Fatte le dovute premesse (vedi anteprima), giunge finalmente il momento di passare in rassegna quelli che secondo noi sono i dieci album che dovrebbero essere ascoltarti per comprendere il complesso mondo artistico di Paul Chain. Partiamo dai primi cinque:
10) “Opera 4th” (1987)
Con
“Opera 4th” si conclude la breve esistenza dei Violet Theatre, il
progetto che avviò Chain dopo la sua fuoriuscita dai Death SS. Il
progetto risentiva ancora dell’esperienza precedente, delineandosi nelle forme
di un heavy-rock dalle forti tinte dark. Con questo quarto lavoro Chain palesa
tuttavia una forte volontà di scollegarsi dall’universo metal, tanto che per
certi aspetti questo capitolo della sua discografia può esso visto come lo
spartiacque fra il vecchio e il nuovo.
Il
risultato è però sbilanciato: “Opera 4th” può essere infatti descritto
come un abnorme nano dalla testa enorme (che non è una bella
immagine...). Il brano di apertura “Our Solitude” (Birth, Life, Death)”
è una traccia dark-ambient dalla durata di mezzora, in cui l’autore si affida
interamente alle tastiere e al suo talento visionario: quel che ne viene fuori
è il capolavoro esoterico di Chain, autore assolutizzante e
dall'infinito ardire (altro che le pagliacciate di tanti altri gruppi che si
dichiarano vicini al mondo dell'Occulto). Più debole, a nostro parere, la
seconda parte dell’album, composta da tre brani più canonici (fra cui spicca l'anthemica,
“Evil Metal: Obscurity of Error”), in cui il Nostro pare riconciliarsi
con il mondo dell'heavy metal.
9)
“Life and Death” (1989)
Non
considerando il doppio “Violet Art of Improvisation” (che usciva nel
medesimo anno, ma che raccoglieva materiale registrato negli anni precedenti),
“Life and Death” può essere considerato il primo album solista di Chain
in senso compiuto. Come già successo in precedenza, al microfono si avvicendano
Chain stesso e Sanctis Ghoram (ex vocalist dei Death SS nella
breve vacatio temporis in cui Sylvester abbandonò la band). Dettaglio curioso:
nel lato B ritroviamo al gran completo la formazione dei Death SS nel
periodo '82-'84!
Lo
diciamo subito: “Life and Death” non è un brutto album, ma è un lavoro dalla
qualità altalenante, oscillando esso fra pezzi eccelsi ed episodi trascurabili
che palesano una certa difficoltà di Chain nel confrontarsi con un hard-rock
più melodico (ma perché??). Potete tuttavia stare tranquilli perchè Chain non
fa mai cagate e il trittico “Antichrist”, “Kill Me” e “Ancient
Caravan” è lì a dimostrarlo: le prime due, fra riffing geniale,
assoli da manuale e ariosi tappeti di organo sono arte cateniana allo stato
puro, mentre la terza è un gioiello di folclore medievale che svela una
dimensione inedita per il Catena. Fra alti e bassi, “Life and Death”
rappresenta l'ideale anello di congiunzione fra i due capolavori di Chain:
quell'”In The Darkness” rozzo ed oscuro monolite licenziato pochi anni
prima con i Violet Fire e l'elegante e raffinato ”Alkahest” apice
della sua carriera solista.
8)
“Mirror” (1997)
“Mirror” è una
raccolta di rarità disperse in compilation, split,
collaborazioni, uscite brevi, di cui la vasta discografia di Chain è
disseminata, più un inedito: una cover dei Black Sabbath (“Elecric
Funeral”). “Mirror” è tuttavia un gran bel lavoro, non foss'altro per il
fatto che dura settantuno minuti. Ed è sempre bello poter disporre di
settanta minuti e passa di Paul Chain: niente concept, solo tredici
pezzi in cui apprezzare l’ispirazione senza fondo del geniale chitarrista.
Salvo un paio di pezzi anomali (la veloce, quasi thrash “Sangue”,
peraltro cantata in italiano da Sandra Silver, e la sorniona, psichedelica
“Luxury”, ad un passo dai Pink Floyd fumosi di inizio anni
settanta), i brani si muovono entro i binari di un heavy-rock sorretto da
solidi ed ossessivi riff come prescritto dalla miglior tradizione cateniana.
Non
incontreremo i brani più memorabili dell'artista pesarese, ma è sempre un
piacere ascoltare Paul Chain, perché nella sua musica capita spesso di
imbattersi in qualcosa di prodigioso: un assolo strabiliante, un'imprevista
virata d’organo, un qualcosa che schizza fuori all'improvviso e scompagina le
carte in tavola. La produzione artigianale non fa che accrescerne il
fascino dell'opera.
7)
“Master of All Times” (2001)
Esiste
poi il filone “Paul Chain – The Improvisor”, “contenitore” in cui il
Nostro dà pieno sfogo alle sue pulsioni sperimentali. Fanno parte della
famiglia album come “Sign from Space” (2001) e “Cosmic Wind”
(2003), escursioni ardite nel campo dello space-rock più allucinogeno (ben
ammaestrato dalla mano pesante dell'autore). Scegliamo tuttavia il gioiellino
che risponde al nome di “Master of All Times”, dove il Catena trascura
la sua chitarra per consacrarsi totalmente alle tastiere, che peraltro suonava
egregiamente fin dai tempi dei Death SS.
Registrato
in presa diretta nella notte di Halloween dell'anno 1999 (poi pubblicato due
anni più tardi), “Master of All Times” potrebbe rispondere alla definizione di
ethereal prog, andando a pescare tanto dalla musica cosmica quanto dal
prog-rock degli anni settanta. L’opera è divisa in cinque tracce, ma
potrebbe essere vista come un’unica suite di quaranta minuti, dove Chain
fa delle tastiere un uso a dir poco hendrixiano, avvicinandosi all’estro
di Mike Ratledge dei Soft Machine. Flauto, violino, una batteria
persistente, i soliti fonemi inventati fanno da contorno alle prodezze di Chain
che allestisce il suo consueto “viaggio emarginante”, volgendo all’eternità in
una magica dissolvenza...
6)
“Whited Sepulchres” (1991)
Già
contemplato nella nostra classifica dei migliori brani lunghi del metal,
“Whited Sepulchres” è l’antesignano degli album “strumentali” di Chain
(che fa della sua voce un uso più vicino a quello di uno strumento). In
linguaggio scelto è quello dello stoner-rock più acido e stordente: una
batteria che picchia ossessiva come un metronomo, il chitarrismo torrenziale
di Chain ad ergersi a supremo protagonista.
Space-rock,
psichedelia, doom: sono questi gli ingredienti della title-track,
lunga ben venti minuti: un tour de force chitarristico senza compromessi
che palesa le eccelse capacità tecniche (ma anche la resistenza!) di Paul
Chain, sacerdote supremo dello psycho-doom. E i Sepolcri
Imbiancati non sono altro che l’ennesimo pugno in faccia all’ipocrisia
imperante: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri
imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa
di morti e di ogni putridume” (dal Vangelo secondo Matteo).