Ultima tranche della nostra conversazione con Cliff Burton: nelle due puntate precedenti abbiamo parlato di Metallica, Slayer, Anthrax, Exodus e Megadeth, mentre oggi è il turno di una vera e propria lectio magistralis sul thrash…e non solo!
MM: Dunque Cliff, abbiamo
approfittato in modo criminale della tua disponibilità, toccando una serie di
questioni cronologicamente successive alla tua morte, per questo adesso ci
concentreremo sul periodo in cui eri attivo…
CB: Sono a vostra disposizione…
MM: Lu tue capacità di
analisi mi hanno stupito postivamente, per questo mi sento di farti una domanda
un po’ difficile. I Metallica, insieme agli altri gruppi che abbiamo citato,
hanno praticamente creato un genere nuovo: il thrash metal. Visto che sei stato
protagonista di questa rivoluzione, mi sai dire com’è che nasce un genere
nuovo?
CB: Wow! Che domandona! Vediamo
se riesco in qualche modo a risponderti. Partiamo dal contesto. All’inizio
degli anni ottanta il metal viveva un momento magico: band dal suono duro
spuntavano ovunque come funghi, ognuna con la sua personalità e il suo stile. Il
clima era a dir poco elettrizzante: club pieni di gente, magliette con nomi dei
gruppi, copertine sempre più fantasiose, c’erano tanti spunti, ogni giorno saltava
fuori qualcuno che inventava qualcosa di nuovo e ogni disco che compravi ti
permetteva di affacciarti innanzi a scenari innovativi…
MM: Quindi il primo fattore
determinante è stato il grande fermento che ruotava attorno al fenomeno metal
all’inizio degli anni ottanta…
CB: Esatto! Non si nasce e cresce
in una campana di vetro: un Giotto, un Brunelleschi, un Michelangelo o un
Leonardo Da Vinci non hanno operato al polo Sud o sulle rive del Rio delle
Amazzoni, essi erano eccellenti individualità, ma al tempo stesso espressione
di un periodo storico, di un contesto caratterizzato dal continuo scambio di
stimoli. Punto secondo: bisognava essere preparati. Lascia perdere le facce da
rincoglioniti e il look da deficienti che vedi nelle foto dei dischi: eravamo musicisti
straordinari! Per fare quello che è stato fatto c’era da avere delle grandi
palle, te lo assicuro! E molte band erano cazzute per davvero, avendo dietro di
sé un background fatto di hard-rock suonato con i controcazzi o, in certi casi,
persino di progressive…Guarda per esempio le band inglesi della New Wave…
MM: Il thrash però vide fra
le sue influenze fondamentali il punk, che a regola non abbisognerebbe di una
grande preparazione…
CB: Certo, ma la cosa
positiva è che l’immediatezza del punk si è integrata con l’approccio tecnico
dell’heavy metal, costituendo quindi un valore aggiunto e non andando a svilire
quello spirito costruttivo che albergava nel metal e che era stato ereditato
dal rock! Tutti all’epoca ascoltavamo Motorhead, Stooges, MC5 e tutta quella “marmaglia”
di rock grezzo all’inverosimile che faceva incazzare i nostri genitori e
bestemmiare i vicini di casa: una vera goduria per qualsiasi giovane che
volesse cagare in testa al mondo intero! Poi spuntarono i Venom e niente fu più
come prima: non sapevano suonare un cazzo, ma ti assicuro che furono un vero
scossone per tutti! Dettero una carica esagerata ai giovani musicisti,
ampliarono la visuale, il concetto di estremo. Che tutti si poteva essere delle
rock-star ce l’avevano insegnato i Ramones; che invece si potesse mettere
l’inferno in musica, questo ce lo spiegarono Cronos e compari…
MM: E così nacque il thrash…
CB: Ancora no, manca un
passaggio. E’ difficile che il “nuovo” nasca da sé: all’inizio è sempre un mix
di elementi. Il punto di partenza per il thrash fu indubbiamente l’unione fra la
velocità del punk e la complessità dell’heavy metal. Non so se “Kill ‘Em All” è
definibile come un album thrash, ma in esso vi erano della parti indubbiamente
thrash: nel complesso quell’album costituiva un indurimento dei suoni, in molte
circostanze suonavamo come dei Motorhead più incazzati, ma anche più precisi
nell’esecuzione. Se però prendi dei passaggi in particolare, come per esempio
la sezione centrale di “The Four Horsemen”, troverai qualcosa di diverso e non
riconducibile direttamente alle nostre influenze: riff di chitarra taglienti, quadrati,
non suonati più in modo confuso, ma perfettamente definiti. E reiterati, con
una batteria potente e cambi di ritmo piazzati al momento giusto. Devo
ammettere che in questo contò molto l’apporto di Mustaine, con il suo tocco
acido ed adrenalinico.
MM: E fu in quel frangente
che nacque il thrash…
CB: No,non ancora. Capiamoci:
il thrash come stilema, come elemento formale, non lo inventarono i Metallica
né tanto meno gli Slayer. Già i Black Sabbath suonavano thrash nel 1975, basta
andare ad ascoltare “Symptom of the Universe”: quella, a ben vedere, era già una
thrash-song fatta e compiuta, quasi dieci anni prima che si iniziasse a parlare
di “thrash metal”. Quand’è dunque che nasce un genere? Nasce quando un elemento
viene isolato ed allontanato da tutto il resto, e sulla base di quel “pezzetto”
si costruisce un sistema dotato di senso. I Sabbath, dopo quella canzone,
continuarono a suonare hard-rock, heavy metal, progressive e tante altre cose,
ma non thrash, per questo essi non sono da considerare gli inventori del genere,
la cui paternità spetta invece a chi su quell’idea ci ha costruito album interi,
se non una carriera, come noi, ad esempio. “Kill ‘Em All”, dunque, era ancora
un coacervo fumante di influenze più o meno grezze, mentre con “Ride the
Lightning” il discorso venne affrontato in modo più personale e consapevole.
Lascia perdere che poi noi iniziammo già a discostarci da un paradigma esclusivamente
estremo, ricorrendo nuovamente alla melodia. In un certo senso facemmo un passo
indietro, ma i percorsi di evoluzione funzionano così: ti spingi avanti ed
aggiusti il tiro, vai avanti di nuovo e ti sistemi ancora per meglio affrontare
il passo successivo e così via.
MM: Quindi, riassumendo:
contesto favorevole + preparazione tecnica + definizione stilistica attraverso
un’operazione di riduzione prima e di consolidamento dopo. E così che nasce il
thrash come genere?
CB: In più mettici anche la
passione: quello che fai ti deve piacere, ci devi credere. Oggi tanta gente si
evolve in maniera artificiale, con la mente, ma non con il cuore. Io mi ricordo
invece che quello che facevamo ci prendeva da impazzire, non eravamo noi ad
andare incontro al thrash ma era il thrash che ci chiamava. Se in “Kill ‘Em
All” scegliemmo di sviluppare certi spunti e non altri è perché erano quelli
che ci piacevano di più, quelli che riuscivamo a sviluppare meglio, che ci
mettevano più a nostro agio. Altre band invece continuarono a picchiare,
assecondando il lato più duro del neonato thrash, è solo questione di gusti...
MM: Mi pare di capire che i
percorsi un po’ conservatori intrapresi dagli altri gruppi della prima ondata
non ti siano piaciuti più di tanto…
CB: Beh, in effetti ho smesso
di ascoltare thrash abbastanza presto, limitandomi a seguire solo pochi gruppi,
Pantera, Sepultura, Voivod, quelli che fra tutti dimostrarono di voler osare…
MM: E dunque, scartato il
thrash, troppo presto intrappolato nei suoi cliché, cos’è che hai iniziato ad
ascoltare?
CB: Amo il metal, ma non ti
nego che sono rimasto molto legato a quello dei miei anni. Anche successivamente
il metal saprà mostrarsi in qualche modo creativo, ma non ci sarà la stessa
magia.
MM: Dunque non hai approfondito
altri sotto-generi sviluppati successivamente alla tua morte?
CB: Ti dico la verità, la
vecchia scuola mi pareva avesse una marcia in più. E’ come se il metal si fosse
da un certo punto intristito. Ma probabilmente è il mondo che è diventato più
triste! Non che negli ottanta fossero solo rose e fiori, anzi, noi del thrash
eravamo il frutto ultimo della caduta delle utopie, in più metti i problemi
legati all’ambiente, i possibili disastri ecologici per via dell’inquinamento,
la minaccia nucleare dietro l’angolo. Ma almeno la Guerra Fredda presentava uno
scenario chiaro, c’erano due parti contrapposte e sapevi chi era il nemico. Oggi
invece il male è dappertutto, non sai più a chi dare la colpa se sei nella
merda! In altre parole, si è perso lo spirito di aggregazione, per questo motivo
si sono sviluppate forme musicali orientate verso l’intimismo e l’introspezione,
spesso con tendenze suicide (brrrrr) …
MM: E tutto il senso di
fratellanza professato dai Manowar, dai defender in generale e dal power metal?
CB: Tutte cazzate! Rispetto profondamente
quei musicisti, ma solo per la bontà della loro musica. Non mi venire però a
dire che il messaggio del power metal è sincero…a me sembra una bambinata,
queste cose le lascio volentieri a chi ama passare le nottate a fare a giochi
di ruolo con gli amici…
MM: E i Tool, invece, non ritieni
che siano stati in grado di raccogliere il testimone dei grandi gruppi degli
anni ottanta?
CB: L’avranno anche raccolto
il testimone, ma a me la loro musica mette solo angoscia. E poi con quei video…
MM: Dammi almeno un paio di
nomi dei giorni nostri che per lo meno apprezzi…
CB: Qualcosa c’è che mi
piace. I Mastodon, per esempio, soprattutto nella loro versione ultima. Penso
che siano fra i pochi a portare avanti quello spirito che rese grandi i
Metallica: nella loro musica sanno mettere di tutto, grinta, potenza, melodia e
tanto tanto cuore. Mi piacciono le atmosfere seventies degli ultimi album, che
trovo molto vitali. Ma, cosa più importante, essi hanno dimostrato di essere in
grado di evolversi continuamente. Ci sono poi gli Opeth, mi sarei divertito un
mondo a suonare con loro: brani lunghi, molti contenuti, molta voglia di
suonare, peccato solo per il modo di cantare in growl, non l’ho mai potuto
digerire …secondo me non è cantare quello! Però la musica è buona, c’è da
ammettere che oggi c’è più libertà nel comporre: il metal adesso può
permettersi tutto e anche gli ascoltatori sono più aperti di mente. Una libertà
del genere può condurre al disorientamento ed alla dispersione, aspetti che in
effetti penalizzano la proposta di molti. Se pensi ai Metallica, dietro alle
nostre canzoni, anche a quelle più lunghe e tortuose, c’era sempre una
strategia, uno schema da seguire...
MM:
Ma che musica avrebbe suonato Cliff Burton se la sua carriera non si fosse arrestata
così bruscamente?
CB:
Cliff Burton avrebbe semplicemente continuato a scrivere buona musica assieme
ai Metallica. Se prendi il brano “To Live is to Die” (da “…And Justice for All”)
che porta pure la mia firma (è in effetti l’ultimo pezzo che ho scritto per i
Metallica), puoi facilmente intendere quale sarebbe stata la via che avrei
voluto intraprendere: un thrash tecnico sempre più complesso, dalla forza
sinfonica, oserei dire, che si avvicina nel concetto a certe partiture della
musica classica. Lo sai, no, che da piccolo suonavo il pianoforte? Quel
patrimonio, che in un primo momento avevo voluto seppellire sotto alla furia
iconoclasta del punk e dell’heavy metal, stava tornando a bussare
prepotentemente alla porta della mia creatività. Sentivo che era un bagaglio
che poteva tornarmi utile, ora che ero divenuto un musicista di professione:
avevo sempre più voglia di sperimentare nuovi suoni, sentivo che la mia
dimensione privilegiata era quella del pezzo lungo e strumentale, iniziai a
ritagliarmi degli spazi da protagonista all’interno dei brani, sempre ovviamente
nel rispetto dell’operato degli altri ragazzi che erano i migliori compagni di
viaggio che uno potesse desiderare…
MM:
In che senso?
CB:
Fondamentalmente eravamo una squadra! La scrittura era appannaggio
principalmente di James ed Lars, ma era pacifico che fosse così, considerato
che la musica dei Metallica era per lo più composta da chitarra ritmica e
batteria. Però James e Lars non sono mai stati dei despoti, hanno sempre
ascoltato sia me che Kirk e, se devo dirla tutta, fui io che portai con il mio
ingresso aria fresca nella band: ero io quello con le vedute più aperte, quello
che ascoltava più musica degli altri, quello con le idee innovative! E tutto ciò
che dicevo veniva tenuto di grande considerazione…
MM:
Basta così Cliff, mi vien da piangere al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere
se quel dannato pullman non fosse uscito di strada. Direi che sei stato
gentilissimo, pertanto, ringraziandoti ancora per la tua disponibilità, lascio
a te l’ultima parola a beneficio dei nostri lettori…
CB:
Grazie a voi per la compagnia. Il consiglio che voglio dare a tutti i musicisti
che ci stanno leggendo è il seguente: studiate, non abbiate paura, esprimete
voi stessi! Fatemi ascoltare qualcosa di interessante, io da qua non posso fare
più nulla, sono nelle vostre mani (ride).
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