"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

20 set 2020

NEPTUNIAN MAXIMALISM, "EONS"


Il 2020, per il sottoscritto, è stato indubbiamente l’anno degli album titanici, dove con titanico intendo riferirmi ad opere di estesa durata e dalle ambizioni smisurate. Saranno stati il lockdown, le restrizioni imposte successivamente, quel clima di asfissia che una epidemia/pandemia inevitabilmente induce, cosicché la mente mia ha avuto bisogno più che mai di spaziare, e quale migliore medium se non la musica? 

Avrei potuto, per qualità dell’impatto metafisico/trascendentale, addentrarmi nel mondo della musica classica, ma per predisposizioni personali ho preferito ripiegare sull’atmospheric black metal che, lungi dall’avermi avvolto in una coltre di malsana estraneazione, mi ha permesso di squarciare il velo della realtà materiale per accedere a "mondi altri" in cui io, almeno virtualmente, potessi muovermi liberamente. Ma non si può vivere solo di atmospheric black metal, ecco dunque che mi è venuto in soccorso questo altro colossale lavoro (quasi due ore ed un quarto la sua durata) partorito dai belgi Neptunian Maximalism, che già dal monicker suonano splendidi alle mie orecchie... 

Oggi tuttavia non si parlerà di metal, perché i Neptunian Maximalism, seppur ascrivibili ad un crossover contemporaneo, dove i generi più lontani (incluso il metal stesso) possono incontrarsi senza tanti problemi, suonano jazz: certo, un jazz dalle ampie vedute e dalle elefantiache movenze, ma pur sempre jazz. Avant-jazz potrebbe essere la definizione più calzante (se proprio bisogna darne una), ma poi per il metallaro i traumi finiscono qui, ed iniziano i piaceri dell’ascolto. 

Un ascolto che, lo dico fin da subito senza remore, sarà appagante per il cultore delle sonorità pesanti, affermazione certificata dal pedigree del mastermind del progetto Guillaume Cazalet, che offre basso e voce ad almeno un paio di band metal del suo paese, gli stoner/doom Bonepipe e i brutal/detah Vorax Virosus

In secondo luogo c’è da ricordare che gli universi metal e jazz hanno sovente colliso, e senza stare a tirare in ballo il death jazzato dei vari Cynic, Atheist e Pestilence (le cui sonorità niente hanno a che fare con la proposta magmatica dei Neptunian Maximalism), basti ricordare tutto quel fermento che si è creato fra ‘80 e ‘90 intorno al geniale e poliedrico sassofonista John Zorn, che osò contaminare il suo jazz estremo al grindcore. Ma nemmeno le partiture schizzate dei Naked City offrono sponde interessanti per comprendere il caos primigenio ricreato in studio dalla big orchestra capitanata da Cazalet, il quale dal metal preferisce pescare certe intuizioni introdotte oramai vent’anni or sono dai Sunn O))). Il drone-metal di Anderson e O'Malley, infatti, rappresenta oggi il miglior collante fra “musica colta” e “vil metallo”: un medium espressivo pacificamente accolto nei salotti dell’elettronica, dell’ambient ed anche del jazz, quando esso si vuol macchiare di suggestioni esoteriche. 

Le buone argomentazioni non mancano, dunque, per avvicinarsi a questo mastodontico (capo)lavoro che non lesina passaggi allucinanti e sferraglianti cavalcate lambenti, nemmeno troppo velatamente, la potenza di certo metal “cosmico”. Già, perché come si capisce dal monicker della band , dal titolo dell’album, “Eons”, e dalle denominazioni delle tre macro-sezioni (“To the Earth”, “To the Moon”, “To the Sun”), il viaggio si compie nello spazio e tutti i mezzi a disposizione per tratteggiare suggestivi ed estranianti paesaggi astrali sono utilizzati: esplosioni di archi dissonanti, esuberanze ritmiche (ben due i batteristi reclutati!), il fragore di un basso ruspante e chitarre distorte a sottolineare i momenti più cruenti, fra tremolo picking degno del più rancido black metal e riff slabbrati di una psichedelia che mette doom e space-rock uno accanto all'altro.

Comprensibilmente la “parola” passa in secondo piano in questo album dalla vocazione essenzialmente strumentale, ed essa presenzierà solo sporadicamente tramite vocalizzi eterei, mantra liturgici e il ruggito di una voce minacciosa che, nel caos di certi passaggi, potrebbe quasi essere scambiata per un growl. Retaggio dei trascorsi brutal-death di Cazalet? Probabile, ma quello che è importante sottolineare, ancora una volta, è come certi stilemi del metal, fino a ieri snobbati con sdegno, siano oggi accolti negli ambienti più insospettabili per arricchire il proprio armamentario espressivo. 

E se mi sento sereno nel parlare di questo album sul nostro blog, al metal dedicato, è perché prima di scrivere questo post mi sono imbattuto nella recensione di "Eons" sul sito Metal Storm, che addirittura tira in ballo il bel “Wanderers: Astronomy of the Nine” della premiata ditta Spectral Lore/Mare Cognitum, titolo che aveva sfiorato la mia mente più di una vola durante l’ascolto, ma che non avrei osato citare con tanta leggerezza. 

A chi infine sono piaciuti gli ultimi lavori di Oranssi Pazuzu o Waste of Space Orchestra (che peraltro il nostro blog ha premiato nella classifica di fine anno dell’anno scorso), certo piacerà anche questa ennesima scorrazzata nelle vastità dello spazio, la quale potrebbe incontrare il gradimento anche degli amanti dell’hard-prog di King Crimson, Van der Graaf Generator e Soft Machine (che, fra le altre cose, sapevano bene come integrare i fiati a riff rocciosi o mood oscuri) e delle scorribande spaziali di Sun Ra, Hawkwind ed ovviamente Tangerine Dream

Ma poiché il viaggio è indubbiamente più dentro alla dimensione spirituale che a quella “meramente” spazio-temporale (lo si capisce bene nella seconda metà dell’opera, caratterizzata da uno smorzamento dei toni, fra esotismi, sitar indiani e catarsi drone ambient), io butterei nella mischia anche Popol Vuh, Third Ear Band e certe “santità” del jazz più “metafisico” come John Coltrane, Pharoah Sanders e Albert Ayler

Questo, ovviamente, è quel che mi sento di dire attingendo dal bacino del mio bagaglio di conoscenze, ma son sicuro che chiunque, purché munito di una bella dose di coraggio per addentrarvisi, potrà trovare in questa opera qualcosa di proprio, eccetto ovviamente i fan di Running Wild e Grave Digger...