Per introdurre la casistica cui appartengono i Blind Guardian, della quale abbiamo accennato nella prima parte del nostro editoriale, vorrei partire da
un estratto del post che il nostro Mementomori scrisse proprio in
merito agli Isis, già ivi citati:
Negli anni ottanta una grande
band, una volta accreditata, poteva permettersi di pubblicare una sequela
infinita di lavori fotocopia. Da un po’ di anni a questa parte il giochetto non
funziona più: il mercato è esigente, i fan sono esigenti, gli artisti stessi
sono più esigenti. E quindi o fai come i Tool, e non pubblichi più niente,
oppure cerchi di evolverti, rischiando però di abbandonarti ad una deriva di
ispirazione calante e mestiere crescente.
Teniamo alla mente queste
sacrosante parole. Perché i Blind Guardian sono riusciti a evitare mirabilmente il
pericolo dell'"ispirazione calante e del mestiere crescente".
Analizzando le gesta del
Guardiano Cieco degli ultimi quindici anni, infatti, io non posso fare altro
che alzarmi in piedi e applaudirli. Agire come hanno fatto loro dopo "Nightfall in Middle-Earth" non
era né facile né scontato.
Innanzitutto non hanno saturato il mercato, elemento fortemente apprezzabile e
non sempre seguito dalle top-band (i Dream Theater sono un esempio lampante
dell’atteggiamento opposto). Anzi, c’è chi li ha criticati proprio per questa eccessiva
lentezza nel lavoro. Direi che è una critica risibile: ciò che conta è, banalmente,
la qualità del prodotto finale. Se per realizzarlo Kursch e compagni si
prendono 4-5 anni di tempo…chissenefrega!!
E poi, per i fan più "bulimici",
ricordiamo che in mezzo ai nuovi dischi, ne sono usciti altri: il bellissimo
“Live” (2003); il DVD “Imaginations Through the Looking Glass” (2004) e la
mega-raccolta “Memories of a Time to Come” (2012), oltre all’abnorme Box-set “A Traveler’s Guide to Space and Time” (2013): quasi 14 ore di musica
blindguardiana dalle origini sino al 2004, e cioè prima del passaggio
dei bardi sotto l’egida della Nuclear Blast.
Ma torniamo al fulcro di questo
post: e cioè la “politica” stilistica del gruppo dopo "Nightfall..."
Nel dettaglio: “A Night At The Opera”, per chi
scrive, anche a distanza di 14 anni dalla sua uscita, è un album fantastico.
Splendido. Emozionante. Scritto divinamente. E “tarato”, non per colpa dei suoi
autori, da un equivoco grande come un grattacielo. E cioè il fatto che troppo,
troppo, troppo si è parlato, trai i fan e nella critica, di “And then there was
silence”. Se ne può discutere, può piacere o no (forse la sua scelta come
singolo non è stata lungimirante). Personalmente la trovo una canzone
grandiosa, giustamente inserita tra le migliori dieci canzoni lunghe del metal
classico dal nostro Mementomori nella sua Rassegna.
Ma il punto è un altro: quella canzone rappresenta 14 minuti su 70 dell'"intero"!! E allora?!? Come sono gli altri 56!!?? Ecco, per me sono meravigliosi. Chiaro, si può discutere la scelta sinfonica, l’enorme stratificazione vocale, l’utilizzo dei synth. Manierismo? No, io non credo. Forma e poca sostanza? Assolutamente no: come si potrebbe tacciare una “Battlefield” o una “The Soulforged” (ma potremmo citare praticamente l’intera tracklist) come prive di sostanza?? O ancora: troppa freddezza e poca “anima”? Macchè! Anzi, io trovo dentro ogni pezzo di quell’album un gran cuore, dal primo minuto di “Precious Jerusalem”, fino alle bordate thrasheggianti di “Punishment Divine”.
Ma il punto è un altro: quella canzone rappresenta 14 minuti su 70 dell'"intero"!! E allora?!? Come sono gli altri 56!!?? Ecco, per me sono meravigliosi. Chiaro, si può discutere la scelta sinfonica, l’enorme stratificazione vocale, l’utilizzo dei synth. Manierismo? No, io non credo. Forma e poca sostanza? Assolutamente no: come si potrebbe tacciare una “Battlefield” o una “The Soulforged” (ma potremmo citare praticamente l’intera tracklist) come prive di sostanza?? O ancora: troppa freddezza e poca “anima”? Macchè! Anzi, io trovo dentro ogni pezzo di quell’album un gran cuore, dal primo minuto di “Precious Jerusalem”, fino alle bordate thrasheggianti di “Punishment Divine”.
Ma soprattutto, ed è questo il
fulcro del mio ragionamento, è la scelta stilistica che ho apprezzato
all’epoca: i B.G. non hanno provato a rifare né NIME (irripetibile,
ineguagliabile), né i capolavori del loro illustre passato, da “Imaginations
from the Other Side” a “Tales from the Twilight World”. No, loro sono andati
avanti, provando a creare qualcosa di
nuovo, mantenendo inalterato il loro trademark, ma esplorando lidi non
ancora battuti. E secondo me, come detto, con risultati enormi.
I restanti tre dischi (“A Twist In The Myth”, “At The Edge Of Time” e il già citato “Beyond The Red Mirror”)
non fanno che confermare quanto detto sopra; quantomeno a livello di
atteggiamento, di scrittura, di ricerca. Tutti e tre suonano fottutamente
blindguardian al 100% (del resto gli orditi chitarristici di Olbrich sarebbero riconoscibili tra mille), ma ognuno denota una volontà “evolutiva” straordinaria.
Il primo è asciutto, essenziale, diretto. Quasi un ritorno alle origini, un passo indietro per ritrovare se stessi per poi ripartire con nuovo slancio. Un bagno di concretezza dopo la magniloquenza di ANATO. La "doccia fredda" sembra aver fatto bene ai Nostri visto che ATITM contiene alcuni dei pezzi più belli
dell’intera loro carriera (“Otherland”, “Turn the page”).
Il secondo prova a
integrare il sound dei Nostri con i contributi, ancora centellinati, delle
orchestre. Uno sbocco che potrà non piacere ma innegabilmente coerente con la
storia della band. Un loro sbocco potremmo dire “naturale”.
E BTRM, infine, non
fa che sviluppare, ampliandola ma sempre in modo intelligente e mai soverchiante,
questa vena sinfonica, aumentando le collaborazioni con le ensemble orchestrali
di Budapest e Praga e i loro relativi cori (cui ne va aggiunto un terzo, quello
di Boston). Tutto questo all’interno del più canonico scenario dei Nostri: un
concept fantastico/fantascientifico, con rimandi tematici a “Imaginations…”.
Come se non bastasse, a tutto questo si deve aggiungere un altro
aspetto distintivo dei Nostri: il riuscire a confezionare la loro proposta in
maniera curatissima. Non solo da un punto di vista del packaging, ma anche e
soprattutto per i dettagli musicali (a dimostrazione del fatto che durante il lungo tempo che passa da una release all'altra, Hansi&co. non stanno a girarsi i pollici). Nulla è lasciato al caso: l’accuratezza dei testi,
la gestione dei cori, la certosinità degli arrangiamenti che rendono il
loro sound così corposo, ricco, avvolgente. In cui nulla di ciò che è stato
fatto nel passato viene rinnegato. Anzi, viene ripreso e ricontestualizzato in
modo sempre più “moderno”.
Sembrerà un paradosso visto
quanto scritto sopra, ma personalmente, pur riconoscendogli un livello più che
buono (diciamo da “7,5” pieno), non mi strappo i capelli per queste ultime tre release dei B.G.. Sarà
l’assenza del tocco dietro alle pelli di Thomen Stauch che ha lasciato la band
dopo ANATO (per quanto, per carità, Frederik Ehmke sia bravissimo)? O sarà l’assuefazione proprio al modus operandi di Hansi&Andrè?
Non lo so, sta di fatto che i
gusti personali in questa nostra elucubrazione contano meno di zero.
Ciò che
conta è il riconoscimento di un percorso,
credibile e di alta qualità; ad oggi, senza falle, senza sputtanamenti. Una
band che da oltre trent’anni ha dato tanto, tantissimo al Metal tutto.
E, presumibilmente, ancora darà. Del resto Kursch nel 2016 compie “solo” 50 anni…