E' tradizione consolidata che le riviste metal dedichino periodicamente un servizio speciale dedicato alle “Donne del Metal”. E, vi giuro, è solo un caso che oggi sia l'8 marzo!
Secondo me la storia delle donne del metal si divide in due periodi: prima e dopo il gothic. Prima del gothic (siamo negli '80) il fenomeno era marginale, tanto che in questi speciali giornalistici ci finivano praticamente tutte le donne del metal, tante quante erano, visto che si contavano sulle dita di una mano. Non si poteva certo dire che le donne del metal avessero fatto la fortuna di alcun progetto musicale in particolare, mentre nei casi commercialmente più rilevanti erano prima bellocce e poi eventualmente bravine.
I metallari (dal livello
di arrapamento non trascurabile, questo va detto) hanno comunque mostrato in queste circostanze una
solidità di principi da encomiare: quando si tratta di metal, il
metallaro medio non ragiona con l'uccello.
Certamente (non me ne voglia il pubblico femminile!) nel corso degli anni ottanta fecero più presa
i maschietti: i belli, e forse anche bravi, di generi tangenziali al metal, come lo street-rock e l'hair-metal.
La figura femminile del
metal fu invece azzoppata dall'idea di utilizzarne subito la
piacevolezza estetica come carta vincente. Ciò relegò
le donne all'inevitabile ruolo di front-women, spesso protagoniste di progetti solitari, poiché non era cosa comune che musicisti
maschi di primo piano considerassero l'idea di un capo-immagine femmina. Questo fu un punto debole per almeno due motivi. In
primo luogo perché ciò distolse l'attenzione generale dalle musiciste donne che invece non
sceglievano di apparire come donne "ad alto impatto scenico". Secondariamente perché, in quanto ad aspetto femmineo e ammiccante, già dominavano la scena gli "eroi mascarati" del glam. Che fosse travestitismo, feticismo,
transessualismo o traduzione del sentimento di pesante superficialità
degli anni '80, c'era più zoccolaggine in un Bret Michaels che nella
fierezza di una Lita Ford.
In più, l'immagine
sessuale della cantante rock è tutt'altro che facilmente spendibile.
Potrà essere bonazza quanto si vuole, come ad esempio la stessa
Ford, ma quando si sa da principio che è stata con Lemmy, Nikki Sixx,
Chris Holmes, Tony Iommi, il fan penserà dentro di sé: "A loro sì e
a me no? E io che volevo anche comprarti il disco...sai
invece che cosa faccio? Per stima mi compro un album di tutti quelli che t'hanno
trombato, anche se non mi sono mai piaciuti!". Perché il cervello
maschile funziona così! Peggio ancora se poi la Lita decide di
proporre come pezzo di punta del suo album uno scritto a quattro mani con Nikki
Sixx ("Fallin' in and out Love")! Cioè, fatemi capire: voi
trombate e io devo anche sborsare dei soldi per farvi i
complimenti? No, non ci siamo.
E infatti non ci fummo.
E infatti non ci fummo.
Il progetto Lita Ford si
arenò di fronte a questa carenza in materia di psicologia sessuale.
Altro errore fondamentale fu la mossa che lì per lì fece vendere
qualche copia in più: affiancare alla Ford musicisti di spessore
e piazzare nel disco un brano in duetto con Ozzy (la manager del
periodo era Sharon Osbourne, la moglie del Madman). Un conto è se gente famosa si spreca
ad incidere delle cover di qualcuno, rendendolo famoso (come i
Metallica fecero conoscere i Misfits), un altro è se la tua casa discografica
convoca dei musicisti per dare peso al tuo prodotto. Evidentemente
l'operazione trasmette l'idea che il tuo prodotto di per sé ne abbia poca. Se devi fare una mossa del genere, almeno spara grosso chiamando dei
veri e propri nomi del metal per suonare; invece
qui i grossi nomi (Ozzy, Lemmy e Nikki Sixx) parteciparono come
autori di parte del materiale, mentre i “grossi nomi” della band
furono nientepopodimenoche Myron Grombacher (batterista di Pat
Benatar e Vinnie Vincent Invasion), David Ezrin e Steve Fister.
Quindi secondo Sharon
Osbourne io dovevo spendere 20.000 lire di allora per comprare un
disco di Lita Ford scritto in parte da gente che l'aveva trombata,
con la partecipazione straordinaria di gente meno famosa della Lita
stessa. Vuoi mettermi in copertina almeno un po' di sesso? Neanche.
Contrariamente a quanto potrebbe risultare dalle recensioni dei maniaci del vintage, il disco “Lita” all'epoca fu accolto con riserva. E di tutti fu quello accolto meglio. La parte del leone la fece il video con Ozzy di “If I Close My Eyes Forever”. Un Ozzy veramente geniale e stralunato che interpreta una ballata malinconica sulla fine di un rapporto. Qui la Ford rendeva bene, senza nessuno intorno, con un bizzarro effetto per cui i due, che in teoria avrebbero dovuto dialogare come i due attori di un dramma amoroso, sembrano parlare ciascuno a se stesso. Chi ha girato il video sembra aver colto questo contrasto e lo utilizza per rappresentare una sorta di incomunicabilità come senso ultimo dell'amore. I piani rotanti di Ozzy immobile di fronte al microfono che pende dall'alto sono veramente inquietanti. Purtroppo quando penso a Lita Ford penso a questo. Oltre ovviamente a chi se l'è trombata...
La storia delle donne nel
metal cambierà di lì a poco con l'avvento di filoni come il gothic,
in cui la donna si inseriva da protagonista naturale. La vecchia
icona della donna metal, mai decollata, fu abbattuta perché chi
avrebbe dovuto appoggiarla, ovvero il pubblico metal femminile, era
invece in adorazione, a prescindere da cosa cantassero, per tizi belli-e-maledetti vestiti da battona...