CLASSIFICA DEI DIECI MIGLIORI ALBUM DEATH METAL USCITI NEL 1991
5° CLASSIFICATO: "UNQUESTIONABLE PRESENCE" (ATHEIST)
Gli Atheist irruppero sulla scena nel 1989 camuffati da gruppo death con la predilezione per soluzioni “jazzate”, ossia: ritmi sincopati, cambi di tempo, svisature in corsa con la sezione ritmica che saltellava intorno al riff per poi ricomporsi. Intorno a stilemi rassicuranti come il timbro vocale, titoli e grafica, si proponeva una destrutturazione del metal estremo, che all'epoca, a cavallo tra vecchio thrash e nuovo death, era quanto di più strutturato potesse esserci...
Con il primo album, "Piece of Time", la band floridiana applicava al metal l'approccio alla base delle costruzioni Lego: la destrutturazione. Ogni costruzione è scomponibile in una serie di elementi su cui si può variare liberamente, sapendo però sempre che quella montagna di mattoncini colorati sono elementi di una stazione dei pompieri, di un castello, di un'astronave o chissà cos'altro.
Nel secondo album, "Unquestionable Presence", la componente destrutturata si amplifica,
50/50 con quella più tradizionale, il che rende il disco un
pastrocchio di elementi tecnicamente ineccepibili: una montagna di
mattoncini in cui affondare le mani. Nell'album ancora dopo, "Elements", la cosa si accentuerà ancora di più e tutti i metallari
sostanzialmente si scocceranno, al grido di “bravissimi ma basta!”.
Il disco chiave però per capire gli Atheist fu appunto il secondo: “Unquestionable Presence”.
Un bambino prega a
mani giunte rivolto verso il cielo, ma non certo un Dio, visto che il nome della band è eloquente. Il tema principale, liricamente e musicalmente, è infatti la perplessità.
Qualcosa non torna nel legare le sensazioni ai pensieri. Un filo di
certezza, di fiducia, di automatismo si deve essere rotto. La
freddezza delle soluzioni del jazz metal risponde a questo “star
sospesi” tra due fronti opposti: complicare o semplificare?
Seguire la ripetizione di un riff nella sua semplice struttura, o
decostruirlo e svilupparne ogni rivolo? Svolgere o avvolgere?
Il dilemma, sia chiaro,
rappresentava bene l'atmosfera del periodo, in cui davvero alcune
band avrebbero definitivamente lasciato il metal per varie interzone
musicali, mentre altre si sarebbero incallite nel tenere viva la
fiamma sotto le ceneri. Il filo del metal si era annodato o
interrotto.
Sarebbe sbagliato, come
si legge in alcune recensioni, collocare questo disco fuori dalla
tradizione, perché esso è una riflessione sulla tradizione. I brani, per esempio, incrociano durante lo svolgimento
passaggi thrash in cui addirittura sono evidenti le matrici
specifiche, qui degli Slayer, là dei Metallica. Nel mucchio di
mattoncini si riconocono pezzi del castello, della stazione dei
pompieri, dell'astronave etc., presi e giustapposti in maniera tale da
formare strutture apparentemente nuove, assolutamente non funzionali,
architettonicamente spiazzanti: la colla è jazz, i pezzi sono metal.
Non solo: sono la storia del metal.
L'opera va letta e
scomposta secondo questo principio: non in brani, secondo i titoli, bensì in mattoncini. Se ascoltate l'album seguendo i brani, non si capisce dove
esso inizi e dove esso finisca. Io per esempio, dopo un po' che lo ascoltavo, per curiosità sono andato a
vedere a che punto ero dell'ascolto e scoprii di trovarmi per magia già al settimo minuto del
file successivo...quello di “Elements”! Se seguite invece i mattoncini avrete
l'impressione di tenere un cane per il guinzaglio: scatta, poi si
pianta, poi annusa qualcosa, poi girottola intorno a un bidone, poi
corre. Ogni volta, non facciamo a tempo ad adattarci, che subito cambia lo scenario; tuttavia, ogniqualvolta vorremo andare oltre la dimensione di apparente instabilità e mettere a fuoco la forma e i contorni di un preciso mattoncino
metal, avremo la sensazione di “già sentito da qualche parte”.
Dicevamo, quindi, che va
letto così, come un album di famiglia in cui si può
ritrovare tutto in una sequenza più o meno
casuale. Quale era il senso di tutto questo? Un senso un po' diverso,
sia dalle varie sperimentazioni estreme (in quel periodo gestite
dalla Earache Records), sia dai virtuosismi di cui il metal era già
pieno. Né peraltro gli Atheist fondarono un movimento: sì,
d'accordo, ci fu un po' di jazz-metal da lì a seguire, ma era
un'idea non dei soli Atheist e la maturarono quando in formazione
entrò il bassista dei Cynic, Tony Choy. Fecero jazz-metal anche i Death e i
Pestilence. Per gli Atheist il jazz era solo il collante, un modo per legare fra di loro quei mattoncini metal, ma il collante avrebbe potuto benissimo anche essere un altro. Gli
Atheist non furono dei movimentisti: essi decostruirono il metal e
consegnarono i mattoncini ai posteri, affinché l'essenza del metal potesse sopravvivere, divenire intellegile, essere tramandato. Questo fu il loro ruolo
storico, e ce lo dicono loro stessi, facendo finta di parlar d'altro.
Il testo di "Unquestionable
Presence", che parla degli alieni, è l'allegoria dell'album stesso:
"La nebbia scivola
verso di noi così fine stasera
E ogni calore si
spegne nel ghiaccio
Ogni coraggio si
riempie di timore
La mia nave è tornata
stasera
Non toccate la mia
preziosa nave, ringraziate di poter assistere tutti
Non capirete mai che
la nostra vita nello spazio
I nostri passaggi qui
sono rimasti nascosti per anni
Così facile creare
involucri come voi
Ora devo andare e
tornare indietro
La nostra presenza è
indiscutibile
Non possiamo essere
visti per un tempo così lungo
Guardate che avete
fatto, una grande confusione
Se solo vi foste
tenuto tutto per voi
Avreste potuto avere
certamente la prova della vita nello spazio lontano
La nostra missione è
completata
Ci attende un lungo
viaggio
Abbiamo raccolto i
dati
L'umanità può
ripartire
E noi scivoliamo
sempre più dentro"
Gli Atheist sono dunque degli
alieni scesi tra noi. Non una divinità esterna, ma una divinità
immanente: sono nello spazio da qualche parte e ogni tanto passano a
trovarci. La loro presenza è "unquestionable", non sindacabile,
indiscutibile. E come può essere indiscutibile
qualcosa di sconosciuto? E che al tempo stesso non sia divino (perché pur sempre
degli Atheist stiamo parlando)? Perché già quel qualcosa lo conosciamo! La
presenza indiscutibile, signori miei, non è altro che il metal: una presenza che c'è sempre e
che nel 1991 tornò sotto le sembianze degli Atheist, scesi da
un'astronave metal-jazz. I generi metal sono degli involucri, dei
gusci, creati da un principio ispiratore trascendente, che appare e
scompare. I Manowar lo identificano negli Dei del Metal, gli Atheist
ce lo dipingono come un'astronave aliena che atterra per ricondurci
alla ragione, per ricordarci da dove veniamo. Non un messia che
viene per “rinnovare” il mondo, bensì un messia che lo riporta
indietro: un deus ex machina che rifonda un edificio in via di
crollo.
Proprio quando la nebbia
avvolge il metal di inizio anni '90, ecco che l'astronave degli
Atheist arriva per far ripartire da zero il tutto. Ci consegna la
pietra filosofale del metal, "Unquestionable Presence", un "kit" completo con tutto
quello che ci può servire per far ripartire il tutto ed una colla
da grattar via. A beneficio dei metallari di fine anni '90 che frugheranno tra
i mucchi dei mattoncini colorati e faranno rinascere l'epic, il power,
il thrash. La cosa funzionò, tanto è vero che siamo, dopo vent'anni
ancora, a scrivere di un genere vivo. Vivo nonostante abbiamo
rischiato di perderlo, perché, come dicono gli Atheist, non ce lo
siamo “tenuto per noi”, ma abbiamo creduto nei primi '90
di poterlo commercializzare, divulgare, fondere. Al prossimo giro
vediamo di non sbagliare ancora...