Folk apocalittico (o neo-folk, o folk noir
che dir si voglia): in pochi ne parlano, nessuno sa cosa sia veramente. Anche
in questa spinosa questione lo staff di esperti di Metal Mirror
vi viene incontro. Il folk apocalittico non è metal? Poco ci importa: fra
i due ambiti non mancano certo i punti di contatto. Si pensi, da un lato, a Michael
Moynihan, leader dei Blood Axis (personaggio ed entità
cardini per capire il neo-folk), che scrive un libro-inchiesta ("Lords
of Chaos") sulla filosofia black-metal e, nella fattispecie, sui
violenti accadimenti che si verificarono all'inizio degli anni novanta in Norvegia
attorno al famigerato Inner Circle. Si faccia attenzione, dall'altro, a
come band quali Agalloch e Void of Silence (giusto per fare due nomi) abbiano incorporato con successo certi stilemi del neo-folk nel loro sound
(si lasci invece perdere, a scanso di equivoci, il folk nordico degli Ulver
di "Kveldssanger", che è un'altra cosa ancora, perché, è
importante chiarirlo subito: neo-folk e folclore popolare sono due cose diverse,
sebbene vi siano delle affinità).
Black metal e folk apocalittico, dunque, due
universi uniti da umori e visione del mondo: uno sguardo severo verso il
presente, uno nostalgico verso un passato irrecuperabile. Ma non solo: il
neo-folk, torbido crocevia fra post-punk, industrial e sonorità
folcloristiche (appunto), è un universo conturbante che vale la pena
scoprire ed approfondire come genere a sé stante. Fatelo con la pratica
guida di Metal Mirror, che sotto mentite spoglie continua a rendere un servizio
al popolo metallico nell'intento di ampliare percezione e conoscenze, e gettare
un ponte su mondi che il cultore del metallo potrebbe gradire per davvero.
L'argomento non è più vergine. Lasciando perdere il classico
"Looking for Europe. Neofolk und Hintergrunde" di Andreas
Diesel e Dieter Gerten, ed andando a guardare solo i testi redatti
in italiano, potremmo citare "Lucifer over London" di Antonello
Cresti e "Death in June: Nascosto fra le Rune", biografia
autorizzata di Douglas Pearce curata dal nostro Aldo Chimenti,
entrambi atti ad inquadrare il “fenomeno neo-folk”, sia storicamente che
culturalmente. Ma nonostante questi sforzi, le ombre rimangono lunghe su un
genere controverso che vegeta ed agisce in un underground di
ultranicchia, nonostante l'incontestabile caratura artistica di certi suoi
esponenti. Metal Mirror, come sempre, dà la sua versione dei fatti, e lo fa nel
modo più semplice: partendo dalla musica.
Se dovessi spiegare ad un bambino cosa è il folk
apocalittico, con tutte le semplificazioni di questo mondo, direi: immaginati
un cantautore con la chitarra in mano, che indossa una maschera beffarda ed una
pesante tuta mimetica. La sua voce è greve e declamatoria, la sua musica è
struggente, profonda, benché semplicissima: accordi elementari di chitarra
acustica, campionamenti industriali a delineare nel sottofondo scenari
apocalittici. I temi di cui egli dibatte sono escatologici, ovvero riflette
sulla morte e sulla fine del mondo. Qualcuno di voi avrà riconosciuto nella
figura sopra descritta Douglas Pearce, leader dei Death in
June, nonché fondatore e padre spirituale dell'intero movimento. Parlare
dei Death in June significa infatti parlare del folk apocalittico: la loro
storia è la storia dell'intero genere.
I Death in June nacquero nel 1981 dalle ceneri dei Crisis,
band punk di estrema sinistra (cosa da tenere bene a mente), attiva verso la
fine degli anni settanta in terra inglese. In essa militavano Douglas Pearce
(chitarra) e Tony Wakeford (basso), futuri fondatori, insieme al
batterista Patrick Leagas, del nuovo progetto Death in June. Quanto al nome della band, Douglas P. sosterrà di aver sentito quello strano monicker uscire dalla bocca di Leagas durante la prima prova della band, ma non sono da escludere dei collegamenti con la famigerata Notte dei Lunghi Coltelli: la tragica resa dei conti che si consumò nella notte fra il 29 e il 30
giugno del 1934, quando si compì, per ordine di Hitler e per mano delle SS,
l’epurazione delle SA (fra i vari motivi vi era il fatto che fra le SA vi
fossero molti omosessuali, cosa non contemplata dal nuovo ordine di cose – ricordiamo
anche che Douglas Pearce è omosessuale dichiarato, altra cosa da tenere bene a
mente). Va detto, in generale, che molte decisioni in seno alla Morte in Giugno verranno prese in preda ad una magica istintualità.
I tre si presentavano sul palco in divisa militare e con un
post-punk di chiara derivazione Joy Division, ma già con dei tratti
anomali per il genere: umori cupi, incidere ossessivo, asperità marziali.
Questo grazie anche all'apporto del nuovo acquisto Leagas, batterista
potentissimo nonché trombettista. Dopo una serie di lavori brevi ("Heaven
Street", "State Laughter") fu pubblicato nel 1983 il
debutto vero e proprio, "The Guilty Have No Pride", frutto di
tre personalità diverse destinate a scontrarsi (Douglas prediligeva
l'introspezione cantautoriale, Wakeford i toni tragici e tracotanti del punk,
Leagas le ritmiche pulsanti e le sonorità sintetiche). La resa dei conti non
tardò a venire ed appena dopo l'uscita dell'Ep "Burial"
(1984), Wakeford fu estromesso poiché aveva aderito al National Front, violando
così il patto secondo cui i Death in June non avrebbero dovuto avere
connotazione politica (ma non sono da escludere divergenze personali ed artistiche).
"Burial" è un lavoro doppiamente significativo. Da
un lato è il crocevia da cui divergeranno i percorsi artistici dei tre
componenti: i Death in June del solo Pearce, i Sol Invictus di
Wakeford (entrambi i progetti destinati a divenire colonne portanti del folk apocalittico)
e i Sixth Comm di Leagas. Dall'altro lato l'Ep viene aperto dalla
paradigmatica "The Death of the West", il vero punto
zero del folk apocalittico. Scritta e cantata da Douglas, essa è una
ballata acustica (la prima di una lunga serie) che già individua come tema
dominante quello del Tramonto dell'Occidente (qui il riferimento è alle
tesi dal filosofo Spengler). Un tema che si ricongiunge a quanto
professato dal movimento industrial capitanato dai seminali Throbbing
Gristle, ambito a cui Pearce guardava con crescente interesse: un'estetica
del brutto che faceva incetta, in modo provocatorio, di nazismo, satanismo,
pedo-pornografia e quanto di più scioccante il mondo occidentale avesse saputo
generare nella sua storia recente (si abbiano in mente le destabilizzanti performance
degli stessi Throbbing Gristle e degli Psychic TV, i quali ebbero
persino dei problemi legali per l’efferatezza dei loro spettacoli). La tesi di
fondo, infatti, era che quel preciso periodo storico (la fine del novecento)
coincidesse per l'uomo con la fase terminale di una malattia che l'avrebbe
portato alla morte, fisica e spirituale.
In modo estremamente personale, il giovane Pearce si
riallacciò a questa visione, cantando la decadenza spirituale di una nobile
Europa, schiacciata dalle istanze materialiste del "Mondo Moderno"
(per dirla à la Julius Evola, altro autore fondamentale per il
genere). Ma Pearce andò oltre edificando un proprio mondo di simbologie atte a
rappresentare (e mascherare) il suo convulso universo interiore, scosso e
lacerato da fratture insanabili. Il pensiero di autori come Nietzsche, Mishima
e Genet (questi ultimi due omosessuali), l'utilizzo della maschera,
la scelta della mimetica come divisa d'ordinanza, l'adozione come mascotte
di un “simbolo di morte” come il Totenkopf (che rappresentava una
divisione corazzata tedesca delle Waffen-SS), le rune (simbolo di un'antica conoscenza
ormai andata perduta), la magick crowleyana: una messa in scena complessa ed ambigua che l'autore non
ha mai voluto spiegare compiutamente e che rimane tutt'oggi terreno di
controversia fra cultori e detrattori della band (ed innanzi a queste sterili
dispute ideologiche, secondo noi il buon Pearce se la ride a crepapelle dietro
alla sua maschera). Ma al di là delle provocazioni (ricordiamoci sempre
dell'ironia e del sarcasmo che si celano dietro all'inquietante paravento della
musica industriale), il sapore delle scarne ballate dei Death in June è quello
della sconfitta, dell'evocazione di un decadimento inarrestabile ed
inevitabile, di cui si può essere solo testimoni impotenti. Una fine da
affrontare a testa alta, forti della propria integrità, ma anche consapevoli
dell’irreversibilità del processo di disfacimento in atto. Da qui l'elegia
per un mondo che non c'è più, il culto della morte, l’ultimo
canto solitario innanzi alla disgregazione di simboli e valori della Vecchia
Europa.
Da un punto di vista meramente stilistico (ossia della
definizione del folk apocalittico come nuovo genere) saranno necessari tre
passi ulteriori. Prima "Nada!" (1985), con ancora Leagas in
formazione, sospeso fra struggenti ballate, umori dark ed ossessivi beat industriali.
Poi "The World that Summer" (1986), viaggio allucinante che
vide l'intensificarsi del sodalizio artistico con David Tibet dei Current
93 (esoteric industrial act dedito alla musica più terrificante che
possiamo concepire): una collaborazione che conferì nuove sfumature alla musica
della Morte in Giugno, sempre più svincolata dagli universi post-punk e
dark-wave, e, di contro, più aderente ai dettami del verbo esoterico
(percussioni, inquieti organi, versacci assortiti).
Ed infine "Brown Book" (1987),
l'opera in cui la transizione ebbe compimento, quello che possiamo definire il
vero manifesto del folk apocalittico. In poco più di mezz'ora
esso condensa l'essenza stesso del genere, a partire dalla minacciosa copertina
raffigurante il Totenkopf: ballate decadenti, torbidi scenari industriali,
inquietanti filastrocche infantili. In questo perfido maelstrom di suoni
grigi e suggestioni mitteleuropee, spiccano certamente i classici "Runes
and Men" (celebre ballata aperta da una fanfara militare) e la
coinvolgente cavalcata dark "To Drown a Rose" (con voce
maschile e femminile a duettare). Per non farsi mancare nulla, dietro alla title-track
troviamo l'Horst-Wessel-lied, l'inno ufficiale delle SA (a creare non
pochi problemi con la censura, e di fatto "Brown Book" è irreperibile
in Germania).
A dettare legge sono la chitarra acustica e la voce alienata
di Pearce, che canta con fiero distacco, come se ci parlasse da un altro mondo.
Chitarre e voce sono squarciate da interferenze rumoristiche e battiti di drum-machine,
generando visioni confuse ed evocando scenari densi di mestizia ed afflizione, apocalittici,
appunto. A dar man forte a Pearce troviamo uno stuolo di collaboratori illustri
che vanno da Jhon Balance dei Coil a David Tibet e Rose McDowell dei Current 93, passando per Ian Read, che a breve entrerà nell'organico dei Sol Invictus (del "rivale" Tony Wakeford) e poi fonderà i Fire + Ice (approfondiremo
in seguito queste band). Anche il continuo "scambio di favori" fra
esponenti dell'ambiente (quella che poi verrà chiamata la "grey area",
indefinibile terra di mezzo fra neofolk ed industrial, e popolata da una
schiera di artisti e band che all'epoca facevano capo all'etichetta World
Serpent) sarà un tratto tipico delle produzioni nel genere, che vedranno in
prevalenza progetti individuali di volta in volta supportati da
collaboratori/amici/compagni di etichetta.
Il "Brown Book" non è probabilmente il miglior
album dei Death in June (vedremo poi come essi sapranno fare di meglio), né
dell’intero genere, ma rimane la fonte battesimale del folk apocalittico
ed in quanto tale rimane un passo imprescindibile per chiunque si voglia
avvicinare ad esso. Data l'importanza storica di questa opera, abbiamo deciso
di assegnarle un posto d'onore in questa rassegna, collocandola
nell'anteprima, mentre con i prossimi capitoli intenderemo far luce sul
mondo del folk apocalittico passando in rassegna dieci titoli che
secondo il nostro arrogante parere inquadrano il genere e lo descrivono nelle
sue più importanti sfaccettature.
Buona
apocalisse a tutti!
Prossime puntate:
Boyd Rice and Friends:
"Music, Martinis and Misanthropy" (1990)
Sol Invictus:
"Trees in Winter" (1990)
Death in June: "But,
What Ends When the Symbols Shatter?" (1992)
Current 93: "Thunder
Perfect Mind" (1992)
Fire +Ice: "Gilded
by the Sun" (1992)
Nature And Organisation:
"Beauty Reaps the Blood of Solitude" (1994)
:Of The Wand & The Moon::
":Emptiness:Emptiness:Emptiness:" (2001)
Orplid: "Nachtliche Junger" (2002)
Blood Axis: "Born Again" (2010)