"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

19 ott 2016

CONFRONTI IMPOSSIBILI: ABBATH E I RIGHEIRA - L'ESTATE STA FINENDO



Come voi saprete, il metal entra in ciclo continuo negli anni ’80, con alcuni padri fondatori già attivi nel decennio precedente, ma in forma pionieristica.
Per avvicinarci alla ricerca delle sue radici, proviamo a vedere qual’era il sentimento degli anni ’80.

Abbiamo accennato in un articolo sui Motley Crue a proposito, e torniamo qui ad argomentarlo. Gli anni ’80 sono il trionfo dell’effimero, trionfo pieno di fantasia, licenza e libertà espressiva. La censura era quasi a zero, non perché non ci fosse nei cinema o sulla Rai, ma perché nelle nuove realtà mediatiche non c’era ancora attenzione o legislazione sufficiente per poterla organizzare. Questa voglia di trasgressione gioiosa, di patinare tutto, di togliere spessore e aggiungere clamore, bene si rispecchiava in generi musicali leggeri, improntati al successo commerciale, che non dovevano far pensare.

Se ti andava male, eri uno sfigato. Se ti andava bene, eri un mito. Un azzardo atroce, giocato tutto su una inversione a U dalle tematiche di denuncia alla leggerezza dell’essere. Ma la leggerezza è qualcosa di insostenibile, come diceva il titolo di un famoso libro: gli anni ’80 erano ossessionati dalla fine degli anni ’80. Barocchi in questo senso, perché come nell’era barocca ci fu una esagerazione degli elementi superficiali, non priva di fascino, come sintomo dell’angoscia che la giovinezza finisse.
C’era in questo una ambivalenza, perché chi temeva che il sole tramontasse, prima o poi, percepiva d’altra parte il carattere esauribile e posticcio di tutta quella felicità servita in porzioni generose. Così spesso dietro ad una simulazione di superficialità c’era un disagio, un’alienazione, una vena crepuscolare o reazionaria che spingeva altrove. Poi veniva la scelta: o nella mischia, o fuori moda.

I Righeira erano un gruppo simbolo della musica “giovane” del disimpegno, forse partita dal punk e poi finita nell’elettronica, una musicalità artificiale, molto ottantiana, dai suoni vibranti ma a onda quadra, che si aprivano e si chiudevano a comando. Erano un duo, ed ebbero successo con una serie di singoli che aprirono e chiusero l’epoca ottantiana. Uno, “Andiamo al mare” ("Vamos a la Playa") e l’altra “L’estate sta finendo”.
Ma di cosa parlava "Vamos a la playa"? Parlava di un mondo post-atomico in cui mutanti gaudenti andavano al mare e si abbronzavano di radiazioni. Questo il testo paradossale, ispirato allo spauracchio dell’epoca, cioè il disastro nucleare. Oggi ci sono il doppio di armi nucleari, e il doppio di incidenti nucleari, ma a nessuno frega granché.
Se si controllano le produzioni metal dell’epoca, il tema dell’olocausto nucleare impazzava. Tutto quel sole e quel mare erano qualcosa di insano, di post-atomico, perché si usciva da un’epoca di conflitti, di bombe, di sangue, ma sostanzialmente avevano appunto vinto le bombe e le paure, perché se ne usciva con iniezioni di ricchezza fittizia, che faceva sembrare la vita una festa senza fine e senza costo. Un testo e una musica inquietanti, al di là del fatto che poi erano spese in senso festaiolo.

L’Estate sta finendo è il grido d’aiuto estremo degli anni ’80. Pubblicata, ed è significativo, ad inizio e non a fine della stagione estiva, ne divenne l’inno. Quindi tutti andavano al mare in ferie cantando “L’estate sta finendo”. Si celebrava l’effimero che muore. Nel testo i due immaginano un amore estivo, e si descrivono come “due satelliti in orbita sul mare”. Anche qui si nota il distacco da questa realtà solare, evidentemente illusoria, di un sogno che guarda altrove.
Mentre si canta “Vamos a la Playa”, all’orizzonte si profila invece il cuore dell’Inverno, la caduta del sole sotto una marea che separerà la luce dalla terra, come canteranno più tardi i massimi poeti del ghiaccio, gli Immortal. Ed è qui che molti rimasero al bivio irrisolti. Righeira auto-ironicamente intitolò un disco “ex punk, ora venduto”.

Fu proprio questo l’effetto collaterale degli anni ’80, e cioè che alla fine in questa forma superficiale e disimpegnata molti vissero la loro storia, e quindi finirono per identificarcisi, in maniera decisamente distonica, perdendo la capacità di amare la loro parte oscura. Magari non erano individui gioiosi, ma malinconici. Ebbe a dire lo stesso Righeira che la sua natura era intrisa di “alcol e malinconia”, quando gli fu chiesto perché si sentisse in sintonia con il cantautore Piero Ciampi, di cui fece una cover commemorativa. Alcol e malinconia. Non la playa. Anzi, per colpa della playa forse. Molti però quando gli ’80 finirono non seppero dove andare a sbattere, e si scordarono che la morte non si rifugge, ma si canta. Come diceva Branduardi, nella sua Danza Macabra, antica tradizione musicale e culturale per esorcizzare la paura, Sei l'ospite d'onore del ballo che per te suoniamo, posa la falce e danza tondo a tondo il giro di una danza e poi un altro ancora e tu del tempo non sei più signora.

Cosa fecero allora? La buttarono in finta gioia con "Innamoratissimo" il cui ritornello diceva: Innamoratissimo, in preda ad uno spasimo. Ma quello spasimo non poteva vincere, perchè era uno spasimo che si opponeva al cambio di stagione, all'avvento dell'Inverno. Lo spasimo della fine va cavalcato.

L’Estate sta finendo è lo stesso tema di "Summer Dying Fast" dei Cradle of Filth. Anche qui, il problema non è che l’estate stia finendo, come nell’equivoco della vita da spiaggia, ma che non si trovi poesia in questo. I Cradle la trovano, e ci salvano. Guardo il temporale avvicinarsi, la tenebra mi chiama per nome, gli alberi crescono freneticamente, sentono la stagione che cambia, i loro frutti putrefatti, un tempo proibiti e ora destinati a marcire. Sempre da brividi l’immagine da brividi degli alberi che vanno incontro al cambio della stagione, ineluttabile, con uno spasimo vitale inquieto e smanioso, come se dovessero far arrivare i propri rami sull’altra sponda della vita, prima che l’inverno arrivi.

Torniamo un passo indietro. L’estate muore “veloce”: perché? A Settembre l’Estate non muore veloce, muore nel tempo consueto. Il “veloce” è riferito ad una corsa mentale, una accelerazione che non coincide con la fine cronologica dell’Estate, ma con il sentimento di precarietà che accompagna l’esplosione di godimento e di gioia. La spiaggia sorge sopra un cimitero, e chi gioca a beach volley, passeggia in costume, si stende a prendere il sole, lo sa bene in cuor suo. L’Estate è una rincorsa verso l’inverno, per non morire, ma arrivare a imbuto nella morte con un’energia che consentirà di far vincere la vitalità sulla stagione.

Purtroppo molti si sono semplicemente illusi che l’Estate non dovesse finire, e hanno imparato a odiare l’Inverno, la pioggia, il freddo. Così hanno, di anno in anno, sentito freddo anche d’Estate. Anziché portare il calore sotto il ghiaccio, per salvarlo nell’ibernazione, si finisce per scaldare il ghiaccio da fuori, ed è inutile.

In una vasta landa ghiacciata vi potreste imbattere in due individui con la stessa espressione, con gli angoli della bocca rivolti in basso in una espressione truce e cupa. Uno è Abbath: l’espressione è dipinta, l’energia è viva, e riesce a saltellare su un ghiacciaio riscaldato da un focolare interiore. L’altro è Righeira, ed è proprio la sua espressione. I capelli ricercano invano un calore ossigenato, gli occhiali riparano da un sole che non c’è più. Righeira, ex punk, un Abbath mancato.

Dopo l’Estate, è sempre tempo di danze macabre. Non ci si chiude in cabina ad aspettare che torni il sole. Si segue lo spasimo degli alberi, che crescono a vista d’occhio per radicarsi ancora meglio e allungare i propri rami mentre perdono le foglie.

Solo fuggendo verso il ghiaccio si potrà giungere al cuore caldo dell’Inverno.

A cura del Dottore