CLASSIFICA
DEI DIECI MIGLIORI ALBUM DEATH METAL USCITI NEL 1991
2° CLASSIFICATO: "BLESSED ARE THE SICK" (MORBID ANGEL)
2° CLASSIFICATO: "BLESSED ARE THE SICK" (MORBID ANGEL)
Parlando
di “Testimony of the Ancients” dei Pestilence abbiamo ricondotto
gli olandesi all’interno di quel filone “intelligente” del death metal
che vede come propri capofila i maestri Death.
Compiendo
un gesto di estrema sintesi, potremmo approfittarne per dividere l’intero death
metal in due tronconi: quello intelligente, appunto, e quello irrazionale,
un movimento gigantesco che vede la sua origine nei Morbid Angel.
Non
è mai esistita, in realtà, una vera dicotomia Death vs Morbid Angel,
sebbene sia un dato di fatto che fra i due gruppi non sia mai corso buon sangue
(in un contesto fra l’altro in cui la solidarietà e la fratellanza fra band emergenti
ed underground era la regola). Ma più di ogni altra cosa, a gettare la
distanza fra le due eminenze del death metal, è il fatto che da un punto di
vista stilistico non vi sono grandi punti di contatto. I Death avevano dato i
natali al genere, il quale non a caso portava il loro stesso nome; del passo
avanti da essi compiuto, i Morbid Angel non sembravano però curarsi, preferendo
attingere direttamente alla fonte primigenia del metallo estremo che erano gli Slayer.
Da lì dunque ripartivano i Morbid Angel per sviluppare un percorso personale
che poco aveva a che spartire con le innovazioni introdotte nel frattempo dal
grande Chuck Schuldiner.
Il 1991
fotografa i Morbid Angel in un momento di grande creatività. Ma mentre in
quello stesso anno i Death si accingevano a pubblicare il loro quarto album (“Human”),
dando l’impressione di “partire” per recarsi da qualche “altra” parte, i Morbid
Angel con “Blessed are the Sick” (folgorante opera seconda) è
come se ancora si dirigessero verso quel punto dello stadio evolutivo che i
Death stavano lasciando.
Le
influenze di Slayer e persino di Metallica, con tutti i vari esponenti
delle frange più estreme del metallo di inizio anni ottanta, erano ancora
evidenti nei Morbid Angel, quando invece nei Death erano oramai quasi scomparse.
Già l’introduzione (“Intro”) è una palese citazione all’incipit caotico
ed infernale di “Hell Awaits”. Ma se il retaggio thrash nel debutto “Altars
of Madness” (1989) era ancora assai evidente, seppur imbastardito dal drumming
furioso di Pete Sandoval e dalle vocalità efferate di David Vincent,
con “Blessed are the Sick” i Morbid Angel codificarono quegli stilemi
che li avrebbero poi contraddistinti per tutta la loro carriera, ponendoli come
maestri indiscussi del genere.
La
classica “Fall From Grace”, posta in apertura, è la quintessenza del
nuovo sound dell’Angelo Morboso: un sound malato e visionario che
si divideva fra fangosi riff di matrice doom e passaggi
velocissimi che prendevano in prestito la furia grind ereditata dai Terrorizer
(da cui provenivano sia Vincent che Sandoval). Il tutto illuminato dall’estro
chitarristico del leader e fondatore Trey Azagthoth, mano
schizzata ed imprevedibile, capace di disegnare ritmiche deliranti ed assolo
deviati di chiara ispirazione slayeriana. Laddove Schuldiner forgiava la
sua arte con metodo, cibandosi principalmente di metal classico e centellinando
le sue idee in schemi rigorosi che rispettavano pedissequamente lo schema “strofa/ritornello/assolo/strofa/ritornello”, Azagthoth, sregolato ed anarchico nel modo di procedere, era
forse più estroso e poliedrico come artista (del resto dichiarava di ispirarsi
a Mozart, a cui peraltro l’album è dedicato), mostrando una maggiore
apertura di vedute e cimentandosi all’occorrenza anche alle tastiere.
La
forza dei Morbid Angel, del resto, stava nel fatto di annoverare in squadra grandi
individualità. David Vincent rifinisce il suo stile vocale,
pervenendo a quel suo tanto caratteristico growl: un growl
profondo, imponente, altezzoso che sarebbe presto divenuto ideal-tipico per gli
urlatori del death metal dell’intero globo. Pete Sandoval, dal canto
suo, non ha certo bisogno di presentazioni. Il suo drumming
singhiozzante farà semplicemente la storia del genere: irregolare,
continuamente dissestato da repentine accelerazioni, sconvolto da scossoni
improvvisi, accompagnato da rullate isteriche e pervaso da forti sentori
marziali, esso diverrà un trademark caratteristico della band, nonché
uno dei tratti stilistici più imitati. Idem la celeberrima doppia-cassa
lanciata a rotta di collo su riff anche lenti ed attorcigliati, o
sovrastata da implacabili controtempi che guardano al Lombardo di “Post
Mortem”. Last but not the least, Richard Brunelle, che con
questa release completa la sua breve avventura in seno all’Angelo
Morboso: il chitarrista verrà presto dimenticato dai fan, ma c’è da dire
che il suo approccio melodico conferirà sfumature che in seguito andranno
irrimediabilmente perdute. Se infatti il successivo “Covenant” (1993)
costituirà un soddisfacente punto di arrivo formale per i Morbid Angel, c’è da
dire che quel terzo atto risulterà maggiormente piatto ed incolore (soprattutto
per quanto riguarda il lavoro delle chitarre) del suo poliedrico predecessore.
Al
solo Brunelle, infine, dobbiamo la splendida “Desolate Ways” (grazie Richard
per quell’immenso minuto e quaranta!): una breve interludio strumentale per
sola chitarra acustica che costituisce uno dei momenti più sognanti e
cristallini della produzione dei Morbid Angel. Una componente di “malinconia”
che verrà presto fagocitata dalla volontà di suonare più feroci e brutali, ma
che in “Blessed are the Sick” era ancora presente. Ben quattro le strumentali
ospitate al suo interno, di cui due di sole tastiere: l’inquietante “Doomsday
Celebration”, a base di organo, orchestrazioni ed effetti macabri atti ad evocare
i fantasmi dell’inquisizione, e la conclusiva “In Remembrance”, un giro
di pianoforte che, insieme alla già citata “Desolate Ways”, rimarrà uno dei
momenti più quieti dell’intera epopea della band.
Si
diceva, infatti, che i Morbid Angel con “Blessed are the Sick” si ergono a
capofila di un filone “irrazionale” del death metal, dove l’atmosfera
finisce per contare quanto la brutalità. Uno stato di cose che è
perfettamente anticipato dall’iconica copertina: la scelta di un quadro
originale, “Les Tresors de Satan” di Jean Delvill, pittore ed
occultista belga, è un colpo di classe non indifferente, probabilmente farina
del sacco di Vincent (consacrato al credo satanico, quando invece, si sa, Azagthoth
è più interessato alla mitologia sumera). I testi dei brani tendono ad evocare
un folle e malsano medioevo, superstizioso quanto sanguinario, pervaso da
oscure credenze, alchimia, magia nera. Un esempio di tutto questo è la title-track,
sublime doom-song condita da riff vischiosi e dal drumming
epilettico di Sandoval: una bestia insidiosa perfettamente governata da un
Vincent in stato di grazia che si distingue per autorevolezza ed imperiosità.
Nessun assolo a questo giro, ma in compenso troviamo in coda il flauto
strisciante di “Leading the Rats”, altro omaggio al Medioevo della peste
e dei memento mori stampati sui muri delle chiese.
L’album,
che già di per sé non arriva ai quaranta minuti, annovera in scaletta brani
assai brevi, dove tuttavia si ha l’impressione che accada di tutto, considerata
la fantasia sfoggiata dal collettivo. Chicca fra le chicche: “Day of
Suffering”, altro classico riproposto spesso dal vivo che in nemmeno due
minuti, con le sue chitarre ronzanti, traccia le linee guida per il black metal
che verrà.
Le
idee si sprecano, e non è un caso che “Blessed are the Sick” riesce ad essere
seminale ad ogni passo. L’unica pecca, ad essere pignoli, è la produzione, che
alla fine emerge troppo pulita per un prodotto con tali intenti. Del resto non
dev’essere stata un’impresa facile per Tom Morris, seduto dietro al mixer,
catturare lo spirito multiforme del sound complesso e affatto banale dei
Morbid Angel, o, più semplicemente, valorizzare ogni singolo spunto, ogni
sfumatura che la band ha voluto tratteggiare con questo lavoro unico ed
inimitabile del metal estremo.