…e tre! Chiudiamo il cerchio che
ha visto Metal Mirror focalizzare la sua attenzione, nelle ultime settimane,
sui grandissimi Sanctuary.
Dopo averne ricordato le gesta che li videro protagonisti nella seconda metà degli anni ottanta, e averne descritto il capitolo in studio della reunion, ci soffermiamo oggi sulla prestazione live che i Nostri hanno offerto nel maggio del 2015 al Rock Hard Festival di Gelsenkirchen, un’edizione che prevedeva la partecipazione di altri mostri sacri del Metallo, come Kreator, Over Kill e Venom.
Dopo averne ricordato le gesta che li videro protagonisti nella seconda metà degli anni ottanta, e averne descritto il capitolo in studio della reunion, ci soffermiamo oggi sulla prestazione live che i Nostri hanno offerto nel maggio del 2015 al Rock Hard Festival di Gelsenkirchen, un’edizione che prevedeva la partecipazione di altri mostri sacri del Metallo, come Kreator, Over Kill e Venom.
Di primo acchito, sono stati due
gli elementi che mi hanno colpito.
Innanzitutto il look di Dane,
davvero particolarissimo (e a dir poco spiazzante): cappello da scalcinato
cow-boy, gualcito e "color vomito", eyeliner sulle ciglia, mezzi-guanti con unghia smaltata di nero, lungo pizzo a treccia (a-la-Kerry-King, tanto per intenderci ma
molto più corto e sfigato), improbabile giacca nera, dalle maniche troppo lunghe, chiusa da dei…lucchetti (al
posto dei bottoni)!
Nel complesso, i suoi 46 anni non mi sono parsi portati benissimo.
Sarà il viso, molto gonfio, e quindi quasi deformato, dalla pelle
“plasticosa”, innaturalmente liscia…non è che Warrell si è dato al botulino??!!
Vabbeh…sorvoliamo, la cosa non ci disturba più di tanto…
La seconda cosa che mi ha
lasciato interdetto è stata l’assenza di Dave Hull, secondo chitarrista che, in
studio, aveva preso il posto di Sean Blosl. La sorpresa è stata in questo caso
piacevole perché sul palco si è esibito Nick Cordle, talentuoso 29 enne, ex-ascia degli Arch Enemy (lì sostituito da...Jeff Loomis! Tanto per mantenere tutto in famiglia...). ed è ufficiale: Nick è d'ora in poi la seconda chitarra dei Sanctuary.
I primi 23 minuti dicono già molto dei Sanctuary 2.0: 5
brani, due nuovi e tre vecchi. La band, comprensibilmente, parte con le due
tracce che corrispondono all’incipit dell’ultimo “The Year the Sun Died”. E
quello che si denota, ascoltando poi i tre brani successivi, è che Warrell è
molto più a suo agio coi nuovi pezzi, dove, pur non brillando particolarmente,
riesce a tirar fuori interpretazioni accalorate e ficcanti. La voce mostra un po’
la corda, ahimè, sui vecchi, quando il necessario falsetto non regge più e il
Nostro si arrangia come può, col mestiere, con la teatralità che da sempre lo
accompagna, variando tipologia di voce a più riprese (anche quando lo spartito
non lo richiederebbe).
Peraltro questo è un accorgimento che Dane adotterà più
o meno per tutta la durata del live, con risultati alterni. La voce a tratti
sembra cedere totalmente (ad esempio in “Frozen”) per poi risalire potente e
trascinante, ma lasciandosi dietro un retrogusto di imperfezione che deteriora
il “prodotto” finale. Ma siamo pur sempre dal vivo e certe cose ci stanno.
Peraltro va sottolineato che la
band comunque fa un figurone, con tutti e quattro gli altri musicisti che ci danno
dentro senza sbavature tecniche e dimostrando classe e qualità da vendere. In
primis proprio il giovane Cordle che in più di un’occasione ruba
la scena al veterano Rutledge, in termini di assoli e virtuosismi assortiti.
Lenny coi suoi 51 anni suonati, si limita a svolgere il suo, facendo
spesso da spalla al baldo Nick, il quale pare trovarsi meravigliosamente a suo
agio sia nei pezzi recenti che in quelli più datati (vedere “Season of
Destruction” per credere).
Altra nota di merito per Budbill alla batteria,
davvero un valore aggiunto per il sound dei Nostri.
La setlist è tutto sommato
omogenea e logica nel suo svolgersi: parte iniziale e centrale con molti nuovi
brani (lasciate colpevolmente fuori, anche se comprensibilmente, le bellissime
“The World Is Wired” e “The Dying Age” per mettere dentro qualche pezzo dal
tiro più immediato e coinvolgente), per poi chiudere con quello che tutti i fan
si aspettavano: i due cavalli di battaglia “Future Tense” e “Taste Revenge”, prime
due songs di “Into the Mirror Black”, nelle quali purtroppo, nonostante qualche
effetto e riverbero sulla voce, Dane non riesce a fornire una prova del tutto
sufficiente (a tratti è costretto a utilizzare un “parlato” al posto del
falsetto, perché proprio l’ugola pare non arrivarci!)
Ad ogni modo, nonostante i
difetti su esposti, e senza chiedere di rinnovare una magia lontana 25 anni,
ciò che rimane è un’ora di grande musica. E sentiamo quindi di consigliarne la
visione a tutti gli amanti del Santuario!
Setlist:
Arise and
Purify
Let the
Serpent Follow Me
Season of
Destruction
Die for my
Sins
Battle
Angels
Exitium
Question
Existence Fading
Frozen
The Year
the Sun Died
Future Tense
Taste Revenge