Era la
notte del 27 settembre del 1986 e, come tutti sanno, la vita
di Cliff Burton fu spezzata da un tragico incidente stradale
durante il tour di “Master of Puppets”. Con grande
deferenza noi di Metal Mirror ci siamo permessi di scomodare
nell’Aldilà il mitico bassista dei Metallica, il quale si è
mostrato incredibilmente disponibile nel rispondere alle nostre
domande, anche a quelle più incalzanti. E
l’occasione è stata così ghiotta da tradursi in una lunga
chiacchierata sui Metallica, sul metal
e su tante altre cose:
così lunga che abbiamo dovuto dividerla in più parti. Ecco a voi la
prima tranche…
MM:
Ciao Cliff, mi sembra giusto partire dicendoti che sei fra i più
amati esponenti dell’Heavy Metal e che tutti ti ricordano ancora
con immenso affetto. A nome della redazione di Metal Mirror: grazie,
ed ancora grazie, per tutto quello che ci hai donato nel corso della
tua breve ma splendida esistenza!
CB:
Grazie molte! Ero a conoscenza di questa perdurante stima da parte
dei fan, dato che ho seguito con grande attenzione le vicissitudini
dei Metallica e del metal in generale dopo la mia morte. Ad ogni modo
fa sempre piacere sentirselo ripetere (ride). Grazie a tutti voi:
senza chi lo ascolta, il musicista è nessuno (ride di nuovo).
MM:
Bene Cliff, mi fa piacere che tu sia rimasto informato, perché avrei
il piacere di sentire la tua opinione su diversi temi scottanti
riguardanti proprio i tuoi ex compagni...
CB:
Ok, chiedi pure, ma ti anticipo: apprezzo tutti gli album dei
Metallica, quindi non ti aspettare veleno da parte mia!
MM:
No, Cliff, ci mancherebbe, però da te mi aspetto analisi
intelligenti, non banalità.
CB:
Vai tranquillo, la parola “banalità” non rientra nel mio
vocabolario!
MM:
Bene, partiamo con “…And Justice For All”, il primo album senza
il tuo apporto…
CB:
Scusa se ti interrompo: ad onor del vero il primo lavoro senza di me
è stato l’EP “Garage Days”, che vedeva già la presenza di
Jason in formazione…
MM:
Cazzo Cliff, non te ne scappa una! Me ne ero scordato, che mi dici al
riguardo?
CB:
Che fu una mossa decisamente intelligente! I ragazzi con quella
pubblicazione dimostrarono di saper reagire in modo costruttivo
innanzi ad un momento molto difficile. E lo fecero nel migliore dei
modi: attingendo energie dai classici. Misfits, Killing Joke, Diamond
Head: era tutta roba che ascoltavamo da giovanissimi, e poiché era
da lì che venivamo come band, fu logico ripartire proprio da lì!
“Garage Days” non è sicuramente la miglior prova dei Metallica,
che fino ad un momento prima erano stati in grado di esprimere una
originalità fuori dal comune. Motorhead, AC/DC, Black Sabbath, erano
tutte nostre fonti di ispirazione, ma diresti mai che in “Ride the
Lightning" o in “Master of Puppets” andavamo a copiare questo o
quell’artista? Eravamo innovativi come nessun altro! Ma dato il
momento, invece di guardare in avanti, i Metallica hanno preferito
guardare indietro! Come dire, è stato più che altro un sfogo
finalizzato ad esorcizzare un disorientamento che poteva minare il
percorso artistico della band. Ed allora ecco che fu tracciata una
riga per ripartire: siamo, ehm, sono tornati un attimo bambini per
poter affrontare il futuro con forze rigenerate. Un episodio
interlocutorio, ma un passo necessario…
MM:
Sì, perché da bambini i Metallica è come se fossero divenuti di
colpo adulti con un album severo e, oserei dire, drammatico come
“…And Justice for All” …
CB:
Già, hai detto bene, con “…And Justice for All” i Metallica
sono divenuti adulti. Ottimo lavoro, a mio parere: album feroce,
tecnico, complesso, coerente con la strada che avevamo intrapreso a
partire da “Ride the Lightning”. Ma
anche al passo con i tempi: moderno, modernissimo, come
se gli anni ottanta fossero già alle spalle… ed era ancora il
1988! Non credevo alle mie orecchie quando l'ho ascoltato per
la prima volta, mi ricordo che non riuscivo più a toglier il
disco dal piatto, era divenuta per me una vera droga…
MM:
E della performance di Jason Newsted su quell’album che mi dici?
CB:
Ah, perché c’è un basso in “…And Justice for All”?
MM:
Oh, eccoci al punto…
CB:
No, non fraintendere, non c’è malizia in quel che dico. Ritengo
Jason un grande, sia come uomo che come musicista, il migliore che i
Metallica potessero scegliere in quel momento. Il
problema è che nel mixaggio il basso è sparito, è praticamente
inudibile. A dirla tutta, anche la batteria ha un suono un po’ troppo secco: la
produzione non era affatto buona, questo va detto... Visto che te l’ho
trovato un difetto? (ride)
MM:
E secondo te come mai la band si spostò verso sonorità di quel
tipo?
CB:
Che dirti, in parte penso che abbia influito la mia stessa morte: i
ragazzi erano atterriti dal dolore, poi furiosi, tutta la loro
incazzatura fu riversata in un album che, lontano da
sterili sentimentalismi, non parlava di me, ma aveva nel mirino la
politica e la società, da sempre temi molto cari ai Metallica…
MM:
“Black Album”…
CB:
“Metallica”, piaccia o meno, è stato anch’esso un passo
necessario. Vedi, nel metal ci sono band che lavorano con il pilota
automatico: ci si dà appuntamento in studio ogni due anni e ci si
guarda negli occhi per capire cosa fare, e siccome nel metal ci sono
musicisti di prim’ordine, capita anche che escano buoni album senza
la dovuta ispirazione. Per i Metallica non è mai stato così:
avevamo fatto parte di un’epoca fantastica, eravamo stati
protagonisti di una vera e propria rivoluzione ed insieme ad Exodus,
Slayer, Nuclear Assault e a quei pazzi degli Anthrax,
avevamo praticamente inventato un nuovo genere, il thrash metal. Però
ad un certo punto “basta!” avranno detto James e Lars. Da un lato
c’era bisogno di un’immagine nuova, di un sound più maturo:
eravamo partiti che non avevamo vent’anni e ora non era più tempo
per correre veloci e gridare al mondo la nostra rabbia. Lo avevamo
già fatto. E poi, a dirla tutta, c’era oramai chi lo
faceva meglio di noi, basti pensare a tutte le band death e grind che
si stavano formando. Ed allora si ebbe una inversione di
tendenza: una maggiore attenzione alla melodia ed un approdo ad una
rinnovata semplicità nelle strutture, che poi, in verità, questa
semplicità era essa stessa il frutto di una
ricerca, di una sintesi. Del resto, mi ricordo che James non ne
poteva più di suonare pezzi di otto o nove minuti con decine di riff
e continui di cambi di tempo: eseguire una “Blackened”
in mezzo ad un concerto era divenuto veramente una rottura di
coglioni…
MM:
Vuoi dunque dire che nell'indirizzare le scelte stilistiche
operate per il Black Album non pesarono affatto ragioni di
tipo commerciale?
CB:
Parliamoci chiaro: quando vendi tre milioni di dischi con il tuo
ultimo lavoro e suoni del fottuto heavy metal, e non R&B, qualche
domanda te la fai. E le ragioni commerciali per forza
influiscono su quello che devi fare. Però lascia che ti dica una
cosa: una “Enter Sandman”, una “Unforgiven” piacciono ad un
pubblico ampio non perché sono commerciali, ma perché sono grandi
canzoni! Chi le critica perché dice che sono troppo leggere od
orecchiabili non ha capito nulla…
MM:
Anche una “Nothing Else Matters”?
CB:
Soprattutto una “Nothing Else Matters”! Stai
tranquillo che un pezzo così non te lo scrive una Britney Spears…
MM:
Quindi anche sul Black Album niente da ridire: nemmeno il sospetto di
qualche riempitivo?
CB:
Beh, qualche taglio l’avrei fatto, per esempio una “Don’t Tread
On Me” non l’avrei inclusa, ma non ne faccio un caso di stato.
Vedi, spesso si ascolta il metal facendo caso più alla musica che ai
testi, ma anche un musicista heavy metal ha delle cose da dire.
James, al di là delle sembianze da orsone buono, è sempre stato un
ragazzo sensibile, pensa te che da giovane ha pure meditato sul
suicidio. Aveva ed ha molte cose da dire, e il Black Album è stato
un po’ come il suo canzoniere: ha espresso molti suoi sentimenti in
quei testi, ma si è tolto anche diversi sassolini dalle
scarpe. Vedi, un album è una cassa di risonanza fantastica:
attraverso esso puoi comunicare con il mondo, è difficile fare
selezione e scartare qualcosa di tuo che per te ha un significato. Se
te lo fanno fare, tendi a metterci tutto te stesso. E se i Metallica
avevano la liberà di farlo, perché dunque rimproverarli?
MM:
Eppure continuo ad avere il sospetto che il processo non sia stato
così spontaneo…
CB:
Beh, ovviamente c’è da capire che i Metallica sono stati per un
certo periodo la più importante rock band del mondo, impossibile che
non subissero da un lato il fascino del successo e dall’altro le
pressioni dell’industria discografica. Ma anche qui è bene svelare
un arcano: detta come la dici tu, sembra che un giorno i Metallica si
siano seduti ad un tavolo con Bob Rock ed abbiano deciso di
pianificare un album per vendere di più, ma non è andata così.
Tutto è molto più complesso: ci sono esigenze artistiche,
personalità, paure, noia, soldi, dipendenze, sono
tanti gli elementi che portano ad un determinato risultato…
MM:
Passiamo dunque a “Load” e “Reload”, non mi puoi difendere
anche quelli…
CB:
E invece sì…
MM:
Dai, è noto che i Metallica avrebbero dovuto sciogliersi dopo il
Black Album e che hanno continuato solo per l’offerta milionaria
fatta dalla casa discografica…
CB:
Guarda, per soldi si fanno tante cose, si dà anche il culo, se
necessario, ma di sicuro non si fanno tour mondiali, non si viaggia
inscatolati in autobus di merda (ehm), non si cambia città ogni
giorno per riproporre le stesse canzoni ogni sera…no, non c’è
prezzo per lo stress da tournée, son cose che fai solo
se sei motivato, se hai ancora la voglia e la passione
per farlo. E poi si parla di persone che oramai i soldi ce l’avevano:
conoscendo James, sono sicuro che se si fosse voluto fermare, avrebbe
parcheggiato il proprio culo nel suo ranch e sarebbe rimasto a bere
birra tutto il santo giorno sdraiato sulla sedia a dondolo in
veranda. Poteva farlo, ma non l’ha fatto…
MM:
E quindi “Load” sarebbe stato il frutto di una insopprimibile
urgenza comunicativa?
CB:
Chi fa rock lo sa: o sei Lemmy Kilmister, o ad un certo punto senti
il bisogno di rallentare, di tirare i remi in barca, fa parte degli
eccessi del rock. I Metallica venivano da un successo planetario che
sinceramente nessuno si sarebbe aspettato. Da ragazzi di provincia si
trovarono ad essere fra gli artisti più apprezzati del mondo. E’
tutto fantastico, ma anche stancante e tutta la stanchezza ti piomba
sulla schiena nel momento in cui le luci si spengono e la giostra si
ferma. A quel punto ti chiedi: chi sono? Dove sto andando? Vuoi
tornare a casa, ecco quel che vuoi fare! E i suoni di
“Load” e “Reload” hanno rappresentato un vero e
proprio ritorno a casa. A quel country, a quel southern rock
che era nel DNA di James, per esempio. Proprio
perché percepisci un forte scollamento fra l'uomo e l'artista, fra
quello che sei e quello che vogliono che tu sia, allora punti a
ricongiungere i due poli: “Load” e “Reload” sono serviti
proprio a questo, è stato un po’ come un “Garage Days”
parte seconda, c’era bisogno di purificarsi di nuovo, ma questa
volta bisognava andare ancora più indietro…
MM:
Ed infatti nel 1998 usciva “Garage Inc” che inglobava il vecchio
EP e nuove cover…
CB:
Esattamente, vedi che tutto torna?
MM:
Ok, posso anche capire che sia stata una fase così, ma “Reload”?
Ce n’era davvero bisogno?
CB:
Lascialo perdere “Reload”…
MM:
Vuoi dire che non ti piace?
CB:
No, qualitativamente il mio giudizio è il medesimo di “Load”,
visto che si tratta delle stesse registrazioni, anzi, ti dirò, forse
un pelino meglio. L’unica cosa che critico è che i grandi
Metallica non hanno bisogno di operazioni di questo tipo, ripetersi a
questa maniera. Ma capovolgendo il punto di vista, paradossalmente i
Metallica hanno saputo stupire anche quella volta (ride).
MM:
Quindi mi vuoi dire che se Cliff Burton fosse stato nei Metallica
avremmo avuto comunque un “Load” e un “Reload”?
CB:
Su questo non ti posso rispondere, la storia non si fa con i se…
MM:
Però è un dato di fatto che il tuo nome viene associato a titoli
come “(Anesthesia) Pulling Teeth”, “For Whom the Bell Tolls”,
“The Call of Ktulu”, “Orion”…tutti mirabili esempi di un
approccio ricercato e per certi aspetti progressivo al metal. Come
può l’ispiratore e il coautore di simili capolavori eseguire il
materiale sempliciotto contenuto in “Load” e “Reload”?
CB:
Che dire, per me la vita qua è facile, non
faccio un cazzo a giornate. In tutto questo tempo
libero ho continuato a studiare, a sviluppare le mie linee di basso e
con gli inizi degli anni novanta ho iniziato ad interessarmi prima al
trip-hop e poi all’elettronica vera e propria. Questo mio interesse
coincise con il momento in cui ripresi in mano il pianoforte: con i
miei studi classici mi sono così cimentato in esperimenti ambient
sulla falsa riga di Aphex Twin, artista che adoro e che considero il
più grande genio dei nostri tempi. Ripeto: con tutto il tempo libero
e la tranquillità di cui ho potuto disporre, ho avuto modo di
riflettere, analizzare, studiare e sperimentare indisturbato. Ma
se fossi stato on the road con gli altri ragazzi? Se avessi ricevuto
le pressioni che loro hanno ricevuto da pubblico, critica ed
industria discografica? Se avessi bevuto quanto hanno bevuto loro? Ma
soprattutto: se fossi invecchiato come loro e non avessi mantenuto la
mia freschezza, e fisica ed intellettuale, di perenne ventiquattrenne
quale sono in questa sorta di Limbo? Cosa sarei io oggi? Potrei
affermare con certezza assoluta che “Cliff Burton, dall'altro
della sua genialità,” non avrebbe mai approvato la
pubblicazione di “Load” e “Reload”?
Con
questo quesito ci fermiamo ed interrompiamo temporaneamente la nostra
chiacchierata. Quanto a voi, cari lettori, state pure tranquilli: la
voce di Cliff tornerà prossimamente su queste pagine…