Non so voi, ma io ho sempre diffidato da chi usa delle iperboli linguistiche o si esalta oltremodo mettendo il suffisso -issimo ad ogni aggettivo. Per questo ho atteso prima di acquistare questo album, considerato da molta critica: strepitoso, bellissimo, intelligente e chi più ne ha più ne metta. Quanta voglia di esaltarsi che c'è nel mondo delle recensioni odierne, alla ricerca di un hype che non esiste, ma qui state leggendo Metal Mirror: astenersi ovvietà!
A dir la verità però il quadro è già tracciato in negativo da chi, come noi, va in Polonia e rientra con un disco dei Riverside e chi invece con tre belle mignotte, ma noi di MM siamo fatto così: la musica prima di tutto!
In secondo luogo il gruppo di Varsavia capitanato da Mariusz Duda non ha l'originalità nelle sue corde, ma un particolare mix che fa apprezzare il loro sound. Sonorità che si muovono tra Porcupine Tree, Opeth, Tool e un progressive rock di vecchio stampo.
Potrei chiudere qui la mia recensione, ma vorrei raccontarvi in modo romantico cosa si prova ad ascoltare i Riverside: in un giorno di maggio che segue a settimane soleggiate, il cielo diventa grigio e scende una leggera pioggia. Quelle gocce che bagnano il vetro della finestra di casa scendono fino al terreno, ma alcune scorrono più veloci delle altre, decise e determinate ad arrivare prima come in una gara. I Riverside suonano in salotto, io starnutisco e fuori piove, ma l'aria mantiene comunque uno spirito primaverile. Mi rifletto nell'uomo in copertina, quanto sono solo!
Questo disco del 2009 è oggetto di un mutamento del sound della band, le atmosfere si fanno più ricercate rispetto ai precedenti album e quasi si sovrappongono al 100% alle idee di Steven Wilson.
Non c'è niente che faccia gridare al capolavoro, la voce è abbastanza sommessa o troppo inutilmente nervosa, la tecnica del gruppo non è strabiliante, ma hanno un gusto pacato e determinato. I Riverside da Varsavia sono un tentativo, o meglio, una speranza per l'Europa centrale di andar oltre. Oltre i confini, ma anche oltre alcune barriere mentali che limitano le nazioni a stereotipi (Polonia = ebrei e figa ad esempio nda).
Questo disco del 2009 è oggetto di un mutamento del sound della band, le atmosfere si fanno più ricercate rispetto ai precedenti album e quasi si sovrappongono al 100% alle idee di Steven Wilson.
Non c'è niente che faccia gridare al capolavoro, la voce è abbastanza sommessa o troppo inutilmente nervosa, la tecnica del gruppo non è strabiliante, ma hanno un gusto pacato e determinato. I Riverside da Varsavia sono un tentativo, o meglio, una speranza per l'Europa centrale di andar oltre. Oltre i confini, ma anche oltre alcune barriere mentali che limitano le nazioni a stereotipi (Polonia = ebrei e figa ad esempio nda).
Cinque canzoni, come i grandi album del passato, ambiziose e lunghe ma scorrevoli. Se partite con aspettative basse, troverete soddisfazioni ma se la critica vi ha illuso di aver di fronte il nuovo genio del prog, mi dispiace ma non è Mariusz Duda.
Ricordate il vecchio giocatore romeno Gheorghe Hagi? La sua classe era sopraffina ed aveva un buon piede sinistro, tanto da essere soprannominato il Maradona dei Carpazi, ma certamente Maradona non era. Così i Riverside sono i Tool polacchi o i Porcupine Tree di Varsavia, insomma un buon gruppo da seguire, ma sempre una copia sbiadita del riferimento originale.
Voto: 7+
Voto: 7+
Canzone top: "Left out"
Momento top: la parte centrale di "Hybrid Times"
Canzone flop: "Egoist Hedonist part.I Different?"
Anno: 2009
5 canzoni, 42 minuti
Etichetta: Inside Out