Immaginate un treno regionale che corre nella notte. Anzi, non corre, va lento, in un tratto qualsiasi di campagna. Non si sa perché va lento. Non c'è ragione plausibile. Ogni tanto addirittura si ferma, per poi ripartire dopo qualche secondo. Non c'è ragione né perché vada lento, né perché si fermi. Ma dove sta andando?
Terminerà, in piena notte, in una stazione deserta, senza atrio, senza biglietteria, neanche di giorno. Forse qualcuno scenderà. Sicuramente non monterà nessuno. Quel treno, l'anno dopo, sarà soppresso, perché si accerterà che in quella stazioncina, raggiunta con lentezza insensata e sfibrante, in realtà non saliva e non scendeva più nessuno a quell'ora.
Ecco, questo è il
funeral doom. Questi i Mournful Congregation.
Il tema della caducità
della vita ricorre in diversi sottogeneri del metal. Nel doom, è il
sentimento di nostalgia di un mondo migliore, ma passato. Il death
insiste sul sarcasmo della morte come ridicolizzazione di ogni
pretesa spirituale, e indugia nei suoi aspetti repellenti. Il gothic
lo utilizza come alibi, per poter coltivare passione e desiderio in
maniera ancor più urgente e struggente, sotto l'assedio della morte.
Il funeral doom, invece, semplicemente non se ne fa una ragione.
La tesi del funeral doom
è che il senso della vita deve coincidere con l'inesistenza, al di
fuori di ogni metafora della vita come lento declino, come decadenza
intrinseca verso la morte. Non è soltanto dire che la vita è un
lento morire, ma che tutto ciò ha un senso, è finalizzato verso una
trascendenza post-mortem. La trascendenza del non-esistere. Se c'è
un Dio, è depresso. Egli ha creato il mondo per tristezza, e con il
progetto di vederlo implodere verso il nulla.
Si capisce come, con
queste premesse, si possa vedere la brina in Giugno. Anzi, la brina
“di Giugno”, cioè un'allucinazione di fondo che porta a credere
nell'esistenza di un Inverno di fondo, a cavallo di tutte le
stagioni. Il compimento ideale dell'Inverno, di questo principio di
disgregazione e inaridimento a cui tutto tende, è l'Inverno
Primaverile, appunto “The June frost”.
Il brano omonimo non ci
spiega di più, essendo un languido strumentale, ma possiamo
rintracciare le coordinate per interpretare quest'immagine qua e là
nelle liriche dei Mournful Congregation.
Correnti di reflusso
frementi disegnano forme di arti infuocati
fluido che alimenta
senza posa le pire eterne
Le fiamme divorano i
semi da cui sbocciano
Spiriti da lungo
inerti si levano in gioioso baccano
Le corde un tempo
armoniose che tengono insieme l'universo
calibrate in maniera
sgraziata
Alone cacofonico di
malattia e distruzione
L'uomo non è altro
che un animale di inimitabile impurità
Ma la sua parte più
impura è lo spirito, vuoto e storto
Impuro è il segreto
di cui ogni uomo parla
Il segreto
dell'impurità
Il catechismo della
depressione, si chiama questo brano intorno all'idea di questo
principio divino che unisce direttamente l'origine al suo
annientamento, come fine doloso. Le fiamme che sbocciano dai semi e
se li divorano prima che qualsiasi vita sia compiuta: la vita è un
conato, che sembra fatta per vivere, ma in realtà lo scopo è farla
nascere perché sia distrutta dal suo stesso fluido vitale, dalla sua
stessa linfa, descritta come fosse lava.
I Mournful sono alla
ricerca di una trascendenza, e in questa sperano di trovare il
“momento” definitivo, anche se si tratta di una trascendenza
dell'assenza. Infatti girano in tondo alla fine.
“Le risposte girano
in orbite circolari, le domande si dissolvono nella luce”
Il mondo è così
ridotto, generazione dopo generazione, a risposte inutili e
inconcludenti, a domande di cui si è persa la memoria. L'impurità di
cui parlano i Mournful è proprio la pretesa spirituale dell'uomo, la
pretesa che esista una trascendenza dell'esistenza. Un Dio positivo.
E alimentano questa idea, quello che è il “segreto di cui tutti
parlano”, affastellando verità che non possono conoscere (le
risposte) su domande che si dissolvono prima di essere definite (si
dissolvono nella luce della trascendenza). O c'è un Dio segreto,
nell'aldilà, che nessuno conosce, o c'è un Dio di cui tutti
parlano, ma è qui tra noi. Invece l'uomo è riuscito solo a dare
risposte infondate sul primo, e a scordarsi che domande porre al
secondo Dio, quello immanente, cioè la Natura.
Nel doom c'è una
tendenza a scivolare verso l'imbuto della verità unica, che sia un
mistero alchemico o una divinità. In questo nasce la sua tristezza,
nella rivelazione della predestinazione. Quando guardi Giugno, e ti
appare la stessa brina di Gennaio, ti rendi conto che tanto, per
quanto tu sole possa immaginarti, confluirà tutto nell'imbuto della
morte. E sul fondo di quell'imbuto ti attende il senso della vita,
per cui i mille rivoli delle verità terrene sono ormai fatui,
insipidi, abortivi. Fiumi nel deserto. La tristezza del doom, e in
particolare del funeral doom, non è nel tema della morte, che di per
sé attraversa il metal da un estremo all'altro: il nocciolo della
tristezza sta nella fede nel nulla, nella trascendenza del
significato supremo, che si colloca fuori, oltre e “contro” il
mondo.
Il Dio del Funeral Doom è
quella stazioncina deserta, il viaggio del Funeral Doom è quello
cancellato dal nuovo orario ferroviario. Forse, sotto sotto, dopo
l'ascolto dei Mournful Congregation, nella loro esasperante lentezza,
che si contende coi primissimi Cathedral il primato, ho finalmente
capito. Ho capito perché quel trenino va lento e si ferma. Sta
cercando di non arrivare alla fine, disperatamente, aggrappandosi e
strusciandosi ai binari come un gatto. Il Funeral Doom è la strenua
resistenza alla morte, quando niente rimane ad incoraggiarti.
L'ultimo litro di benzina che devi far durare il più possibile,
andando più lento che puoi, sperando che magari non finisca mai.
Ecco perché “la brina
di Giugno”, il sogno di poter rallentare talmente il tempo da
ibernare la primavera, e non farla neanche mai svolgere.
A cura del Dottore