerne qualcuno dentro) e la fascia di popolazione laddove
sopravvive qualche esaltato e la gente ama ancora saltare ed
abbracciarsi. Non amo la violenza e non accetto chi si getta nel pogo
solo per sfogarsi o per fare del male agli altri (mi vengono in mente quegli ultras che vanno allo stadio più per cantare
i cori e per offendere gli avversari che per godersi la partita), ma capisco
che se fatto in modo sano il pogo può essere una buona cosa.
Che
funzione ha il pogo? Ai miei occhi è
una sorta di "modalità enfatizzatrice" che, se attivata,
permette di godere in modo più pieno e fisico della musica. Già
la resa live è un qualcosa di più
potente rispetto ad una incisione in studio: stare a contatto con gli altri,
sentire le vibrazioni che dagli amplificatori si propagano ai corpi e da essi
agli altri corpi, cantare, gridare, saltare è indubbiamente una sensazione
ancora più potente (se ovviamente non si è dei sociopatici maniaci dell'igiene...).
Il pogo è un passo ancora più in là: lo spintone
può divenire qualcosa di più intrusivo, violento e finisce che ci si può far
male o perdere dei beni personali. A me sono capitate entrambe le
cose.
La
memoria corre ai primi anni di scuola superiore. Un concerto nel cortile del
liceo, un pomeriggio di occupazione: poteva questo essere un buon banco di
prova per un giovane metallaro che ancora non aveva assaggiato l'ebrezza del
vero pogo. Suonava una band locale emergente, che poi non si sarebbe affermata,
ma che all'epoca prometteva bene e si muoveva già su un terreno professionale:
i Deliria, fautori di una sorta di thrash/death con testi in italiano. Non male:
il tiro era notevole, il problema è che il pubblico non era composto da
metallari detentori di quel "codice d'onore" che deve per
forza accompagnare la pratica del pogo, ma da cazzoni che avevano solo voglia di far casino. Gente sguaiata,
gente scoordinata che della musica si curava fino ad un certo punto. Il
risultato fu una testata clamorosa sul mio naso da parte di un cretino (volendo
ricordo nome e cognome) che, spinto violentemente, perse l'equilibrio e piombò
a peso morto sul mio viso. Niente di rotto, ma lacrime e dolore indicibile.
Il battesimo ideale per avviarmi lungo la retta via
del pogo professionista ed adottare quelle accortezze per evitare situazioni dolorose,
no? Niente affatto: la stessa scena identica si sarebbe
ripetuta qualche anno dopo ad un concerto dei Cradle of Filth, con il
risultato che qua il naso iniziò a sanguinare. Se ascoltare "The Forest
Whispers My Name" nel cesso del locale mentre si sputa sangue rimane
comunque un’esperienza dal discreto fascino (se non altro coerente
all'immaginario vampiresco professato dalla band), la cosa non mi esaltò nel
complesso e capii che evidentemente c'era qualcosa che sbagliavo nella mia
"strategia di pogo".
Mi
venne in soccorso la sera stessa un mio amico un po' più grande, più esperto e
smaliziato (lui se ne stette tutto il tempo nelle retrovie con i tappi nelle orecchie minando
strani e lenti gesti con le mani, forse gli pareva di suonare una chitarra
immaginaria…) che mi rivelò la regola
d'oro del pogo: quando poghi,
stai sempre con le braccia in avanti per proteggere il viso. Presi alla
lettera il consiglio e se da quel giorno nella "fossa" avete visto un
coglione che si atteggiava da boxeur
sulla difensiva, quello ero io. E' anche vero che all'epoca (fortunatamente)
non portavo ancora gli occhiali, che avrebbero cambiato le mie abitudini in
ogni ambito della vita, compresa la dimensione del pogo.
Capitolo occhiali. Posso candidamente ammettere di essermi rotto gli
occhiali almeno due o tre volte durante il pogo ed addirittura una volta li ho
persino smarriti. E' che sono duro di comprendonio, questo lo avrete capito, ed
in certe circostanze non solo dimostro scarse capacità deduttive (ossia: ci
devo battere il naso - in tutti i sensi- sulle cose per capirle), ma anche di
apprendimento.
La
prima avvisaglia l’ho avuta ad un concerto degli Iron Maiden, il primo
evento metallico veramente importante della mia vita. Qui non si parla di pogo vero e
proprio, ma di quella sorta di tsunami
che si genera dalla somma dei piccoli movimenti di migliaia di persone. Con
l'ingresso degli Irons sul palco di
colpo mi ritrovai cieco, con le lenti completamente appannate per colpa del
calore e dell'entusiasmo del pubblico festante. In più, poiché la montatura dei
miei occhiali era particolarmente lente, me li ritrovai calati sul naso con il
rischio che mi scivolassero via da un momento all'altro per via del sudore,
visto che anche io, quanto ad entusiasmo e temperatura corporea, non ero
proprio un pezzo di ghiaccio. Tutto questo mentre forze soverchianti mi
sballottavano a destra e a sinistra, avanti e indietro, come se fossi un
naufrago perduto fra onde tempestose. Attesi un momento di quiete, ma in un
concerto degli Iron non c'è praticamente quasi mai un momento di relax, soprattutto nella fase in cui i
classici iniziano a susseguirsi uno dopo l'altro. Ricordo senza vergogna che in
attesa dello scoppio di "Fear of the Dark" stetti timoroso con
la mano sul naso per prevenire che gli occhiali decollassero al momento
dell'esplosione del brano.
Il
fatto è che il pogo, quello vero, è imprevedibile: basta un movimento brusco di
qualche imbranato accanto a te e la tragedia si può compiere (in particolare i
colpi che vengono dal dietro, che colpiscono il retro delle asticelle degli
occhiali i quali, sempre aiutati dal sudore, schizzano in avanti come se
lanciati da una catapulta; oppure la classica manata laterale che te li strappa
via con violenza). Almeno un paio di volte mi sono ritrovato a quattro zampe
fra i piedi della gente per recuperare gli occhiali (una di esse, figuratevi,
era un concerto dei Cathedral, a dimostrazione di come il metallaro si
attacchi a tutto pur di pogare), cavandomela con una montatura scassata, ma almeno
con le lenti intatte, che sono la parte più costosa.
Scene pietose, ma mai come quella volta che mi ritrovai a fine
serata a strisciare per terra come un verme alla ricerca degli occhiali
perduti. Che tristezza rovistare nel buio dietro ai divanetti, fra
l'indifferenza e lo scherno della gente. Più volte feci il mio umiliante giro,
ma gli occhiali non furono mai ritrovati ed alla fine mi toccò tornare a casa
nella completa cecità, facendo guidare la mia macchina a mio cugino che ancora
oggi se le ride di queste vicende. Momenti che io invece ricordo con gran
dispiacere, soprattutto al pensiero della noncuranza e della insensibilità che
il "fraterno" popolo del metal sa mostrare in tali circostanze.
Gli
occhiali non sono tuttavia l'unica cosa che può danneggiarsi: se siete ad un festival all'aperto e dovete affrontare
una maratona metallica di due o tre
giorni magari vi capiterà di indossare uno zainetto per tenere cibo ed effetti
personali. Evitate però quegli zaini che hanno grandi tasche con cerniere
perché nel pogo queste tasche possono essere letteralmente divelte. È stato il
caso di quella volta che si era a vedere i Sodom nelle ore pomeridiane
di un Gods of Metal, in cui ad un certo punto iniziai a sentire un sospetto puzzo di tonno
nell'aria, troppo sospetto per essere il fiato o l'ascella di qualcuno. Avrei
scoperto poco dopo che i miei panini (preparati con tanto amore per risparmiare
due spiccioli) andarono letteralmente a puttane, schiacciati senza pietà dai
piedi ferrati dei pogatori.
Quel
concerto fra l'altro fu particolarmente tragico per me, visto che, sempre nel
pogo, mi procurai una distorsione alla caviglia: classico piede messo male e
giuntura che fra crock per via di
qualche energumeno che ti grava sul groppone. Che brutta cosa dover uscire
zoppicando dalla mischia con la consapevolezza di essersi fottuti pranzo
e deambulazione durante il primo concerto di due giorni di festival. Niente di
drammatico: io la mattina a colazione mangio pane e storte, mi sarò distorto la
stessa caviglia almeno una dozzina di volte nel corso della mia vita e nei modi
più stupidi ed evitabili.
Per
non passare per l'imbranato irrecuperabile, vi racconto quest'altro episodio,
che mi vede come divertito testimone e non come protagonista. Perché mi posso
spaccare naso, caviglie e perone, potrò rompere o perdere occhiali, ma una cosa
l'ho avuta chiara fin dall'inizio: mai ritrovarsi con il drink in mano in punti roventi in cui il fuoco può divampare da un
momento all'altro. Grosso errore quello di quel tizio che pretendeva di
gustarsi il cuba libre appena
comprato prima che iniziassero a suonare i Destruction. Logico che alla
prima nota di "Curse the Gods" scattasse il putiferio e il
bicchiere con il suo contenuto decollasse per poi smaterializzarsi nel caos
furibondo del pogo.
Un
episodio invece che mi vede carnefice e non vittima è stato in occasione di un
concerto di T. Raumshmiere. In molti non sanno chi sia costui: basti
precisare che si tratta di un DJ tedesco che ad un certo punto si è dato al
metal, un metal sui generis contaminato da techno e punk. Insomma, un fasullo e
come tale è stato trattato: e così, nel momento in cui si è tuffato sul
pubblico, è stato per me un enorme piacere fargli la cosiddetta
"masa", ossia quella pratica bullistica
tanto in voga alle scuole medie e superiori che consiste nello strofinare con
forza le nocche della mano sulla testa del malcapitato, che in genere è il
coglione della classe.
Tanta
fu la soddisfazione di essere tornato a casa con una masa a Raumschmiere sul mio CV, che, mesi dopo, volli alzare l'asticella e replicare l'impresa
con Alec Empire (il maestro, in effetti, di quelle sonorità nichiliste e
sguaiate sospese fra punk, metal ed elettronica): partii da casa proprio con
l'obiettivo di fare la masa ad Alec
Empire e tornai soddisfatto: il tedesco fu infatti subito aggredito da noi
della "squadra della masa"
alla sua prima incursione fra le prime file.
Abbiamo
parlato di vittime e di carnefici, di piccoli e di grandi eventi, egualmente
letali se ad affrontarli non si è sufficientemente allenati e consapevoli dei
pericoli: nel piccolo concerto si rischia di prenderle secche, nel senso che si
creano pericolosi spazi vuoti che amplificano l'urto o situazioni in cui si può
persino cadere per terra; nel grande evento invece sono le imprevedibili ed
ingovernabili scosse telluriche che si propagano attraverso folle oceaniche a
costituire una forte minaccia per l'incolumità personale. Fra le due forse temo
di più questa seconda circostanza, proprio per l'idea che, una volta dentro,
non c'è via d'uscita, a meno che con fatica e buona volontà non ci si
improvvisi dei provetti Mosè al cospetto del Mar Rosso.
Una
situazione per esempio in cui mi sono sentito particolarmente in trappola
fu in occasione degli insospettabili Primal Fear (che a me non piacciono
nemmeno, ma che dal vivo spaccano davvero il culo): più per colpa della
conformazione del luogo che per l'esibizione in sè (comunque tosta), si creò
una situazione di totale paralisi collettiva dove il pogo era impedito
dall'eccessiva densità di persone per metro quadrato, cosa che ci rendeva inscatolati
come sardine, compressi, impossibilitati a muovere perfino un dito e con la sola facoltà
di volgere la bocca al cielo per respirare o gridare aiuto. A peggiorare le
cose, la band di Ralf Scheepers in sottofondo che inanellava anthem martellanti a ripetizione
(ricordo che alla fine, non so come, riuscii a liberarmi dal giogo mortale
montando disperatamente su una transenna, dove, esausto, potetti attendere la
fine della esibizione). Ho visto i Deicide, i Cannibal Corpse, i Napalm
Death, i Mayhem, gli Impaled Nazarene, ma mai ho temuto per
la mia incolumità come quella volta dei Primal Fear! A dimostrazione che a
volte il pogo è veramente uno stato mentale collettivo imprevedibile, che
dipende più da fattori ambientali che dalla band in sè.
Se
tuttavia c'è una band che unisce tutti gli inconvenienti possibili, ossia un
pogo violentissimo esteso su vasta scala, questa band sono gli Slayer.
Se non avete mai pogato in un concerto degli Slayer non avete mai pogato. Mi
ricordo, ai tempi del tour di "God
Hates Us All" i momenti di grande tensione che si consumarono durante
l'intro cacofonico dell'album. Cioè, la band non era ancora montata sul palco e
già nelle prime file c'era la ressa, tanto che mi ricordo ancora un ragazzo che
disse, con delizioso accento romagnolo: "Piano ragazzi, sono venuto apposta
per farmi i lividi, ma almeno aspettiamo che inizino a suonare...". E
questo era solo l'inizio, immaginatevi voi il seguito.
La
pericolosità di un concerto degli Slayer non sta solo nell'efferatezza della
proposta e nella capacità della band di tirare fuori da chiunque (anche da Suor
Germana) gli istinti più primordiali, ma anche e soprattutto in una platea
finemente selezionata di personaggi che non vorresti mai incontrare per la strada,
figuriamoci ad un concerto degli Slayer: costoro non sono solo poco
raccomandabili energumeni dalle imponenti dimensioni e dalle pulsioni
particolarmente aggressive, ma individui che spesso amano adornarsi di borchie,
collari, braccialetti e orpelli contundenti che possono fare davvero male,
soprattutto se entrano a contatto con il bulbo oculare.
La geografia
di un concerto degli Slayer si compone quindi da una massa di agnelli
sacrificali ondeggiante continuamente scossa da scariche telluriche, con in
mezzo, disposte in modo sparso, delle oasi di brutalità: sorta di ring naturali che si formano sul modello
della lotta clandestina fra galli, dove il malcapitato di turno (tipo me) avrà
il piacere di rimbalzare come una pallina del flipper fra i forti pugni dei fan
degli Slayer. In "Raining Blood" (in particolare quando parte
il riff carro-armato preceduto dal
mitico incipit che funge da vera sirena anti-raid)
riconosco il momento di massimo pogo che si può ottenere scientificamente.
A
casa ci tornai per davvero con i lividi. Ma contento...