"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

6 set 2017

LEGNO III: GRAVE DIGGER



La Germania, nota roccaforte del metallo più duro e puro, è in realtà il Regno del Legno.

La Germania è stata legnosa nell'hard-rock con gli Scorpions ed è stata legnosa nell'heavy metal con gli Accept (grandissimi). Da Udo e compagni, che univano Judas Priest ed AC/DC per gettare le basi del power teutonico, proliferarono una miriade di discepoli legnosi, fra cui si distinguono per legnosità due nomi in particolare: Running Wild e Grave Digger, entrambi esordienti sul mercato discografico nel 1984. Di Rock'n'Rolf e ciurma parleremo a tempo debito, oggi invece ci concentreremo sulla banda dell'inaffondabile Chris Boltendhal.

Se possedete "Heavy Metal Breakdown" (il vinile o il CD originale, intendo) significa o che siete dei metallari veri, o che siete dei metallari completisti, nel senso che avete TUTTO. Se non lo possedete, significa che siete metallari intelligenti, perché nella vostra onnicomprensiva passione del metallo avete preferito dedicare il vostro tempo ad ascolti più edificanti.

"Heavy Metal Breakdown" è il debutto dei Grave Digger, che fin dagli inizi vollero fornire dell'heavy metal classico una visione ben più rozza e pesante della media, con la raucedine di Boltendhal in prima fila. Nell'immaginario collettivo verranno identificati come "quel gruppo power con la voce rozza".

L'ugola al vetriolo di Boltendhal, leader ed unico membro fisso della band nel corso degli anni, è infatti il vero tratto distintivo dei Grave Digger, che per quanto riguarda gli altri reparti non mostreranno mai una cifra stilistica peculiare, o perlomeno degna di nota: riff, ritmiche, assoli, scrittura, tutto nella media. Anche i ritornelli non sono niente di epocale, considerata la scarsa ampiezza vocale di Boltendhal, ma grazie alla sua timbrica greve la band racimolerà le simpatie di tutti coloro che cercheranno un'alternativa al canto-sirena dei vari Kiske e Kotipelto. Il gruppo giusto al momento giusto, potremmo dire, visto che i Nostri dovranno la loro fortuna all'intero carrozzone power. Dopo qualche passo falso e lo scioglimento, infatti, il loro momento di massima fortuna lo vivranno proprio nel corso degli anni novanta grazie ad un pugno di album riusciti e rilasciati con perfetto tempismo, proprio quando il movimento avrebbe raggiunto l'apice della popolarità.

Non dico che hanno vissuto di sola gloria riflessa, perché dei meriti li hanno indubbiamente, ma di certo essi non sono un'entità autonoma che ha partecipato attivamente alla grandezza del "genere" (il power), ma solo una "variante" da apprezzare quando si ascoltano molti altri gruppi. Ci hanno stancato le voci da eunuco della stra-grande maggioranza dei gruppi power? Ascoltiamoci i Grave Digger! Ci hanno stuccato le orchestrazioni dei Rhapsody of Fire? Ascoltiamoci i Grave Digger! Non abbiamo voglia di ascoltare musica complessa e spunti progressivi? Ascoltiamoci i Grave Digger!

Un primo appunto potrebbe essere che essi possono risultare una valida alternativa solo per coloro che non amano il metal estremo, perché coloro che sono aperti al thrash, al death e al black hanno ben altri lidi verso cui recarsi e trovare soddisfazione. Ecco dunque che la platea si restringe drasticamente e si circoscrive a quegli amanti del metallo che non se la sentono di allontanarsi più di tanto dal circondario delle sonorità classiche: insomma, il peggio del peggio dello zoccolo reazionario del popolo metallico, quel mondo che non sa andare oltre il riff e il ritornello. Ogni tentativo di innovazione potrebbe essere visto come un tradimento o qualcosa di sgradevole o qualcosa di troppo impegnativo da dover ascoltare.

Ma perché allora, per esempio, i Sodom, a parità di presupposti (anche loro tedeschi, nati negli anni ottanta, egualmente ottusi, cocciuti e conservatori), non sono di legno e i Grave Digger si? Beh, intanto perché la band di Tom Angelripper ha un suo stile e poi perché quei suoni rozzi ed efferati partoriti nella metà degli anni ottanta sono stati di forte ispirazione per le band estreme della decade successiva. Come si è detto nell'anteprima l'Estremo piace, difficilmente risulta di legno e il black metal è persino ben visto, sia fra i giovanissimi di oggi che nei salotti intellettuali: se non altro esprime malessere! E se sei un estremo prima degli estremi ed hai influenzato gli estremi più estremi, allora rischi per davvero di diventare qualcosa di cool.

I Grave Digger non sono di certo seminali, né veramente estremi, e meno che mai esprimono un malessere, ma a parte questo, a parte le questioni sociologiche, a parte l'appeal estetico, essi hanno un tasso di legnosità intrinseca che è davvero difficile da spiegare a parole. Ok, canzoni quadrate senza fantasia, ritornelli monolitici senza fantasia, anthem ricercati a tutti i costi, ma qua si va oltre.

Per capire meglio, possiamo fare un esempio prendendo in considerazione il già citato "Heavy Metal Breakdown". "Yesterday" è una specie di semi-ballad che alterna parti lenti a momenti con più mordente. Non è il terreno in cui i Nostri danno il loro meglio e la voce di Boltendhal in versione "rocker dal cuore spezzato" lascia quella sensazione spiacevole di cane che guaisce con il muso schiacciato in una museruola. Ma più o meno una ballata l'abbiamo sempre trovata nei loro album ed a volte il risultato non è stato poi così malaccio. Non è dunque questa la pietra dello scandalo. Il fatto è che il brano parla di una separazione, di un amore finito: parte dicendo "ieri, quando mi hai lasciato a me stesso/ ieri, quando hai lasciato il mio cuore solo" e finisce con "ieri, quando eravamo marito e moglie/ ieri, no, ieri, no".

Lasciamo perdere la banalità delle liriche e l'inglese da terza media: immedesimiamoci nella parte di quelli che si sono persino commossi. Ok, tutti ad asciugarci le lacrime con i fazzoletti e poi che succede subito dopo? Attacca ex abrupto il ruggito a cappella di "We Wanna Rock You", un brano che celebra la band, le sue gesta, i suoi intenti "rockeggianti", richiamando a raduno il popolo metallico. Ed allora ti vien da pensare: ma son proprio dei cafoni!

È vero: da sempre la figura del rocker è affetta da bipolarismo: anima sensibile da un lato, quello che le tromba tutte lui dall'altro. Non vogliamo per decoro soffermarci sulla presenza di Boltendhal, che non ha il phisique du role né per l'uno (quelle che le tromba tutte) né per l'altro (quello che soffre per amore): toglietegli i capelli lunghi e di lui rimarrà il volto squallido del salumiere di mezza età. E poi nel 1984 il Nostro aveva ventidue anni: difficile pensare che fosse a quell'età già divorziato. Siamo dunque probabilmente nel terreno della finzione, ma l'idea di un poco più che adolescente che parla di un divorzio, anche dal punto di vista di un rocker, mette una grande tristezza. Già questo potrebbe essere un indizio importante della legnosità della band, ma anche su questo soprassederemo.

Il fatto è che il passaggio dal melenso al tamarro è stato gestito davvero male e, in generale, perfino Morbid Angel e Deicide hanno mostrato una maggiore sensibilità nei loro album più brutali. E' questo il legno dei Grave Digger, un legno massiccio, duro come un noce. E' come uno che sta facendo l'amore con una ragazza, le sussurra frasi dolci nelle orecchie ed al momento dell'orgasmo inizia a godere come un orco, ad alta voce, magari con un rutto di soddisfazione finale.

Ma i Digger, da questo punto di vista (ossia nel recitare la parte del cosiddetto "maiale con la cravatta"), sapranno fare di peggio, e per giunta nei loro album più riusciti. Rimaniamo nella metafora sessuale e mettiamoci nei panni della bella ragazza single che non se la sente di consacrarsi all'altare della monogamia (se non lo avete capito, costei rappresenta il metallaro innanzi alle infinite possibilità offerte dal suo genere preferito). Ella ha molti amanti, perché crede che il mondo sia bello perché vario, ed in quanto donna affascinante sa districarsi fra gli spasimanti più disparati. Quindi avrà la possibilità di trascorrere una bella serata vedendo un film sul divano con il suo trombamico, una raffinata cena fra buon vino e discorsi filosofici, una notte di sesso brutale con il palestrato tutto muscoli e poco cervello, magari raccattato in chat. I Grave Digger fanno parte di quest'ultima categoria, e non è un male in sé, perché ogni tanto, soprattutto se si fa una vita stressante, ci vuole una serata senza pensieri a base di ironia greve e sesso selvaggio. Il problema è che ad un certo punto questo rozzo amante ha l'ardire di evolversi, di fare il salto di qualità, di voler fare il romantico. Finché si presenta con un completo della misura sbagliata ed un mazzo di rose del colore sbagliato, ci si può anche stare. Il problema per la nostra amica sarà quando si ritroverà montata da un toro sbuffante che gli sussurra nell’orecchio frasi d'amore da Bacio Perugina, magari con voce rauca: quella di Boltendhal. E magari con delle cornamuse trionfali sparate a vanvera quando meno te le aspetti. Allora forse era meglio farsi sbattere a pecora senza nemmeno guardarsi in faccia.

Eccoci dunque alla famigerata "trilogia" a cui i Nostri devono la loro maggiore fortuna, ossia il trittico di album che sono usciti dal ‘96 al ‘99 (“Tunes of War", "Knights of the Cross" ed "Excalibur"), preceduti da due lavori di buona fattura che avevano ridestato attenzione generale sul combo tedesco ("The Reaper" e "Heart of Darkness"). I Nostri dirigono il loro sound granitico ed ottenebrante verso saghe guerresche di indubbio fascino, fra storia (quella dell'indipendenza della Scozia, quella delle Crociate) e fantasia (Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda), accattivandosi le simpatie di tutti fan di quell'universo fantasy-leggendario che gente come i Blind Guardian avevano riportato in auge fra i metal-kid di tutto il mondo.

Però i Blind Guardian (che, in quanto tedeschi, sono legnosi pure loro) son dei grandi ed hanno rivoluzionato il power con originalità, tecnica ed una visione complessa del metal che contempla sfumature folk, prog e musica classica. I Grave Digger, nel narrare le loro saghe epiche, appaiono come i Blind Guardian senza talento ed orpelli, quindi una normale band power tedesca che punta al ribasso, per non rischiare, per assicurarsi una sorta di rendita fissa, benché minima.

Attenzione: non c'è malafede in tutto ciò, per questo non possiamo colpevolizzarli. Qui piuttosto è una questione di limiti, principalmente a livello di visione artistica, se non addirittura di percezione. Per gente come i Grave Digger il metal sarebbe rimasto all'età della pietra e, contrariamente a quanto professato da tanti irriducibili difensori dell'ortodossia del metallo, il metal sarebbe oggi morto da un pezzo, perché la grandezza del metal l'ha fatta chi ha avuto coraggio, ha saputo rinnovare, ha rischiato e cambiato gli scenari. Non chi si è limitato ad accodarsi al carrozzone avendo ben poco da offrire e rimanendo una delle tante voci del coro.

Come si suol dire: la miglior difesa è l'attacco!, e i Grave Digger dovrebbero saperlo bene…