Cosa ci fanno uno affianco all’altro
Tom Morello (Rage Against the Machine), Scott Ian (Anthrax), Kirk Hammett
(Metallica) e Rob Halford (Judas Priest) ai bordi di una piscina riscaldata nel
giardino di una mega-villa dell’alta borghesia americana?
Perché questi Quattro Mostri Sacri del Metal
dovrebbero preoccuparsi di dare consigli di carattere sentimentale a uno
sbarbatello adolescente mentre riceve un succhiotto sul collo da una bella
ragazza in bikini nella suddetta piscina fumante?
Ecco, se volete scoprirlo
guardate “Metal Lords”.
Anzi, no. Non guardatelo.
E pensare che avevo persino
attivato la campanella delle notifiche sul mio account Netflix. Per farmi
avvisare dell’uscita del film, intendo. Preso da quella sindrome compulsiva del
metallaro di cui abbiamo recentemente parlato sul nostro Blog.
Eppure, già dal trailer si capiva
chiaramente che non avremmo dovuto aspettarci nulla di entusiasmante. Ma
tant’è…il richiamo del titolo è stato troppo forte...i Signori del Metal…
Ad appena due giorni dalla sua
messa a disposizione in streaming, me lo sono sparato chiuso in camera, ben
isolato da moglie e figli, concentrato e trepidante quasi (e sottolineo il ‘quasi’)
manco avessi per le mani...che ne so...l’ultimo arrivato in casa Ayreon (a proposito: prossimamente
su questi stessi schermi la recensione della recente fatica del Lucassen…)
Scritto da Daniel B. Weiss,
co-sceneggiatore de “Il Trono di Spade”, il film descrive il classico passaggio
dall’adolescenza all’età adulta di due giovani liceali (coming of age,
lo chiamano nel mondo anglosassone). Due reietti, due outcasts, vessati dai
bulli di turno ed emarginati dagli altri pari età. Ad eccezione di un ragazzo
affetto dalla Sindrome di Down.
Uno, Kevin, è un nerd che, quasi
per caso, diventa un batterista autodidatta. L’altro, Hunter, è un patito di
Metal, ha creato la sua propria band, gli SkullFuckers (gli ‘Scopatori Cranici’),
composta da lui e Kevin. Abbandonato dalla madre (non si sa per quale motivo) e
con un padre ricco sfondato, totalmente assente, ha un phisique du rôle
a metà tra Joey DeMaio e Oscar Dronjak. Caratteristiche somatiche, queste, che
sicuramente non facilitano i rapporti con le fanciulle coetanee.
La prospettiva del riscatto per i
due è data dalla Battle of Bands di school-of-rock-iana memoria. Bisognerà
preparare un brano, ovviamente metal. E per esercitarsi, Hunter
consegna a Kevin una lista di brani da imparare. Si va dalla capolista “War
Pigs” fino ad arrivare ai Lamb of God. In mezzo, oltre ai classici brani di
Maiden, Motorhead, Metallica, Dio e Megadeth, troviamo anche altri titoli che faranno la gioia dei metalheads: “War ensemble”
degli Slayer, “I’m Broken” dei Pantera, “I Am the Black Wizards” degli Emperor,
“Schism” dei Tool, “Ratamahatta” dei Seps. E persino “Blood and Thunder” (Mastodon), “The Leper Affinity” (Opeth), “L’Enfaunt
Sauvage” (Gojira) e “New Millennium Cyanide Christ” (Meshuggah). Che
sono poi i gruppi di cui ci viene offerta una carrellata di t-shirts indossate
da Hunter e di poster affissi nella sua sala prove. Quasi come se lo sceneggiatore volesse dirci: Ehi, io il Metal lo conosco per davvero! E
ve lo dimostro!
Si, perché il buon Weiss pare sia
davvero un metallaro sfegatato ma le gioie per i nostri occhi e orecchie
finiscono qui, tra un accenno di “For Whom the Bell Tolls” e la succitata “War Pigs”.
Di cui ci viene proposto un piacevole accenno tramite…violoncello! Ehm, si, proprio
un violoncello. Perché al duo manca un bassista e Kevin prova a convincere
Hunter che la ragazza che lo suona, il violoncello (anche lei emarginata dai
gruppi di coetanei in quanto straniera e affetta da disturbi comportamentali) è
davvero in gamba e potrebbe fare al caso loro.
Chiaramente ci scappa la storia
d’amore, con annesso sverginamento reciproco in un desolato parcheggio davanti
a una sinagoga (sia Weiss che il regista, Peter Sollett, sono entrambi di origine
ebraica). Per la regola aurea per la quale tira più un pelo di f…che un carro
di buoi’ l’infatuazione fa sbandare dalla Via del Metallo il povero Kevin,
fino a condurlo a fare da session man alla band emo-pop della scuola (i Mollycoddle,
‘I coccolatori’), capeggiata dal classico ragazzino ultra-ricco, ben pettinato e
idolatrato da giovani groupies e anch’essa iscritta alla Battle. Del resto,
come biasimarlo, Kevin? Non gli si poteva certo chiedere di continuare ad ammazzarsi
di seghe pur avendo imparato, in quattro e quattr’otto, a suonare la batteria
in doppia cassa.
Come finirà il contest non ve lo
sveliamo. Basti sapere che la song portata dai Nostri, una slayerana “Machinery
of Torment”, è opera dello stesso Weiss. E, vi dirò, almeno quella non è male.
E non solo per il titolo.
Per il resto, la sceneggiatura,
prevedibile dalla prima all’ultima scena, è davvero irritante nella sua
equazione, che si cerca di ribaltare in corso d’opera senza troppa convinzione,
metallaro = integrità = reietto = senza figa.
Patetica e forzata la scena nella
quale Hunter, chitarra elettrica a tracolla, irrompe a lezione declamando una
sorta di Manifesto Metal: Combattere
contro gli dei, farsi largo in territori inesplorati…chi attraversò lo Stretto di
Bering 12000 anni fa? Metal! La gente sulla Mayflower? Metal! E Ulisse? Che
cosa ha fatto? Formò un equipaggio con gli uomini più tosti che trovò e prese
il largo oltrepassando le Colonne d’Ercole, naufragò e morì annegato; e a quel
punto lui fu trascinato all’inferno! Ottavo girone…cosa c’è di più Metal di
questo?!? Solo il nono girone…
Ma, capiamo, le esigenze di uno script per un film pensato per un pubblico generalista esigono semplificazioni, schematismi e un rimanere in superficie.
Però, caro Weiss, passi quello slogan
finale messo in bocca ad Hunter (Le mode vanno e vengono, ma noi no…faremo la
Storia!), passi la pubblicità-progresso contro le droghe, passi pure quel
ridicolo inseguimento in macchina che è davvero un pugno in un occhio…ma il
monicker SkullFuckers mutato in SkullFlowers (‘I Fiori Cranici’) proprio no,
non te lo possiamo perdonare!