Il cantato in italiano e la ricerca su come conservare l’impatto diretto (sonoro e immaginifico) delle parole comuni sono forse il punto chiave della questione italiana nel metal. L’italiano è una lingua certamente duttile nell’espressione figurata, poetica, ma richiede strutture dilatate, ariose, non sposandosi bene con ritmiche sostenute. Inoltre il frequente accento piano sulla penultima sillaba è un freno tirato alle ritmiche che invece atterrano con rimbalzo sull’ultima nota.
La sfida del cantato in italiano nel metal estremo è soprattutto quella
della resa della parola, proprio perché da una parte non ci si può nascondere
dietro il suono di una parola straniera, e dall'altra si può facilmente azzoppare la
dinamica del brano, rischiando di scendere nel ridicolo quando si sbaglia la metrica o
il rapporto parola/suono. Come sbatacchiare una rosa o esibire un calzino.
I
gruppi metal italiani hanno fatto all'inizio di necessità virtù. Negli anni ’80
i primi gruppi thrash italiani cantavano
in inglese, con due caratteristiche fondamentali. Nel tentativo di tradurre
testi pensati prima in italiano, il risultato era una ridondanza verbale, che
caratterizza la traduzione letterale italiana rispetto al corrispettivo inglese.
Conseguentemente il cantato era una specie di rincorsa, o di compressione delle
parole nello spazio obbligato del verso.
Le parole lunghe erano curiosamente adattate in maniera che l’accento
andava alla francese sull’ultima sillaba, in maniera da non far coincidere la
cadenza del verso rispetto alla musica ed evitare l’effetto frenata. Oppure,
per dare aria al termine del verso, erano prolungate innaturalmente le ultime
vocali. Così facendo però si snaturava la pronuncia inglese: in sostanza l'inglese che traduceva l’italiano risultava pletorico e poi doveva essere
o strizzato e accelerato per entrare nei ranghi delle ritmiche, o stiracchiato a
fine verso con grida a morire.
I vecchi
Necrodeath (ma anche gli Schizo quando cantava Ingo) hanno utilizzato spesso questo espediente (sentite l'inizio
di "Fragments of Insanity", per esempio). Eppure uno
dei brividi maggiori me lo dettero quando cantavano “Mater Tenebrarum” con gli
accenti giusti, spezzando il dinamismo, ma creando una ferocia primordiale come
effetto della pronuncia diretta delle parole.
La parola fermava la musica e se la faceva calzare intorno, in maniera
grezza e maestosa. Ai tempi questo tipo di cantato diretto era considerato “goffo”,
“pigro”. Gli anni dimostreranno che era ed è una via percorribile. Soltanto che
per arrivare alla soluzione si è dovuti passare “intorno” al metal,
contaminando di metal altri stili, come hanno fatto Intolleranza e Londinium
SPQR.
Siamo in area OI!/RAC, a tratti
anche ostile al metal, quantomeno ostile a quello rockeggiante. I punti di contatto
tra le due realtà sono anche altre, come le tematiche guerriere, belliche e
tradizionalistiche, ma per quanto riguarda la realtà italiana la pista della
lingua svolge un ruolo fondamentale come esigenza insoddisfatta nel metal, che
trova nello stile OI!/RAC un modulo congeniale. Sul versante metal, l’anello di
congiunzione è arrivato con il rigurgito punk/crust alle radici del black,
inaugurato dai Darkthrone, ma da sempre presente nel black più radicale. Così è potuto
accadere che alla fine un gruppo black metal abbia sterzato verso i territori
sgraziati e fieri dello street punk portandosi dietro contenuti di tipo
nazionalista e ideologico.
Gli Intolleranza (guidati da Katanga, nostro console
a Osaka) mettono insieme una serie di pezzi OI!/RAC che culminano, dal nostro
punto di vista metallico, in un brano francamente power-thrash come “Werwolf”,
insieme alla più semplice e rockeggiante “Come il Vento”. Quest'ultima è un
manifesto politico legato alla propaganda del Movimento Politico Occidentale,
poi sciolto per gli effetti della Legge Mancino (siamo nei primi '90). "Werwolf" è
invece la celebrazione dell'estrema resistenza della Germania
nazionalsocialista durante la battaglia per Berlino, quando semplici cittadini,
anche vecchi e bambini, furono addestrati a rimanere nascosti durante
l'avanzata del nemico per poi attaccare a sorpresa (come fossero appunto “lupi
mannari” che si trasformavano). Dotati di un armamento minimo (due bombe a mano
e un caricatore), queste unità combattenti rientravano nel
concetto di Goebbels di guerra totale, secondo cui la guerra a difesa della
Nazione era il momento di realizzazione esistenziale di ogni membro della
comunità. Il soldato in uniforme che difende una bandiera diventa una sorta di
furia cieca, che combatte ormai per un pezzo di terra e per orgoglio, e ha come
bandiera il suo fucile. Il testo urlato in un italiano comprensibile dona al brano
un fascino inquietante, che rende bene il senso di tragedia e la mistica del
combattimento assoluto.
Finiti gli Intolleranza (che pubblicheranno solo una
raccolta postuma, “Tutti all'inferno”), il progetto musicale si dividerà in due
filoni: uno più sperimentale, i Sottofasciasemplice di Katanga, ed uno di
impronta più metal, i Londinium SPQR. Nei Londinium i tempi rallentano, con
l'effetto singolare della voce rauca e cavernosa, ma comprensibile su un
tappeto power-doom o epic. I testi continuano a spaziare dalla
storia contemporanea ("Angeli su Roma") all'ideologia. Memorabile l'incipit
didattico di “Fare quadrato”: “Riflettiamo sul significato - parola d'ordine: fare
quadrato...”, una canzone che illustra, a cavallo tra tattica di combattimento e
metafora spirituale, il concetto di unione verso uno scopo, di mistica dello
slancio individuale verso lo scopo collettivo. Quadrato nel titolo, nella struttura
e anche nella prosodia: una struttura funzionale alla lingua per come è pensata
e pronunciata. I toni rimangono cupi e fieri, e tali continueranno ad essere
anche nell'evoluzione hardcore SPQR.
Arrivano a questo punto i Frangar, che
utilizzano questa esperienza partendo stavolta (siamo ormai nel 2004 e oltre) come
contaminazione del black. I Frangar partono da una posizione ideologica che li
fa rientrare nel filone NSBM e sono musicalmente esecutori di un black metal
corposo e violento, marziale e scarno, attento all'effetto “sporco”, ma anche
all'impatto massiccio (il “muro” slyaeriano), quello che a me piace indicare
come black metal “bellicoso” (come iniziatori di questo sottogenere potrei
scegliere i Keep of Kalessin e in generale quei gruppi che tentavano la
rappresentazione musicale di tematiche e immaginari di guerra).
I Frangar
iniziano con qualche retaggio inglese (Totalitarian War, già quasi tutto in italiano comunque), e approdano all'italiano con piglio futuristico, sia per
la scelta delle sonorità “materiche” (sferragliamenti, colpi di maglio,
ritmiche stantuffanti), sia per le parole che sembrano animare la materia ("Bulloni
Granate Bastoni"). L'impeto dell'assalto è raddoppiato dall'effetto lingua, che
si pianta al termine del verso ed è automaticamente rincalcata dalla batteria
come un martello che picchia su una punta di trapano. Il tema centrale (e anche
titolo del loro ultimo album) è derivato da un articolo di Mussolini,
"Trincerocrazia", nel quale si teorizzava come a guida del paese dovessero stare
coloro che avevano messo in gioco se stessi al fronte per difenderne i confini.
Comanda la trincea, comandano i morti, gli arditi, gli strenui difensori. I
disertori e gli imboscati siano sudditi! Una filosofia che si può anche
trasportare sul piano della storia del metal.
Così i Frangar completeranno la
quadratura riportando l'italiano nel metal con un pugno di pezzi, tra cui
proprio la cover di “Fare quadrato” dei Londinium SPQR. Forse è qui che il
metal italiano deve stare: in trincea e contemporaneamente nell'avanguardia. Se
è vero che fa piacere che dopo anni anche in Italia siano sorti gruppi in grado
di produrre metal di respiro internazionale, è però anche vero che la via italiana al
metal fa capo invece a gruppi che magari non ci sono più, o che hanno sempre
resistito, o hanno militato anche in condizioni avverse per fare la nostra
storia, come Bulldozer, Schizo e Necrodeath.
A cura del Dottore