"Bisogna
scegliere se avere una vita confortevole da schiavo o una disagiata come
artista estremo".
Con
questa frase Attila Csihar è come se penetrasse nell'essenza stessa
della sua vita artistica. Classe 1971, ingegnere elettronico costretto a dare
ripetizioni di matematica e fisica per sbarcare il lunario, cresciuto e formato
artisticamente nell'Ungheria dell'ex Blocco Sovietico, fra le restrizioni del
regime ed umori da guerra fredda, egli è indubbiamente una figura mitica
all'interno dell'empireo della musica estrema, metal e non solo. La vita
artistica di colui che cantò su "De Mysteris Dom Sathanas" è
stata (e lo è ancora) imprevedibile ed avventurosa, tanto che lo abbiamo
definito l'eroe dei tre mondi.
Un primo
mondo potrebbe essere il black metal, quel black metal che Attila ebbe
modo di sfiorare già nella seconda metà degli anni ottanta con i seminali Tormentor,
fondati nel 1985. Se una nuova concezione di black metal si sarebbe sviluppata
negli anni novanta proprio con quei Mayhem che lo vorranno per
sostituire il suicida Dead, il metal feroce dei Tormentor ricadeva
indubbiamente sotto l'etichetta di proto-black, rifacendosi essi alle
efferatezze di Bathory (periodo "The Return....."/"Under
the Sign of the Black Mark") e del thrash cattivo delle band tedesche
(Kreator in primis).
Lungi
dal costituire la classica band estrema armata solo di rabbia e disagio, i
Nostri presentavano una preparazione tecnica sopra la media e il misurato
impiego delle tastiere (magari mischiato a degli efficaci mid-tempo)
conferiva un'atmosfera decisamente malsana al tutto. In un contesto di metal
furibondo, ma al tempo stesso ragionato, si elevava il latrato raggelante di
Attila, che all'epoca cantava come un Quorton sottoposto a crudeli
torture, avvicinandosi nei fatti allo screaming che solo in seguito sarebbe
divenuto standard nel black metal.
Questi
erano i Tormentor ed album come "The Seventh Day of Doom"
(1987) e soprattutto "Anno Domini" (1988) sono opere di culto
che solo successivamente verranno rivalutate: un'aura sinistra ed irreale
infestava i brani suonati da quei ragazzacci ribelli, un'aura magica solo un
po' ingessata dalla legnosità che è tipica dell'Est Europa e da un background
musicale povero e nutrito principalmente di heavy metal classico (le influenze
classiche emergeranno prepotentemente nell'album della post-reunion
"Recipe Ferrum!" del 1999, metallo senza bussola e
pieno zeppo di contaminazioni che faranno storcere il naso ai puristi).
Ma
non bisogna essere troppo severi: i Nostri infatti edificarono quei suoni così
estremi quasi in autonomia, cosa del tutto sorprendente se si pensa che negli
anni ottanta il metal non era cosa molto diffusa in Ungheria e reperire album di
band estreme non era semplice (circolavano solo le release di Iron
Maiden, Scorpions e dei nomi più noti dell'hard'n'heavy degli anni
ottanta), mentre per quanto riguarda le proposte più di nicchia bisognava
ingegnarsi e ricorrere a scambi di cassette e nastri in modalità quasi di
contrabbando. Tanto che tutti i cultori dell'estremo (dal metal all'industrial
passando dal dark, l'EBM e il neo-folk) si vedevano
costretti a "fare squadra" unendo le loro forze ed andando oltre le
barriere fra generi (il metal classico era addirittura visto come qualcosa di commerciale).
No,
non dev'essere stato semplice per i Tormentor muoversi nella Ungheria degli
anni ottanta, tanto che fu una vera sorpresa per Attila ricevere la
convocazione di Euronymous che lo invitò ad unirsi ai suoi Mayhem: fuori
dai confini della madre patria, grazie al passaparola ed alla diffusione di
demo e cassettine, si era di fatto formato un vero e proprio culto dei
Tornentor che i protagonisti stessi di questo culto ignoravano completamente.
Una chiamata tanto più strana per Attila considerato che Mayhem era
stato, per pura coincidenza, il suo nome d'arte ad inizio carriera.
Della
breve ma significativa vita di Attila nei Mayhem si è già detto: ad album praticamente
pronto egli registrò le tracce vocali che erano state predisposte per Dead,
autore dei testi. La voce di Attila non era più l'aspro screaming dei
Tormentor, ma un rantolo deforme e disarticolato che faceva da inquietante
didascalia alle sinistre architetture edificate da Euronymous e Hellhammer.
Nella title-track egli si cimentava addirittura in un lugubre pulito: un
canto tenorile che andava a completare uno stile vocale unico che non troverà
uguali nella storia del black metal (solo in ambito depressive verranno
colti degli spunti - si veda per esempio il caso di Kvarforth degli Shining).
Una
breve vita in seno ai Mayhem, si diceva, perché la morte di Euronymous (assassinato
nell’agosto del 1993) sconvolgerà i piani e i sogni di successo della band, che
si vedrà costretta a rimandare l’uscita dell’album (che vedrà la luce nel 1994)
e sospendere le attività a tempo indeterminato per poi ritornare inutilmente
qualche anno dopo con Blasphemer alla chitarra ed un redivivo Maniac
alla voce.
Ma
l'avventura nel "mondo" black metal proseguirà per Attila, perché nel
frattempo il "mondo" geografico era cambiato e presentava dei
vantaggi: grazie alla vetrina dei Mayhem, il cantante non era più la
figura di culto di una piccola e sconosciuta band dell'Est Europa, ma colui che
diede voce ad una delle opere più importanti del metal estremo, una visibilità
amplificata dai fatti di cronaca che insanguinarono il nome della band: egli di
diritto entrò nella leggenda, e certo la rinnovata notorietà lo aiutò a trovare
nuovi ingaggi, agevolato dalla libera circolazione di informazioni del
"nuovo mondo", quello al di là del muro di Berlino. Aborym, Limbonic
Art, Emperor, Keep of Kalessin, Anaal Nathrakh, di
nuovo i Mayhem di "Ordo ad Chao" ed "Esoteric Warfare"
sono solo alcuni dei nomi delle band a cui Attila, in modo più o meno
sostanziale, fornirà un supporto.
Il
mondo black metal, tuttavia, non è stato l'unico campo d'azione del nostro
eroe, il quale, ancora prima di entrare nelle fila dei Mayhem, aveva militato
nei Plasma Pool di Budapest, formazione dedita a sonorità industrial/EBM.
Cambiamo dunque mondo geografico (torniamo nella cortina di ferro)
e mondo artistico, abbandonando il black metal ed approdando alla musica
elettronica, il vero secondo mondo di Attila.
Si
diceva che i cultori della musica estrema a Budapest negli anni ottanta erano
una grande ed esclusiva famiglia dove si spaziava dal metal all'industrial,
passando in rassegna tutte le propaggini musicali più efferate che riuscivano a
filtrare oltre il filo spinato dell'egemonia culturale filo-sovietica. Uno
stato di cose che paradossalmente favorì la curiosità intellettuale, l'apertura
mentale come artista e la predisposizione alla contaminazione di Attila, in
anni in cui il mondo metal era ancora caratterizzato da rigidi schematismi. Non
ci stupiamo dunque di veder figurare il nostro uomo in una formazione come i
Plasma Pool. Quello che ci stupisce è sentire basi danzerecce (la
locomotiva kraftwerkiana che corre farcita di pompose orchestrazioni che
richiamano la classica legnosità dell'Est Europa) che flirtano con i versacci
di Attila: pur in possesso di un pregevole pulito, il Nostro canta alla sua
maniera, pari pari come lo possiamo udire in "De Mysteris...".
Il
tutto suona a dir poco grottesco, ma non di meno è difficile sottrarsi al
fascino perverso del carisma di Attila, che dà sfoggio al suo istrionismo,
urlando, rantolando, sbavando, sospirando come solo lui sa fare: unico.
L'esperienza in quella band, in realtà, sarà discontinua e circoscritta a pochi
anni, tanto che tutto il materiale prodotto verrà racchiuso in tre volumi che
comprenderanno principalmente registrazioni dal vivo: "I (1991 - 1994)",
"II (1991 - 1993)" e "III - Sinking" (mai
pubblicato).
Ma
al di là di questa parentesi curiosa, Attila rimarrà per la maggior parte della
sua carriera attivo sul fronte del metal estremo, con tutti gli eccessi,
artistici o meno, legati a certi ambienti (giusto per la cronaca: nel 2002, in piena era Aborym, e
per giunta in Italia!, egli verrà arrestato per possesso di stupefacenti). Attila
è un'icona, le sue performance dal vivo sono scioccanti e blasfeme
(truccato, mascherato, sanguinante, crocifisso ecc.), a supportare il suo stile
teatrale, che da qualcuno è stato persino definito “operistico”.
Giunto
al terzo millennio, forte dello status di leggenda vivente,
Attila si troverà innanzi al portale di un nuovo mondo, il terzo:
dopo l'ex blocco sovietico e l'Europa occidentale, gli Stati Uniti; dopo
il black metal e l'industrial, l'avanguardia; dopo i rigorosi anni
ottanta e i contaminati novanta, gli anni zero delle sonorità post-metal.
Tre dimensioni che sono racchiuse in una sola etichetta: Sunn O))).
Il
progetto della premiata ditta Anderson/O'Malley ha fin dall'inizio
diviso pubblico e critica: geni o cialtroni? Innovatori o furbacchioni?
Fatto sta che il loro drone-doom è una delle novità più rilevanti nel
panorama metal degli ultimi quindici anni, tanto da gettare un ponte verso
forme artistiche estranee al metal stesso. Sebbene nel tempo la carica
innovativa del duo si sia andata ad appiattire, istituzionalizzandosi in una
forma di doom mistico sempre più vicino alle efferatezze del
black metal (un percorso originato con "Black One", nel 2005),
oggi i Sunn O))) sono una realtà estremamente solida e trasversale, dai forti
risvolti concettuali che travalicano i confini del metal. E lo spettacolo inscenato
di recente al Labirinto della Masone a Fontanello, in provincia di Parma
(un evento a metà fra concerto metal, performance
d'avanguardia e rito misterico), ne è la riprova. Al centro di
questa orribile messa in scena, troviamo proprio il sacerdote Attila Csihar,
che oggi possiamo definire il "componente ombra" dei Sunn O))).
A
partire da "White 2" del 2004, dove egli aveva partecipato
interpretando dei testi vedici con la sua profonda voce gutturale, la
collaborazione del Nostro con Anderson e O'Malley si è andata ad intensificare,
con svariati concerti (due di essi immortalati nelle operazioni "Oracle"
e "Domkirke"), prestando la voce nel capolavoro "Monoliths
& Dimensions" (2009) e nell'ultimo "Kannon"
(2015), che a molti non è piaciuto, ma che fotografa l'ennesima prova
superlativa di Attila, diviso fra latrati mefistofelici e cori gregoriani.
Ma
al di là dei gusti personali, quella maturata nei Sunn O))) rimane
un'esperienza importantissima per Attila, in quanto valido lasciapassare per
accedere ad altri ambienti musicali: in anni recenti il Nostro di fatto diverrà
un guest ricercatissimo e lo vedremo a fianco di artisti come Diamanda
Galas, Jarboe, Lustmord, Current 93 e molti altri. La
via imboccata è quella che porta all'avanguardia più oscura, territorio che poi
ha deciso di esplorare in solitaria con il suo progetto personale Void ov
Voices. L'album "777" esce in sordina nel 2012, ma è nelle
inquietanti performance dal vivo che è possibile saggiare la
quintessenza della nuova incarnazione artistica dell'ex Mayhem: il Nostro si
presenta incappucciato e, armato di microfoni, pedaliere ed effetti, mette in
scena una folle messa di sole voci, alla stregua dei lavori di Diamanda Galas e
dei primi Current 93, di cui è stato sempre grande ammiratore.
Attila,
c'è da dire, nel suo percorso ha mantenuto una forte identità: un'identità
pervasa da una rozzezza di fondo che non si è mai smussata, nemmeno a contatto
con la nobiltà di artisti che con il metal estremo non hanno niente a che fare.
Pur nelle sue svariate incarnazioni, Attila è rimasto quello degli esordi, puro
ed imperfetto, non curante di quelle sbavature di cui le sue performance
continuano a macchiarsi, e con quel l'inglese ancora claudicante. Non è un
artista che può essere introdotto nei salotti buoni della musica (come gli ex blackster
Ulver, oramai incensati anche dalla critica snob non metal), ma del
resto lui stesso è il primo a non essere interessato ad andare in quei salotti.
È accaduto invece l'esatto contrario: sono stati gli altri che si sono
introdotti nel suo salotto, sporco, disordinato, con qualche (ehm) pasticca sul
tavolo e le croci rovesciate appese al muro, accanto alla laurea in
ingegneria...