Tutti i cultori del metallo,
nel bene o nel male, hanno almeno un ricordo legato ad "Enter Sandman":
il singolo che lanciò il famigerato Black Album, l'opera che
provocò indignazione e gaudio, che decretò l'allontanamento di tanti fan
della prima ora, ma che ne assicurò altrettanti nuovi ai Four Horsemen.
Ricordo ancora quando vidi
per la prima volta il video di "Enter Sandman". Mi trovavo a casa dei
miei bisnonni, un casolare in campagna: un appuntamento annuale che si
consumava generalmente ad agosto e che iniettava in me una strana angoscia.
Sostanzialmente mi stavo spaccando le palle, quel pomeriggio, in casa a
guardare la televisione, un piccolo apparecchio in bianco e nero che mi
restituiva immagini sgranate (è per colpa di quell'aggeggio se per anni ho
creduto fermamente che "Mary Poppins" fosse un film in bianco
e nero).
Mi imbattei nel video a metà,
nel bel mezzo dell’assolo: inizialmente fui incuriosito, poi scioccato nello
scoprire l'identità della band al sopraggiungere della voce inconfondibile di Hetfield,
sebbene essa apparisse diversa in qualcosa, più morbida che in passato.
Superata l'esaltazione iniziale (i Metallica in televisione!), subentrò
un pizzico di delusione per questo brano che mi piaceva così così (quando per
me i Metallica erano infallibili: del resto erano allora il mio gruppo
preferito e li conoscevo per album come "Master of Puppets" ed
"...And Justice for All").
Mi ripromisi dunque di
rivederlo/riascoltarlo con calma e per intero, cosa che non fu difficile visto
che era il "video della settimana" di Videomusic
(all'epoca c'era la buona usanza del "video della settimana", che
veniva trasmesso in certi orari della giornata per tutta una settimana: un
appuntamento che seguivo con devozione, anche perché venivo da un periodo fortunato
in cui meritarono quell’onore artisti interessanti come Van Halen
ed Alice Cooper, Skid Row e Guns N' Roses, a dimostrazione
di come il rock e il metal godessero di un'alta considerazione dalle emittenti
musicali dell'epoca, ancora non infestate da R&B e hip-hop in tutte le
salse). Ma niente, non mi convinse, come del resto non mi convinse il resto
dell'album che ebbi modo di ascoltare poco tempo dopo, ma questa è un'altra
storia.
Negli anni successivi,
tuttavia, ho rivalutato "Enter Sandman", che - devo ammettere -
rimane un pezzo con un bel tiro, e quando la becco per caso, alla radio o in
filodiffusione in un pub, mi fa sempre piacere riascoltarla. Il riff portante,
i piatti schiaffeggiati da Urlich, e poi il ripartenzone finale,
dove ogni volta non posso fare a meno di gridare "oh", e poi
"uyeeeeeeh". Forse nel 1991 non avevo la cultura musicale per capire
che i Nostri, in un momento di debolezza ed al tempo stesso di grande
ispirazione, ricorsero all'oracolo sabbathiano (cosa sempre buona e giusta)
per scrivere uno dei loro brani più accattivanti di sempre.
E così ogni tanto la
riascolto, "Enter Sandman", no, non da cd (mi fa una fatica tremenda
anche solo prenderlo in mano, quel mattone nero), ma magari su
YouTube. Per esempio l'altra sera avevo voglia di ascoltarla, ma tanto per
cambiare ho optato per una versione live. Ho cliccato sulla prima
opzione della lista e mi si è palesato un concerto proprio del 1991. La visione
mi ha prima incuriosito, poi appassionato. E questo per due motivi.
Il primo: i Metallica.
Che bello, anzitutto, rivederli con i capelli lunghi. C'è da dire che i Nostri
avevano proprio il physique du role per essere i migliori e i più
popolari del momento, tutti di nero vestiti, con la figura imponente di Hetfield
al centro (occhi chiari e capelli al vento - quasi un divo), seguito dal
saltellante Hammett, il mastodontico Newsted, che corre come un
pazzo e si lancia spesso in headbanging sfrenati aiutato dal taglio
"moicano", e il buon Urlich che si alza spesso in piedi da
dietro il suo set, petto nudo, fisico asciutto e capelli lunghi anche
lui. I Nostri hanno la presenza, si muovono con carisma sul palco e, cosa
ovviamente non secondaria, suonano divinamente. Sembra un'altra era geologica
(e in effetti lo era) e i Metallica figurano come quei gruppi che facevano la
storia della musica (e della cultura ad essa collegata) in uno di quei concerti
epoca rimasti nell’immaginario collettivo. Ed in effetti è stato proprio così,
e fra poco capiremo perché.
Il secondo motivo per cui
queste riprese mi hanno colpito, infatti, è il pubblico. Intanto la
distesa oceanica di teste che si para di fronte ai Four Horsemen: mai
viste così tante persone in un concerto. E poi, quando la telecamera indugia su
singoli o su gruppi, quello che si percepisce è una atmosfera di delirio
totale, con gente davvero brutta e grondante sudore che esulta come se non ci
fosse un domani. La cosa strana è che ci sono tanti ragazzi vestiti da militari
(anch'essi fuori di testa), mentre un elicottero vola minaccioso nel cielo: il
quadro è a dir poco surreale, per questo decido di documentarmi su quella
strana data dei Metallica.
Scopro che si tratta della tappa
russa del Monster of Rock del 1991, tenutasi il 28 settembre
nell'enorme area dell'aeroporto militare di Tushino, nei pressi di Mosca
(un luogo peraltro simbolicamente importante, visto che è lì che durante la Guerra
Fredda si svolgevano le parate militari in cui sfilavano, a fini
propagandistici, le ultime novità quanto a tecnologia bellica).
Partiamo dai numeri: un
milione e seicentomila spettatori, il più grande concerto rock della
storia. Non erano i Metallica gli headliner,
ma gli AC/DC, mentre il bill era completato da Pantera, Queensryche
e The Black Crowes. Non era il primo concerto rock a cui assistevano i
giovani dell'Unione Sovietica, visto che nel 1989 si era tenuto il Moscow
Peace Festival con Motley Crue, Cinderella, Bon Jovi, Scorpions,
Ozzy, Skid Row e Gorky Park, ma questa edizione del
Monster of Rock aveva un significato storico totalmente diverso.
Quella data del 28 settembre
fu infatti annunciata all'ultimo minuto per via del golpe (fallito) che
aveva avuto luogo nel corso dell'agosto di quell'anno (per la cronaca: fu
tentato un colpo di stato da parte delle frange conservatrici del
governo, avversatrici delle politiche di apertura dell'allora presidente Gorbacev,
in procinto di firmare un accordo che sarebbe andato a riconfigurare la
confederazione, favorendo i diversi nazionalismi a scapito dell'Unione). L'idea
di celebrare un evento di tali dimensioni (fra l'altro gratis - ad esso
accorsero ragazzi da tutti i paesi sovietici, dalla Lituania all'Ucraina ecc.)
era finalizzata a stemperare le tensioni del mese precedente, così denso
di accadimenti, e far sfogare la rabbia dei giovani per evitare che la
situazione degenerasse in violenti disordini. Del resto si arrivò alla vigilia
del concerto in una atmosfera decisamente oppressiva, fatta di controlli
asfissianti e guardie rosse pronte a darci di manganello. Tutto questo mentre
io me ne stavo a guardare i campi di grano dai miei bisnonni.
La verità è che si stava
compiendo la Storia, un percorso già tracciato ed ormai irreversibile
che avrebbe visto da lì a poco la dissoluzione dell'URSS. In quel 28
settembre, pertanto, si stava già respirando l'ebbrezza della fine di un'era:
un'ebbrezza amplificata dalle vibrazioni che solo il rock più duro sa dare.
E qui mi permetto un pensiero
che forse ai più cinici sembrerà qualunquista: seduti comodamente sui
nostri divani, per noi è facile dissertare in teoria su principi come quello
della libertà (che può essere vista come un paravento ideologico
per alimentare i meccanismi perversi del sistema capitalistico - e in parte è
vero). A volte ci capita di invocare, sia da destra che da sinistra, eventuali
regimi salvifici che possano raddrizzare i torti delle democrazie (o
plutocrazie, che dir si voglia) occidentali, dicendoci disposti a sacrificare
anche la libertà.
Eppure, osservare quei
ragazzi scatenati, quei soldati che si sfilano le divise e le sventolano in
aria urlando ed abbracciando chi gli sta accanto (si, perché dopo gli scontri
iniziali, finì con il prevalere la voglia di divertirsi, bere insieme e godersi
il concerto), osservare quel delirio in cui le inibizioni scompaiono e le
fazioni opposte si ricongiungono (e questo concetto è più chiaro se si guardano
le immagini di "Harvester of Sorrow", dove in un primo momento
sono visibili degli scontri fra pubblico e forze dell'ordine, ma poi alla fine
quelle stesse forze dell'ordine le vedremo fra il pubblico a cantare in coro),
tutto questo ci dà informazioni importanti sulla natura dell'uomo e
sull'insopprimibile necessità che ha essa di esprimersi.
Chiamatelo istinto animale,
chiamatelo retaggio di un remoto passato tribale, quello che la Storia ha
dimostrato, ma che tanti filosofi continuano a non capire, è che l'uomo non è
materia malleabile, plasmabile ed asservibile in toto ad una Idea. In
quei volti stravolti dalle emozioni io ci vedo umanità, ci vedo la
legittima necessità di esprimersi e di esprimere la propria libertà. Una
libertà genuina, volta alla riappropriazione di uno spazio vitale.
Il rock e il metal
ovviamente, alla stregua di un rito tribale, evocano queste energie
primordiali, e non hanno sbagliato i gerarchi sovietici ad optare per AC/DC e
Metallica, piuttosto che per un concerto di musica classica o di Simon &
Garfunkel. Quello che non avevano calcolato, però, è che oltre a sedare la
rabbia che poteva sfociare in tentativi di rivolta, avevano risvegliato in quei
giovani la voglia di tornare a provare emozioni: motore primo che ha fatto
implodere tutta la baracca.
Come vedremo in seguito, la
caduta dell’URSS non porterà migliori condizioni di esistenza ai paesi dell'ex
Unione Sovietica, violentati e vessati dai nuovi poteri forti che vedranno nel
libero mercato la possibilità di arricchirsi ulteriormente, creando divari
abissali con il resto della popolazione, tanto che oggi in molti rimpiangono il
"comunismo". Ma almeno per un istante, grazie al metal, anche quei
ragazzi hanno avuto la possibilità di liberarsi la mente dalla tristezza e
dalla frustrazione, ed abbandonarsi alla bellezza di emozioni forti, di emozioni
vere.
Chissà che bel ricordo
portano costoro di "Enter Sandman"...