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14 apr 2016

XXV ANNIVERSARIO DEL DEATH METAL: ATHEIST, "UNQUESTIONABLE PRESENCE"


CLASSIFICA DEI DIECI MIGLIORI ALBUM DEATH METAL USCITI NEL 1991

5° CLASSIFICATO: "UNQUESTIONABLE PRESENCE" (ATHEIST)

Gli Atheist irruppero sulla scena nel 1989 camuffati da gruppo death con la predilezione per soluzioni “jazzate”, ossia: ritmi sincopati, cambi di tempo, svisature in corsa con la sezione ritmica che saltellava intorno al riff per poi ricomporsi. Intorno a stilemi rassicuranti come il timbro vocale, titoli e grafica, si proponeva una destrutturazione del metal estremo, che all'epoca, a cavallo tra vecchio thrash e nuovo death, era quanto di più strutturato potesse esserci...

Con il primo album, "Piece of Time", la band floridiana applicava al metal l'approccio alla base delle costruzioni Lego: la destrutturazione. Ogni costruzione è scomponibile in una serie di elementi su cui si può variare liberamente, sapendo però sempre che quella montagna di mattoncini colorati sono elementi di una stazione dei pompieri, di un castello, di un'astronave o chissà cos'altro.

Nel secondo album, "Unquestionable Presence", la componente destrutturata si amplifica, 50/50 con quella più tradizionale, il che rende il disco un pastrocchio di elementi tecnicamente ineccepibili: una montagna di mattoncini in cui affondare le mani. Nell'album ancora dopo, "Elements", la cosa si accentuerà ancora di più e tutti i metallari sostanzialmente si scocceranno, al grido di “bravissimi ma basta!”. Il disco chiave però per capire gli Atheist fu appunto il secondo: “Unquestionable Presence”.
Un bambino prega a mani giunte rivolto verso il cielo, ma non certo un Dio, visto che il nome della band è eloquente. Il tema principale, liricamente e musicalmente, è infatti la perplessità. Qualcosa non torna nel legare le sensazioni ai pensieri. Un filo di certezza, di fiducia, di automatismo si deve essere rotto. La freddezza delle soluzioni del jazz metal risponde a questo “star sospesi” tra due fronti opposti: complicare o semplificare? Seguire la ripetizione di un riff nella sua semplice struttura, o decostruirlo e svilupparne ogni rivolo? Svolgere o avvolgere?
Il dilemma, sia chiaro, rappresentava bene l'atmosfera del periodo, in cui davvero alcune band avrebbero definitivamente lasciato il metal per varie interzone musicali, mentre altre si sarebbero incallite nel tenere viva la fiamma sotto le ceneri. Il filo del metal si era annodato o interrotto.

Sarebbe sbagliato, come si legge in alcune recensioni, collocare questo disco fuori dalla tradizione, perché esso è una riflessione sulla tradizione. I brani, per esempio, incrociano durante lo svolgimento passaggi thrash in cui addirittura sono evidenti le matrici specifiche, qui degli Slayer, là dei Metallica. Nel mucchio di mattoncini si riconocono pezzi del castello, della stazione dei pompieri, dell'astronave etc., presi e giustapposti in maniera tale da formare strutture apparentemente nuove, assolutamente non funzionali, architettonicamente spiazzanti: la colla è jazz, i pezzi sono metal. Non solo: sono la storia del metal.

L'opera va letta e scomposta secondo questo principio: non in brani, secondo i titoli, bensì in mattoncini. Se ascoltate l'album seguendo i brani, non si capisce dove esso inizi e dove esso finisca. Io per esempio, dopo un po' che lo ascoltavo, per curiosità sono andato a vedere a che punto ero dell'ascolto e scoprii di trovarmi per magia già al settimo minuto del file successivo...quello di “Elements”! Se seguite invece i mattoncini avrete l'impressione di tenere un cane per il guinzaglio: scatta, poi si pianta, poi annusa qualcosa, poi girottola intorno a un bidone, poi corre. Ogni volta, non facciamo a tempo ad adattarci, che subito cambia lo scenario; tuttavia, ogniqualvolta vorremo andare oltre la dimensione di apparente instabilità e mettere a fuoco la forma e i contorni di un preciso mattoncino metal, avremo la sensazione di “già sentito da qualche parte”.

Dicevamo, quindi, che va letto così, come un album di famiglia in cui si può ritrovare tutto in una sequenza più o meno casuale. Quale era il senso di tutto questo? Un senso un po' diverso, sia dalle varie sperimentazioni estreme (in quel periodo gestite dalla Earache Records), sia dai virtuosismi di cui il metal era già pieno. Né peraltro gli Atheist fondarono un movimento: sì, d'accordo, ci fu un po' di jazz-metal da lì a seguire, ma era un'idea non dei soli Atheist e la maturarono quando in formazione entrò il bassista dei Cynic, Tony Choy. Fecero jazz-metal anche i Death e i Pestilence. Per gli Atheist il jazz era solo il collante, un modo per legare fra di loro quei mattoncini metal, ma il collante avrebbe potuto benissimo anche essere un altro. Gli Atheist non furono dei movimentisti: essi decostruirono il metal e consegnarono i mattoncini ai posteri, affinché l'essenza del metal potesse sopravvivere, divenire intellegile, essere tramandato. Questo fu il loro ruolo storico, e ce lo dicono loro stessi, facendo finta di parlar d'altro.

Il testo di "Unquestionable Presence", che parla degli alieni, è l'allegoria dell'album stesso:

"La nebbia scivola verso di noi così fine stasera
E ogni calore si spegne nel ghiaccio
Ogni coraggio si riempie di timore
La mia nave è tornata stasera

Non toccate la mia preziosa nave, ringraziate di poter assistere tutti

Non capirete mai che la nostra vita nello spazio
I nostri passaggi qui sono rimasti nascosti per anni
Così facile creare involucri come voi
Ora devo andare e tornare indietro

La nostra presenza è indiscutibile
Non possiamo essere visti per un tempo così lungo
Guardate che avete fatto, una grande confusione
Se solo vi foste tenuto tutto per voi
Avreste potuto avere certamente la prova della vita nello spazio lontano

La nostra missione è completata
Ci attende un lungo viaggio
Abbiamo raccolto i dati
L'umanità può ripartire
E noi scivoliamo sempre più dentro"

Gli Atheist sono dunque degli alieni scesi tra noi. Non una divinità esterna, ma una divinità immanente: sono nello spazio da qualche parte e ogni tanto passano a trovarci. La loro presenza è "unquestionable", non sindacabile, indiscutibile. E come può essere indiscutibile qualcosa di sconosciuto? E che al tempo stesso non sia divino (perché pur sempre degli Atheist stiamo parlando)? Perché già quel qualcosa lo conosciamo! La presenza indiscutibile, signori miei, non è altro che il metal: una presenza che c'è sempre e che nel 1991 tornò sotto le sembianze degli Atheist, scesi da un'astronave metal-jazz. I generi metal sono degli involucri, dei gusci, creati da un principio ispiratore trascendente, che appare e scompare. I Manowar lo identificano negli Dei del Metal, gli Atheist ce lo dipingono come un'astronave aliena che atterra per ricondurci alla ragione, per ricordarci da dove veniamo. Non un messia che viene per “rinnovare” il mondo, bensì un messia che lo riporta indietro: un deus ex machina che rifonda un edificio in via di crollo.

Proprio quando la nebbia avvolge il metal di inizio anni '90, ecco che l'astronave degli Atheist arriva per far ripartire da zero il tutto. Ci consegna la pietra filosofale del metal, "Unquestionable Presence", un "kit" completo con tutto quello che ci può servire per far ripartire il tutto ed una colla da grattar via. A beneficio dei metallari di fine anni '90 che frugheranno tra i mucchi dei mattoncini colorati e faranno rinascere l'epic, il power, il thrash. La cosa funzionò, tanto è vero che siamo, dopo vent'anni ancora, a scrivere di un genere vivo. Vivo nonostante abbiamo rischiato di perderlo, perché, come dicono gli Atheist, non ce lo siamo “tenuto per noi”, ma abbiamo creduto nei primi '90 di poterlo commercializzare, divulgare, fondere. Al prossimo giro vediamo di non sbagliare ancora...


A cura del Dottore

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