Per pigrizia. Per superficialità.
E per una sottile, e stolta, sensazione di sfiducia.
Per questi ingiustificabili
motivi non ho ascoltato “Phanerozoic” degli immensi The Ocean. Cioè, mi sono
accontentato di ascoltare, supinamente, i due singoli usciti nel 2018 (e sui
quali avevamo puntualmente relazionato).
E poi? Cosa mi ha spinto a non
procurarmi l’album completo? Forse il fatto che fosse una Parte I? O che,
appunto, non ritenessi che il Collettivo capitanato da Robin Staps e Paul
Seidel potesse in ogni caso superare, o quantomeno bissare, i fasti di
“Pelagial”?
In ogni caso, non ho scuse.
Per fortuna che esiste whatsapp. E’ infatti tramite quell’applicazione che la mattina di un’anonimo sabato autunnale mi arriva un sms del nostro Mementomori che esclama: “Mi è partita in automatico la riproduzione su Youtube dell’ultimo album dei The Ocean: dai primi dieci minuti parrebbe il disco dell’anno…”.
E’ stata una molla. Me lo vado a
sentire anch’io, quella stessa mattina, “Phanerozoic II”. E, cazzo, già al
primo ascolto si capisce che siamo davanti a qualcosa di nettamente superiore.
Ma voglio far le cose per bene. I
The Ocean meritano, per tutte le gioie che ci hanno saputo regalare da 3 lustri
a questa parte, che vengano ascoltati “per bene”. Mi procuro, perciò, tutte e
due le parti. E comincio ad ascoltarle, quasi senza soluzione di continuità.
Non starò a descrivere
dettagliatamente i due tomi (da avere assolutamente entrambi!) né a svolgere
uno sterile track by track.
Quello che ci preme sottolineare,
dopo ripetuti e attenti ascolti dei quasi 100’ di musica, sono essenzialmente
due elementi:
1) I The Ocean sono ormai i migliori alfieri di quello che potremmo definire il “post-post hardcore”. Capaci di rileggere, a quasi 25 anni di distanza, le lezioni impartite dai maestri Neurosis, sia quelli della fase più tellurica (mi riferisco al magico trittico “Enemy of the Sun” – “Through Silver in Blood” – “Times of Grace”), sia di quelli più “illuminati” di “A Sun that Never Sets”. E rileggerle sapendo incorporare nel proprio sound i mille rivoli che il Metallo pe(n)sante ha saputo accogliere nel Terzo Millennio. Dall’utilizzo di un’ampia e variegata strumentistica, che non si limita solo ad archi, fiati e svariati tipi di cordofoni e elettrofoni digitali; ad una gestione dei “pieni e dei “vuoti” sempre bilanciata e capace di creare un mood apocalittico di una tensione emotiva massimale; dal maneggiare come se nulla fosse cambi di tempo e umori anche distanti tra loro (noise&ambient, dark&death) all’incorporare persino trame sinfoniche degne di un ensemble operistico. Ma non allarmatevi: le esplosioni di metallo estremo sono ben presenti e frequenti, tali da immergerci con tutte le scarpe nei sommovimenti geologico-ambientali che cambiarono la forma dei continenti e delle forme di vita durante l’eone Farenozoico. Un viaggio di una mezza miliardata di anni circa per comprendere il quale non bisogna per forza essere fini geologi o paleontologi, visto che i concept targati The Ocean, da leggere sempre su piani concettuali diversi, sono sì scientificamente tecnici, ma anche delle splendide metafore spirituali e morali che riguardano l’uomo contemporaneo.
Il risultato di tutto ciò è una musica raffinata, mai prolissa, coesa e bilanciata. Dove, alla fine dell’ascolto, la sensazione che proviamo in modo chiaro è quello di “pienezza e appagamento”. Per raggiungere i quali i The Ocean non devono neppure ricorrere a un minutaggio chissà quanto ampio, il che denota una capacità di sintesi e padronanza di scrittura da professionisti navigati.
Il grado di eleganza
raggiunto dalle vocals del fido Loic Rossetti è poi strabiliante. Ascoltare un
brano come “Silurian: the Age of Sea Scorpions” è il non plus ultra di quello
che delle vecchie orecchie da metallaro, avvezzo a qualsiasi tipo di sound e
sperimentazione sonora, possano desiderare nel 2020. E arriviamo, detto questo,
al secondo punto…
2) “Phanerozoic”,
signori, è la miglior risposta all’evoluzione del Metal dopo i 50 anni di vita,
scoccati proprio lo scorso febbraio. E’ da anni che sul Blog cerchiamo di dare
un’indicazione in merito a questo Grande Dilemma e, dopo aver ascoltato con grande
interesse e apprezzamento le “risposte” che grandi band contemporanee hanno
dato in quest’ultimo lustro (Haken, BTBAM, Leprous, Inter Arma, Obscura, Ne Obliviscaris, ecc., per non parlare degli infiniti Tool), mi sento di affermare che il Metal composto dal collettivo tedesco è quella più coerente,
sensato e credibile. E capace di darci emozioni nuove. Non dimentico il
filone del post-post prog, e soprattutto quello del post-post black (che
continua a sfornare album da brividi con soluzioni davvero entusiasmanti) ma
qui, credetemi, siamo a un livello superiore ancora; una musica talmente bella
da poter reggere tranquillamente senza voce (non a caso nelle versioni deluxe
dei due dischi, le tracce sono riproposte completamente strumentali).
“Phanerozoic I – Palaeozoic”
Voto: 9
Canzone top: tutte
Momento top: la sezione centrale di “Silurian: Age of Sea Scorpions”
Canzone flop: nessuna
Etichetta: Metal Blade, 2018
Dati: 7 canzoni, 48’
“Phanerozoic
II – Mesozoic / Cenozoic”
Voto: 8,5
Canzone top:
“Jurassic / Cretaceous”
Canzone flop:
nessuna
Momento top:
l’accelerazione black nella coda di “Pleistocene”
Etichetta: Metal
Blade, 2020
Dati: 8 canzoni,
51’