Proseguiamo la nostra carrellata delle imperdibili canzoni della Jimi Hendrix Experience.
Ci eravamo fermati nella prima parte alla numero 5. Ora proseguiamo con la title track del debut album della band. Cioè...
6. “Are you
experienced?” (da “Are you experienced”)
Se la sperimentazione di “Third Stone
From The Sun” miscelava mirabilmente jazz e psichedelia, ora la psichedelia veniva impastata con l’acid
rock dando vita a un mostro di
inaudita visionarietà. Non c’è uso del basso ma un pianoforte che in sottofondo ripete ad libitum lo stesso accordo
mentre sopra Jimi imperversa con mille soluzioni, tecniche ed effetti, dando
sfogo alla sua creatività usando, da pioniere, gli effetti della reverse guitar
(tecnica che adesso ci pare scontata ma che 50 anni fa non lo era affatto!).
Probabilmente la canzone più “strana” ed originale della band dove sembra di
ascoltare la colonna sonora di un incubo indotto dall’LSD.
Capolavoro…
7. “Hey Joe” (da “Are you experienced”)
AYE uscì in due edizioni diverse,
come abbiamo accennato nella prima parte. Ma nel 1997 l’edizione in CD del disco vide in
scaletta diverse bonus tracks. Tra queste, come non citare “Hey Joe” di Billy Roberts, musicista americano
ancora in vita? Hendrix si rivelerà qui, oltre che infinito compositore, anche
ottimo interprete. “Hey Joe” fu una delle canzoni dei sixties di maggior
successo in America, tanto da venire coverizzata centinaia di volte. Ma la più
famosa rimane quella hendrixiana che ipervitaminizza la versione originale,
rendendola di fatto una canzone à-la-Hendrix, grazie anche allo
splendido assolo che parte al minuto 1 e 40” e guida la song verso un crescendo
finale dove il tentacolare Mitchell la fa da padrona. In “Electric ladyland” la
JHE si ripeterà con “Come on (Let the
good times roll)” del bluesman Earl
King e la splendida “All along the
watchtower” di Bob Dylan, ma “Hey
Joe” rimane lo standard perfetto di come dev’essere realizzata una cover.
Chiudiamo con “Are you
experienced” e passiamo al successivo “Axis: Bold As love”, forse più
importante che bello, almeno per me. ABAL, album di mezzo della JHE (uscito sempre nel 1967 come il suo predecessore), è un disco innovativo e pieno zeppo di soluzioni stilistiche particolari.
Quasi tutte canzoni brevi, composte per essere rivoltate dalle più recenti, per
l’epoca, tecniche di registrazione in studio. Il risultato? Un ottimo
album nel complesso, ma con qualche “basso”, se non proprio filler (“Wait until
tomorrow”, “You got me floatin’”, “Little miss lover”).
Ma partiamo: dopo quasi un quarto
d’ora di cambiamenti repentini di linguaggio stilistico (dal grottesco intro
parlato di “EXP” al bel rock jazzato di “Up from the skies”; dall’hard rock
dell’ottima “Spanish Castle Magic” al rhtyhm and blues di “Wait until tomorrow”
fino alla scheggia rock di “Ain’t no telling”) arriviamo a…
8. “Little
wing” (da “Axis: Bold As Love” -
1967)
L’arpeggio iniziale farebbe
scongelare il cuore anche al più duro dei deathmetaller. Atipica ballata di
meno di due minuti e mezzo, è il brano più dolce del platter, grazie anche al
sapiente uso di un metallofono (il Glockenspiel tedesco) e da un crescendo
emozionale lieve, gentile, impreziosito da un assolo di gran gusto. Brano
sintetico ma ultra penetrante.
Della serie: anche il più duro dei rocker ha un
cuore…
9. “If 6
was 9” (da “Axis: Bold As Love”)
Ed eccoci a uno dei capolavori
dell’intera carriera hendrixiana. Brano più lungo del disco, è un coacervo di
sonorità, stili, suoni difficile da descrivere. Fondamentalmente è una
acid-rock song, ma al contempo porta in sé rumorismi
noise, umori blues, vuoti psichedelici e accompagnamenti jazz, in un
contesto di totale destrutturazione del formato canzone. Jimi canta, recita,
parla…il brano si ferma, riparte, accelera, decelera e quando sembra
concludersi, ci regala ancora un minuto di riverberi, assoli in sottofondo,
partiture di fiati…insomma, un casino incredibile!
Per un risultato
incredibilmente perfetto…
10. “Bold as
love” (da “Axis: Bold As Love”)
Potente e melodica, brusca e
languida, la title track che chiude Axis è per chi scrive la top song del
disco, con un lavoro meraviglioso di Jimi che ci fa sembrare quasi di stare
davanti ad un’orchestra. Quando il brano sembra chiudersi, poco prima del 3°
minuto, la song riparte più potente che mai con una coda strumentale guidata da
una chitarra iperdistorta.
Magniloquente...
E chiudiamo con il White Album
ante-litteram di Jimi: “Electric
Ladyland”. Un doppio disco di un’ora e un quarto di musica dove troviamo
davvero di tutto. Esaltato dalla critica, è un compendio della visione musicale
di Hendrix. Tutte le caratteristiche stilistiche dei due album precedenti convergono qui in un tutt’uno coerente e mirabilmente equilibrato. Blues, acid-rock, hard rock, jazz,
psichedelia, proto-metal…Hendrix music al 100%. A differenza del
passato, Jimi si prefigge di registrar un disco più maturo, complesso, inappuntabile.
Il songwriting diviene più articolato, la durata dei brani cresce
esponenzialmente, pur trovando anche brevi e riuscitissimi brani di sintetica
perfezione, come “Have you ever been (To Electric ladyland”), “Little miss strange”, “Long hot summer
night” e…
11. “Crosstown traffic” (da “Electric ladyland” - 1968)
Pur sentendola miriadi di volte,
non ho ancora capito se questa sia una canzone blues, hard o acid.
Probabilmente un mix di tutte e tre le cose. Per un risultato che
è…proto-metal! Le proverbiali distorsioni hendrixiane raggiungono qui un
livello massimale per un risultato adrenalinico, trascinante.
E sembra di
essere immersi nel cacofonico traffico di Manhattan…
12. “Voodoo Chile”
(da “Electric ladyland”)
Canzone manifesto. La più lunga
mai composta da Jimi. Un quarto d’ora di pura, ma anche calcolata, jam session
tra Hendrix e altri musicisti reclutati al club “The scene” di N.Y. (una
ventina in tutto, molti dei quali crearono l’effetto pubblico in sala di
registrazione). Il rock blues che ne scaturisce è fumante, tra parti più
cadenzate altre più adrenaliniche e sezioni rarefatte. Meravigliose le parti
d’organo che ricreano quel tipico sound blues da club fumoso…insomma, la
dimostrazione che il Nostro, anche quando alzava l’asticella (verso se stesso…)
riusciva a creare composizioni articolate ma scorrevoli, pretenziose ma
equilibrate.
Immortale…
13. “Burning of the midnight lamp” (da
“Electric ladyland”)
La canzone che chiude la prima
parte di EL è tra le mie preferite (e, scopro recentemente, anche di Jimi). Una
dolcissima ballata impreziosita da un duetto iniziale di chitarra e
clavicembalo elettrico (suonato sempre da Hendrix). Nella sua struttura
apparentemente semplice, si inseriscono in realtà diversi accorgimenti
complessi inseriti in arrangiamenti che mettono al centro la sezione ritmica
(grande il lavoro di Mitchell durante le strofe) dura e martellante e che fa da
contrasto con il clavicembalo e i cori chiesastici in sottofondo. L’uso del wha
wha dona un ulteriore tocco sognante in una canzone che in appena 220” mette in
grande evidenza l’eclettisimo compositivo di Jimi, sapiente miscelatore di
stili.
14. “1983 (A Merman I should turn to be…)” (da
“Electric ladyland”)
E arriviamo ad un’altra
canzone-fiume, la seconda per durata dell’intera carriera del Nostro. Oltre 13’
e mezzo di grande musica (e con un testo immaginifico e simbolico da
incorniciare). Se "Voodoo chile” era fondamentalmente “solo” blues rock,
“1983…” è molto di più. Accompagnato dal flauto di Chris Wood dei Traffic, Jimi
crea un brano magniloquente, orchestrale, in cui il jazz si fonde con la
psichedelia e un rock dalle venature che definirei epiche. L’interpretazione di
Jimi è soffusa, sentita, calda. Ma anche graffiante. Quando, poco prima del
minuto 5, la musica si ferma e Mitchell gioca coi piatti in sottofondo, parte
una insospettabile sezione ambient, in cui rumorismi assortiti (vengono anche
riprodotti i versi dei gabbiani) e i ricami di chitarra di Jimi creano
un’ambientazione da fiaba. Lunghi momenti liquidi rimandano al titolo della
song e ci immaginiamo Jimi che si sta
trasformando nel Tritone del titolo…le improvvisazioni dei diversi strumenti si
ricompongono, secondo la classica formula jazz, al minuto 11, quando in un
crescendo da pelle d’oca, guidato dall’incalzante batteria di Mitchell, ritorna
il motivo iniziale del brano e Jimi declama l’ultima strofa. Esaltazione dei
sensi…
Ascoltandola mi convinco quanto ancora avrebbe potuto dare alla musica
rock questo Artista così prematuramente scomparso. Solo questa canzone vale una
carriera…
15. “Voodoo Child (slight
reprise)” (da “Electric ladyland”)
Il giorno dopo “Voodoo chile”,
Jimi improvvisa, mentre viene ripreso da una troupe televisiva, la canzone del
giorno prima. Ma ne cambia l’intonazione. Quello che ne esce è una canzone
totalmente diversa dalla sua omonima, molto più rockeggiante e “strutturata”,
tanto da diventare immediatamente un cavallo di battaglia della band in sede
live. Parte col pedale wha wha per scoppiare immediatamente in un rock metalizzato
guidato da un riffone corposo e distorto che farà felici le orecchie di ogni
metalhead. Probabilmente il pezzo più heavy di sempre registrato dall’idolo di
Seattle e l’assolo a metà brano lo dimostra.
Se un Mostro Sacro come Joe
Satriani l’ha definita come il più grande lavoro di chitarra elettrica mai
registrato, il Sacro Graal della tecnica chitarrista e un faro
dell’umanità beh…direi che ogni parola in più sarebbe superflua.
Ed è un bel modo davvero di
chiudere il disco.
L’ultimo disco
della Jimi Hendrix Experience…
A cura di Morningrise