"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

17 lug 2016

DIECI ALBUM (PIU' UNO) PER CAPIRE IL FOLK APOCALITTICO: BOYD RICE AND FRIENDS, "MUSIC, MARTINIS AND MISANTHROPY"



Prima puntata: Boyd Rice

Aprire la nostra rassegna sul folk apocalittico con Boyd Rice non vuol dire entrare dal portone principale: egli infatti non può essere di certo considerato come la figura più rappresentativa del genere, in quanto le sue sperimentazioni come musicista si sono mosse piuttosto in direzione industrial-noise. Ma è indubbio che il suo contributo alla "causa apocalittica" sia stato consistente, essendo stato un assiduo collaboratore dei maggiori esponenti del genere, ed in particolare di Douglas Pearce dei Death in June, a cui il Nostro rimane legato da una profonda amicizia, da un'incrollabile stima professionale e da forti affinità per quanto riguarda la visione del mondo.

"Music, Martinis and Misanthropy", uscito sotto la dicitura Boyd Rice and Friends, rimane nondimeno un'opera imprescindibile per chiunque voglia addentrarsi nel "lato oscuro" del neo-folk.

Torniamo un attimo sul personaggio Boyd Rice. Classe 1956, californiano di nascita, mentre egli si definisce una via di mezzo fra Adolf Hitler e Bambi (si, il cerbiatto della Disney), Wikipedia, più sobriamente, lo descrive come musicista, compositore, archivista, saggista, fotografo e moviemaker. Fra le altre cose è appassionato di arte contemporanea, di culture pagane, ama collezionare Barbie (sì, la bambola), è seguace della Chiesa di Satana di Anton LaVey (con cui ha stretto persino una amicizia negli anni ottanta) ed è un sostenitore convinto del darwinismo sociale: un insieme di cose che lo rende indubbiamente un personaggio assai controverso e non per tutti i palati.

Un cenno veloce su questi ultimi due aspetti. Secondo la Chiesa di Satana, fondata da Anton LaVey a San Francisco nel 1966 (fra i suoi più celebri "iscritti" troviamo Marylin Manson, King Diamond e Dave Vincent dei Morbid Angel), ogni individuo rappresenta "il suo proprio dio" (e per questo ognuno è responsabile del proprio destino), mentre Satana non sarebbe un'entità/divinità da venerare, bensì l'immagine dell'Io nella sua più completa realizzazione. Impossibile non riconoscere in questa visione delle affinità con il "superomismo" nietzscheano, che probabilmente è l'aspetto che più di ogni altro ha attratto Rice (il quale ha persino fondato un movimento tutto suo, l’"Abraxas Foundation", basato sulle dottrine del gnosticismo). Per quanto riguarda il darwinismo sociale, si tratta di terreno controverso ed aspramente dibattuto, in quanto esso prevede l'estensione dei dettami dei principi di Charles Darwin (quelli della selezione naturale e della lotta per l'esistenza) applicati alle dinamiche sociali ed alla Storia. Rice non sembra conferire un valore morale allo logica spietata del prevalere (in natura così come nella dimensione sociale) del più forte sul più debole: egli semmai, in totale opposizione delle tesi più progressiste, accetta questo ordine di cose e guarda al sanguinario susseguirsi degli accadimenti storici con cinico distacco, come se questo fosse un meccanismo neutro ed ineluttabile. Si sarà capito che al Nostro non mancano certo franchezza e peli sulla lingua: una visione del mondo (la sua) che è riassumibile con la celebre massima

"Christs may come and christs may go, but Ceasar lives forever".

Era importante questo cappello introduttivo per meglio capire l'arte di Rice, il quale, attivo come musicista d’avanguardia fin dalla metà degli anni settanta, può essere definito come un pioniere della manipolazione e del rumore radicale (tanto che esponenti illustri dell'harsh-noise più oltranzista come Masami Akita (in arte Merzbow) lo vedono come un punto di riferimento imprescindibile per la loro arte). La sua è una musica violentissima, fatta di suoni dissonanti ripetuti in loop senza grandi concessioni all'orecchiabilità. Eloquente è il fatto che egli sia solito aprire le proprie performance dal vivo sparando sul povero pubblico assordanti sirene anti-raid, come a dire: che il bombardamento abbia inizio! E non è sbagliato vedere le sue sinfonie cacofoniche come una trasposizione in musica della brutalità della guerra, o, in senso più metafisico, di quella spietata lotta per l'esistenza che è professata proprio dal darwinismo sociale. Questo è quello che è stato fatto sotto la ragione sociale NON (suo progetto principale) in album come (l'oramai storico) "Black Album" (1976), "Blood and Flame" (1987), "Might!" (1995), "God and Beast" (1997), come a ribadire, con questo ultimo titolo, la natura immorale e spietata dell'uomo, per metà bestia e per metà dio.

Come si è visto in apertura, tuttavia, nel corso della sua lunga carriera Rice ha a tratti svestito gli abiti del terrorista sonoro, per farsi "cantautore apocalittico" assieme a rinomati esponenti del neo-folk. E proprio nel fondamentale Douglas Pearce, padre spirituale del movimento, egli troverà un valido collaboratore. Nei lavori con il leader dei Death in June, le appassionate narrazioni di Rice (che dietro al microfono si tramuta in una sorta di reader morrisoniano dell'apocalisse) si accompagnano perfettamente ai fraseggi acustici di Pearce ed agli umori marziali tipici del genere. Fra gli episodi più significativi di questo sodalizio artistico citiamo "Heaven Sent" degli Scorpion Wind (1996), “Wolf Pact” sotto la dicitura Boyd Rice and Fiends (2002) ed "Alarm Agents, uscito con l'etichetta Death in June & Boyd Rice (2004), tutti "illuminati" dalla "poetica della Fine" di Pearce, prestata per l'occasione alle visioni ed al pensiero di Rice. Ma il capostipite di questa saga è proprio quel "Music, Martinis and Misanthropy" di cui ci stiamo accingendo a parlare.

Correva l'anno 1990 e il progetto vedeva al suo centro, oltre che Rice (voce e manipolazioni elettroniche) e Douglas Pearce (chitarra), anche Michael Moynihan dei Blood Axis alle percussioni. A fare da contorno a questo strano triunvirato, troviamo il piano e lo zither di Robert Ferbrache (l'allora altra metà dei Blood Axis), le vocalità eteree di Rose McDowall (musa dei Current 93, ma presente un po' dappertutto nelle produzioni del periodo) e niente meno che il basso di Tony Wakeford (che da poco aveva avviato i suoi Sol Invictus): insomma, metà scena del folk apocalittico dell'epoca. Per questo l'opera si può iscrivere tranquillamente fra le più importanti del genere.

Il risultato, nientemeno, è il frutto dell'incontro di tutte queste personalità, con l'ovvia preponderanza della figura di Boyd Rice, "primo firmatario" del progetto. Quindi troveremo, in un onirico sfumare, l'avvicendarsi di sonorità folk à la Death in June e nebulosi scenari di matrice industrial mutuati dagli universi sonori di NON e Blood Axis. Una carrellata di suggestive immagini catturate in un tragico slow-motion, intervallate da interludi ambientali ("Nightwatch", "An Eye for an Eye", "Shadows of the Night", per esempio) in cui a prevalere è un minimalismo che potremmo definire quasi confortevole. In mezzo a questi suoni evocativi (gorgheggi di cori riemersi dalle piaghe dimenticate della storia, orchestre che sembrano comporsi di strumenti non perfettamente accordati, il tintinnio riverberato di un tasto di pianoforte, il lento battito delle percussioni militari ecc.), si erge evocativa la voce calda ed avvolgente di Rice, che si fa intimo confidente, nonché crooner di indubbio fascino.

Se l'apertura ("Invocation") è affidata all'enfasi di voci rallentate che si accavallano in un suggestivo requiem (è l'inizio del transfert: un viaggio visionario che intende scavare a fondo nell'intento di riportare alla luce quel "rimosso" che società e cultura occidentali hanno provato faticosamente ad eliminare dalla coscienza collettiva), con il brano successivo possiamo confrontarci con il nocciolo estremo (da un punto di vista lirico) del platter: quella "People" il cui testo ha suscitato del clamore. Essa è un feroce inno alla misantropia travestito da "dolce ninnananna" acustica, in cui nella prima parte vengono elencate varie tipologie di persone giudicate nocive per la società (persone che mentono, persone che parlano di cose che non sanno, persone che dicono certe cose e ne fanno altre ecc.): un testo pungente esaltato dalle doti interpretative di Rice. Cosa vorrebbe dunque fare egli per liberarsi di tutte queste persone? Riunirle nel Circo Massimo, tutte insieme, e poi...massacrarle, annientarle come facevano gli antichi Romani con i cristiani, gettati in pasto alle belve. "Ci vorrebbe un mietitore, un brutale mietitore...." ed ecco che il Nostro inizia ad invocare una serie di personaggi che potrebbero dare una mano a fare un po’ di “pulizia” in tutto questo "ciarpame umano": Vlad l'Impalatore, Genghis Kahn, Ayatollah Khomeini, Adolf Hitler, Benito Mussolini, Nerone, Diocleziano, Horatio Herbert Kitchener. Una provocazione bella e buona indirizzata proprio a quelle persone a cui è dedicato il brano.

La vocazione revisionista è innegabile, palpabile in tutti i quattordici brani, che siano essi ballate sornione o rarefatti intermezzi ambientali. In entrambi casi, non ci si scompone mai, venendo semmai a prevalere una sicurezza interiore che rende Rice sereno e distaccato anche nell'enunciare le atrocità più inimmaginabili. È questa disinvoltura, probabilmente, l'asso nella manica che ha permesso al Nostro di sopravvivere alle polemiche ed essere rispettato come musicista. Le ballate "Disney Land Can Wait" (già, ci scordavamo di dire che un altro mito di Rice è Walt Disney, le cui posizioni destroidi non sono certo un segreto) e "I'Rather Be Your Enemy" (Death in June fino al midollo) sono persino orecchiabili, mentre in episodi come "History Lesson" (manifesto del Rice-pensiero, nella quale il Nostro rilegge la Storia come una impietosa sequela di delitti, stragi, guerre e genocidi) ad emergere è il lato più teso e marziale del progetto.

Boyd Rice, benché porti avanti la sua battaglia con passione, è forse solamente un arrogante sbruffone che odia l’umanità. E probabilmente l'ascoltatore non sempre si troverà d'accordo con le sue tesi (che vanno comunque sapute leggere ed epurate dagli intenti meramente provocatori). Rimane tuttavia indubbio che egli sia uno che prende il toro per le corna, che afferra senza timore, a mani nude, il nucleo rovente della natura umana, spesso sottaciuto o volutamente ignorato, in ogni caso oscurato, dagli incrollabili tabù della cultura dominante della nostra società. Ascoltare la sua musica significa spogliarsi delle incrollabili certezze che confortano il nostro (quieto) vivere, per tuffarsi senza remore e pregiudizi in un mondo estremo in cui l'uomo, privato della sua razionalità, torna ad incarnare la sua natura ambivalente di dio e bestia insieme.


Discografia essenziale:

NON: “Black Album” (1976)
Boyd Rice/Frank Tovey: “Easy Listening for the Hard of Hearing” (1984)
NON: “Blood & Flame” (1987)
Boyd Rice and Friends: “Music, Martinis and Misanthropy” (1990)
NON: “Might!” (1995)
Scorpion Wind: “Heaven Sent” (1996)
NON: “God & Beast” (1997)
Boyd Rice and Fiends: “Wolf Pact” (2002)
NON: “Children of the Black Sun” (2002)
Death in June & Boyd Rice: “Alarm Agents” (2004)