"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

9 dic 2022

ADA ROOK - A ME I GIOVANI FANNO PAURA


Questo è il classico album che non reggo per più di due minuti. Ad album così mi ci posso anche avvicinare per curiosità (dai, la copertina è caruccia!), ma poi subito li abbandono sereno, forte delle mie incrollabili certezze. 

Ed infatti l’inizio ostentatamente caotico, la schizofrenia enfaticamente buttata in faccia all’ascoltatore, il disagio oltraggiosamente cacofonico e sintetico del primo brano mi aveva stuccato, ed ero lì lì per passare ad altro quando all'improvviso attacca un cazzuto passaggio di elettronica bella nineties che cattura la mia attenzione e in qualche modo mi irretisce. A quel punto arrivare al termine dei trentacinque minuti di “UGLY DEATH NO REDEMPTION ANGEL CURSE I LOVE YOU” è stato un attimo, forse un errore. 

Ada Rook, classe 1988, vien dal Canada. E' titolare di una miriade di progetti, fra cui il più noto è quello denominato Black Dresses, esperienza condivisa con la quasi coetanea Devi Mcallion (classe '91). Se il termine “noisy-pop” vi dice poco, magari vi aiuta questa definizione che ho trovato online: “The Canadian duo makes catchy, haunted-sounding music about surviving as trans women in an antagonistic world”. 

Nel pochi anni di vita del progetto (dal 2017 al 2022) le due canadesi hanno rilasciato una cosa come una decina di lavori (fra album ed EP), perché oggi non c’è tempo di pensare, pianificare, meditare, bisogna agire e di corsa. Ma nella loro irruenza i lavori delle Black Dresses colpiscono duramente, bucano lo schermo, hanno una urgenza comunicativa che li rende penetranti. A seguito dello split, il cammino di Ada Rook ha proseguito in solitaria. Ad oggi si contano già tre album a suo nome, di cui questo ultimo pare mettere meglio a fuoco le idee rispetto al passato, non peccando di logorrea e ponendosi in un giusto rapporto qualità/quantità: ripeto, 35 minuti bastano ed avanzano per mettere in scena le nevrosi dell’artista e, oserei dire, di una intera generazione di giovani. 

Il fatto è che i giovani, a queste condizioni, mi mettono paura. La stessa violenza che viene fatta sulla lingua un po’ mi disturba, con quel tutto minuscolo o tutto maiuscolo, quel malsano mix di caratteri alfanumerici, abbreviazioni come se uno stesse scrivendo su una chat di un social. Leggo titoli tipo “999999999 IN A DREAM”, “PURGATOR3Y MODULATION ENGINE”, “5H4DOW H34RT7Z” e mi chiedo: sarà questo il linguaggio del futuro?!?  

Ada Rook, che è del 1988, non è nemmeno poi così giovane, ma è molto abile, o cinica, nel rappresentare lo sciame di input che si scontrano in un mondo, quello odierno, dove tutto cozza contro tutto in una perversa logica della iper-comunicazione. 

Quanta nostalgia mi fa il buon Giovanni Lindo Ferretti che cantava “Io sto bene, io sto male, io non so dove stare / Io sto bene, io sto male, io non so cosa fare”. Adesso ci si commuove, ci si dispera, arrabbia, indigna, innamora, si ride, si piange, si è forti e si è deboli nell’arco di un battito di un clic, il tempo di una diretta su Instagram o di un video su Tik Tok

Mi chiedevo, già una decina di anni fa, dove avrebbe portato questa irruente ed incalzante escalation di suggestioni che era il mondo dominato dai social, letto e rispecchiato in menti sempre più ricettive, assorbenti, ma al tempo stesso con capacità di attenzione ridotte e di concentrazione limitate. Poi ascolto un album come “UGLY DEATH NO REDEMPTION ANGEL CURSE I LOVE YOU” e mi sale alla gola lo stesso tipo di angoscia che ho nel vedere gli ultimissimi fenomeni pop, con gente tatuata sul volto (e non mi riferisco alla avvilente scena trap italiana), fisici belli e brutti in grande esposizione (a seconda del messaggio che si vuol mandare), divertimento effimero, inclusione ed emarginazione sociale, risa isteriche e grida di dolore di una gioventù senza punti di riferimento. Eco ovattate, quelle captate in questa musica, che provengono dai movimenti pulsanti di una pista da ballo piena di corpi ma al tempo stesso vuota di umanità (la famosa “Idioteque” dei Radiohead, verrebbe da pensare). 

Nessuna certezza, l'identità di genere è fluida, da un lato la bellezza patinata, dall'altro l'Estetica del Brutto, tutto insieme e mescolato: così oggi è il mondo. E forse il mio “equilibrio” di adulto mi ha tenuto fuori allenamento per troppo tempo innanzi alle criticità della adolescenza e della post-adolescenza per comprenderle appieno. Ed adesso il mio povero cuore di boomer non regge il colpo innanzi a cotanta ordinaria morbosità

Quello che più mi dà i brividi in “UGLY DEATH NO REDEMPTION ANGEL CURSE I LOVE YOU” è la continua copulazione della musica estrema con il pop più mieloso. Il carattere destabilizzante di questa proposta non sta nelle parti brutali, che poi non sarebbero altro che una già edita forma (schizofrenica) di elettronica oltranzista/EBM che va a braccetto con industrial metal e screaming corrosivo (c’è chi lo chiama anche cyber metal). No, paradossalmente a dare più fastidio sono le parti orecchiabili, pervase da un flavour radiofonico che sbuca come se niente fosse dal caos magmatico e ribollente del rumore e ti lascia esterrefatto, facendoti chiedere: ma come puoi cantarmi questo motivetto innocente dopo avermi vomitato addosso tutta la tua ferocia e tutto il tuo odio?  

Indifferenza innanzi a tutto, impassibilità davanti alla migliore cosa del mondo e stessa reazione innanzi alla peggiore: l'implosione per l'insignificante. Ci vuole perizia tecnica per allestire questa complessa messa in scena, ma credo anche che la tecnologia oggi aiuti molto questi assemblatori di suoni e sensazioni. Quanto alla creatività, non saprei, in fondo se prendiamo queste schegge di follia separatamente non vi è nulla di geniale o particolarmente accattivante: il plus sta nell’insieme. 

Sono fermamente convinto che opere di questo tipo si prestino bene ad ascolti mordi-e-fuggi. Indubbiamente ti stordiscono, ma si giovano anche del fatto che non hai il tempo per pensare. Appena ti fermi ed inizi a razionalizzare, il giochetto finisce. Anche per gli appassionati non penso che dischi come questo possano essere consumati dagli ascolti, ma anzi si adotterà la stessa filosofia del “metto un like e procedo oltre”. 

Ada ci sa fare, allestisce il suo personaggio e il suo universo sonoro, ammaestra il caos interiore che intende evocare ed esorcizzare e, come nel mondo social, punta ad inondarti di contenuti, molti dei quali futili, e non senza fake news. Ma ti restituisce una sensazione, questo sì, e non è una sensazione gradevole...