È tempo di elezioni negli Stati Uniti D'America. Sono appunto terminate le primarie che hanno decretato i nomi di coloro che concorreranno all'ambita carica presidenziale: Hillary Clinton per la fazione democratica, Donald Trump per quella repubblicana. Da un lato una vecchia volpe della politica che ha anche il pregio di potersi arrogare lo status di potenziale prima presidentessa donna degli USA, ma che tuttavia risulta essere ancora troppo legata all’establishment ed ai poteri forti per accattivarsi le simpatie degli elettori, che invece sembrano aver bisogno di ben altra freschezza; dall'altro un personaggio ricchissimo, potente, istrionico ai limiti dell’impresentabilità (vi ricorda qualcuno?), un vero outsider la cui candidatura all'inizio sembrava essere solo uno scherzo di cattivo gusto, ma che con il tempo ha saputo generare attorno a sé inaspettati e crescenti consensi, forse proprio grazie a quelle gaffe, a quelle posizioni estreme e populiste che il mondo intellettuale avversa ferocemente, ma che la parte conservatrice del popolo americano sembra gradire.
In mezzo a
tutto questo, qualche giorno fa sono iniziate a circolare in rete delle foto
che ritraevano magliette, cappellini e spille che indicavano Dave Mustaine quale ulteriore candidato
nella contesa. Uno scherzo, ovviamente, ma che ci pone su un piatto d’argento
un nuovo tema di riflessione: voi votereste il leader dei Megadeth?
Considerati i personaggi in gioco, non sarebbe un'opzione da escludere a
priori...
Megadeth e politica sono sempre andati a braccetto, e lo stesso Mustaine, con
il suo caratteraccio, non ha risparmiato nel corso degli anni esternazioni di
natura politica. Anche guardando il solo lato artistico (ossia gli album)
potremmo vedere l'intera carriera della band americana come una emanazione, più
o meno felice, delle convinzioni politiche del suo leader.
Non c'è bisogno
di scendere nei dettagli o di leggersi i testi, basta gettare uno sguardo
d'insieme alla discografia dei Nostri. I Megadeth si formano negli anni
ottanta, decade torbida per eccellenza dove la "buona novella del
benessere e del progresso" viene malamente offuscata dalla guerra fredda e
dalla minaccia nucleare. Non è un caso che il nome stesso della band sia una
storpiatura del termine Megadeath
(termine coniato da Herman Kahn nel suo
libro “On Thermonuclear War” ed
unità di misura che va ad indicare “un milione di morti”) e che la mascotte (tale Vic Rattlehead) sia un “simpatico” personaggio con al posto della
testa un teschio con ostruzioni metalliche per occhi, orecchie e bocca (non è
da escludere un riferimento a Tipper
Gore, “censuratrice” per vocazione e promotrice del famigerato P.M.R.C., che nel corso degli anni
ottanta si scagliò contro l’universo heavy metal).
I primi cinque
lavori dei Megadeth risentono di questa atmosfera, culminando con il capolavoro
dei capolavori "Rust in Peace",
anno 1990. La fine della guerra fredda era stata anticipata dalla caduta del
muro di Berlino e poi certificata da quella dell'Unione Sovietica, avvenuta nel
1991. Fino ad allora gli album dei Megadeth erano stati furiosi e corrosivi,
sospinti dal sarcasmo velenoso e dal carisma acido ed intossicato di Mustaine,
che, tanto per aggiungere bile alla bile, era pure incazzato con i Metallica, che parevano riscuotere un
successo maggiore.
Gli anni
novanta saranno un territorio contraddittorio per i Megadeth. Con "Rust in
Peace" e l'arrivo di Friedman e
Menza si era trovato finalmente un
equilibrio, ma nel frattempo Mustaine si era ripulito, perdendo in parte quell’irrazionalità
e quella tracotanza che erano state forse il motore primo della sua ispirazione.
Storicamente parlando, la fine della guerra fredda aveva da un lato rasserenato
gli animi, dall'altro gettato nuove inquietudini relative ai rinnovati assetti
fra potenze mondiali, mentre lo spettro del capitalismo avanzato, oramai libero
di fagocitare l'economia e di mietere le sue vittime, si estendeva a macchia
d’olio sulla superficie del pianeta. Musicalmente parlando il metal si batteva
contro il grunge e il vecchio thrash si avviava ad affrontare la sua prova più
difficile. Dulcis in fundo: con il “Black
Album” gli odiati Metallica si vendevano al mercato maistream, raccogliendo un successo strepitoso. Questo insieme di
cose fece sì che i Megadeth affrontassero in modo convulso la nuova decade:
ancora in uno stato di grazia compositiva, riuscirono a pubblicare un ultimo grande
album, "Countdown to Extinction"
(1992), che però, da un punto di vista politico, era già più vago, anche perché
non aveva nemici letali nel mirino, tant’è che il tutto si limitava a qualche
rigurgito di antipolitica ("Symphony
of Destruction") e sprazzi di ecologismo apocalittico (la title-track).
Il resto degli anni novanta saranno una rapida debacle, dall'ancora dignitoso "Youthanasia" di due anni dopo (segnato dagli umori positivi di
un Mustaine definitivamente fuori dalla droga - ma quanto cazzo è moscio quell’album!),
al pasticciato "Crypting Writings"
(che nel 1997 spingeva il thrash dei Nostri ad una dimensione più radiofonica,
in linea con quanto i rivali Metallica combinavano con la doppietta “Load”/”Reload”), fino all'imbarazzante "Risk" (1999), su cui tacere è bello.
Eccoci dunque
ai Megadeth del terzo millennio, ultima fase artistica che sarà segnata da un
pronto ritorno alle sonorità thrash. "The
World Needs a Hero" è il capostipite di questo nuovo corso, un lavoro
che tuttavia non convince appieno, a partire dalla copertina truculenta che
cerca di riguadagnare consensi fra i fan della prima ora. Ma attenzione, siano
ancora al maggio del 2001, qualche mese prima dell'attentato alle Torri Gemelle, vero punto zero della Storia recente.
Il cambiamento di stile non è dunque da addurre a motivi sociologici, quanto
alla necessità di batter cassa dopo i disastri combinati con le ultime uscite.
Sarà il trittico di album successivi a segnare la rinascita effettiva della
band. "The System has Failed"
(2004), "United Abominations"
(2007) ed "Endgame" (2009)
sono lavori di pregevole fattura che, pur non potendo rivaleggiare con il
passato, certificano da un lato il recupero delle sonorità thrash, non
tralasciando dall’altro gli spunti più riusciti delle sperimentazioni compiute
nella decade precedente. Ma soprattutto essi hanno la caratteristica di
esprimere in modo vivido quello che è l’attuale pensiero politico di Mustaine.
Dal rabbioso anarchismo dei primi lavori a posizioni reazionarie sempre più vicine
a quelle professate dai neocons nell'era
dell'amministrazione Bush figlio,
che peraltro Mustaine ha appoggiato pubblicamente. Ad inasprire il tutto, un’inaspettata
conversione al cristianesimo (cosa
non così rara nel metal degli ultimi anni, si tenga a mente il redento Blackie Lawless), aspetto che rende il
cinico e rosso crinito ancora più indiavolato contro la minaccia del terrorismo
islamico e tutto quello che ne consegue (per inciso: "United
Abominations" è una palese invettiva contro l'O.N.U. vista come un ostacolo alla libera iniziativa degli Stati
Uniti per quanto riguarda la politica estera). Si potrà non essere d'accordo
con le tesi guerrafondaie di Mustaine,
ma è innegabile che il momento storico ha giovato alla sua ispirazione, come se
quella stessa ispirazione si alimentasse delle forti criticità del periodo di
volta in volta vissuto: questi sono infatti non solo gli anni della lotta al terrorismo, ma anche quelli
della grave crisi economica e
finanziaria che dal 2008, a partire proprio degli Stati Uniti, si è estesa
all'intero mondo occidentale.
A questo punto
farei un salto in avanti di due album, tralasciando "Thirteen" (2011) e "Super
Collider" (2013), poco significativi ai fini della nostra analisi (il
primo un insieme di scarti per onorare il contratto con la Roadrunner, il secondo un tentativo maldestro di tornare ad un sound commerciale): evidentemente gli
anni di Obama (eletto presidente nel
2009), ossia un faticoso, ragionevole e sobrio percorso per risalire dalla crisi
(a mio parere un modo di procedere vincente) non rendono scorrevole la penna di
Mustaine, che nella ragionevolezza perde verve
ed energie.
Giungiamo
dunque ai nostri giorni, alle presidenziali 2016: nel medesimo anno esce "Dystopia", ultima fatica
discografica dei Megadeth. L'opener "The Threat is Real" si apre
all'insegna di atmosfere mediorientali ed è tutto dire. Mi son permesso di dare
un occhio ai testi, che, in verità, non ho trovato molto illuminanti,
esprimendo essi in modo vago ed impreciso, con le solite tinte apocalittiche, la
sempiterna inquietudine nei confronti dell’Odierno (minaccia islamica, crisi
valoriale dell’America, manipolazione dei mezzi di comunicazione, propaganda,
le solite invettive contro le bugie della politica ecc.). Quel che però conta è
che, innanzi al profilarsi della fine dell'era Obama (che per molti americani ha
rappresentato l’infrangersi si una promessa, un'utopia disattesa), Mustaine
abbia ritrovato una rinnovata ispirazione e con essa abbia saputo tratteggiare
la sua "distopia", sfornando peraltro quella che è probabilmente la migliore
prestazione dai tempi di "Countdown...". Complice l’ennesima
rivoluzione della line-up che viene
rinnovata per metà: oltre al fido Ellefson,
troviamo due comprimari di lusso come il batterista Chris Adler (direttamente dai Lamb
of God) e il chitarrista Kiko
Loureiro (addirittura dagli Angra!!!):
il primo con tecnica sopraffina e dinamismo, il secondo con un impareggiabile gusto
melodico, ma anche con una strabiliante capacità di amalgamarsi allo stile più
spigoloso del leader, riescono ad
iniettare linfa vitale al sound della
band, laddove, in ogni caso, il buono e il cattivo tempo continua a farlo
Mustaine, che a questo giro sembra essere davvero in forma, sia a livello
vocale che a livello di scrittura. “Dystopia” è dunque non altro che l’ennesimo
saggio di thrash by Megadeth fatto di
ritmiche frenetiche, assolo
strabilianti e continui cambi di tempo, ma presenta una freschezza che ce lo fa
gradire più del solito.
Se dunque
Mustaine si candidasse alla presidenza degli Stati Uniti e io fossi un
cittadino americano, non lo voterei, in quanto le sue posizioni, da buon repubblicano, non si discostano molto
da quelle di Trump, che in ogni caso riesce ad essere ancora più becero e
superficiale del rosso crinito (ed è
tutto dire…). Ad ogni modo, come ex fan della band, sono contento di ritrovare
i Megadeth ancora così efficaci dopo trent'anni di carriera (e dopo almeno
cinque album di merda che avrebbero fatto scomparire chiunque dal mercato
discografico). C'è solo da augurarsi che non sia necessario lo scoppio della Terza Guerra Mondiale per poter
ascoltare nuovi capolavori targati Megadeth....