Ai tempi del liceo (prima metà
degli anni ’90), abitando in periferia e dovendomi spostare in centro, la
sveglia al mattino suonava ben presto. Con grande difficoltà mi alzavo e
preparavo un bel the caldo per affrontare la lunga giornata. Ad accompagnare le
mie colazioni per 6 mattine alla settimana, c’era la mitica VideoMusic, emittente che in quegli
anni tra noi adolescenti spopolava (fino a che il poco rimpianto Vittorio Cecchi
Gori se la comprasse e la trasformasse nel 1995 in TeleMonteCarlo 2, tv
generalista).
VideoMusic. funzionava come una radio, con continua rotazione di video
musicali all’interno di rubriche diventate cult (come On the Air, ad esempio).
Grande spazio veniva dedicato anche al rock e, più limitatamente, al metal.
Il mese prima dell’uscita di “Awake” (ottobre ’94) i Dream Theater rilasciarono il primo singolo del full lenght, “Lie”, il cui video per mesi, ogni santa mattina durante le mie colazioni prescolastiche, mi dovevo sorbire, posto che VM mandava in continuazione il relativo video….“Lie” me le rovinò, quelle colazioni.
Piccola premessa: “Awake”,
nonostante sia stata alquanto bistrattato nel corso degli anni, a mio parere è
un disco enorme, un quasi-capolavoro. Quasi perché inficiato da un paio di
brani che sarebbe stato meglio non avessero trovato posto nella tracklist. Ad
esempio gli 11’ della prolissa “Scarred” (brano se non erro, non presente nella
versione in musicassetta proprio per ragioni di durata).
E poi lei, proprio “Lie” (scusate
l’involontario gioco di parole). Sulla scia di “The Mirror”, che la precede in
scaletta e di cui originariamente era stata concepita come una parte, il brano,
non lunghissimo per gli standard del gruppo (ma neppure tanto breve, visto che
ci avviciniamo ai 7’) è un panteroso
pasticcio groove, guidato da un riff granitico ma alquanto anonimo su cui
si innestano strofe amelodiche intervallate da un odioso chorus ancora più
detestabile.
Nonostante avessero a
disposizione brani riuscitissimi e, commercialmente parlando, decisamente più
radiofonici (a partire dal meraviglioso trittico iniziale “6:00”, “Caught in a
Web” e “Innocent Faded”) le menti bacate della label East West (dietro la quale c’era la major Warner), pensarono che
“Lie” avrebbe potuto funzionare da ariete per bucare il mercato, mostrando il
lato più heavy della band, cercando dì replicare l’esito della splendida “Pull
me under” per il pluripremiato “Images and words”. Solo che “Lie” è lontana
anni luce da quel brano capolavoro e il suo video, basato su frenetici e
vorticosi movimenti di telecamera, velocizzazioni improvvise dei frames capaci
di far vomitare anche il più scafato dei marinai, e una disturbante
ambientazione metropolitana immersa in colori freddi e grigi, è quanto di più indisponente
abbiano prodotto i D.T. in quella fortunatissima prima metà degli anni ’90 (da
notare come per tutto il video non compaia mai il grande Kevin Moore. Si sarà
rifiutato di prestarsi a quest’orribile videoclip? In ogni caso approviamo la sua
scelta...).
E’ vero, nelle tante e tante ore
di musica che si sono succedute in tutti gli ultimi 5/6 album, di canzoni
indisponenti dei D.T. ne possiamo trovare a bizzeffe, ma, seguendo le
indicazioni del nostro Dottore nella sua splendida Anteprima, siamo voluti
andare proprio su quei dischi cui siamo più affezionati, scegliendo sì arbitrariamente ma tra
gruppi che rientrano nei nostri preferiti, nei nostri primi amori, che
almeno per un po' sono stati i nostri idoli. Si può essere indisponenti suonando coi piedi così come suonando in
maniera che più raffinata non si può. E, da un punto di vista tecnico,
per carità “Lie” non è suonata diversamente dagli altri brani, vale a dire
divinamente. Ma è proprio quel riffone scontato, quell’odioso chorus (“Don’t
tell me you wanted me / Don’t tell me you thought of me”) tirato via a spregio; o ancora l’insulso bridge “parlato” da LaBrie (Nella tua città sono tutto solo
/ e non posso rimanere a fissare il telefono / Voglio parlare degli errori di
tutta una vita / e puoi dire al tuo patrigno che ho detto così!) che ci rende la canzone odiosa.
“Lie” rimane ancora oggi una
skip-song da estirpare come una parte malata dal corpus del platter, che
abbassa la media voto del disco. Ma soprattutto calza a pennello con la nostra
concezione di canzone indisponente.
Indisponente e, nel mio caso, pure indigesta...
A cura di Morningrise