Il 47 di Firth Street è ubicato nel bel mezzo di Soho, west-end di Londra. A quel civico si trova uno dei
locali più caratteristici del quartiere, il Ronnie Scott’s Jazz Club. Un locale a metà tra il lounge bar e il pub, dal design curato, elegante ed esclusivo. Ed è lì che il Teatro dei
Sogni, il 31 gennaio del 1995, ha deciso di deliziare la platea con un omaggio
a tutti quei gruppi/artisti che avevano avuto un’influenza decisiva sulla loro formazione
musicale.
Da Elton John ai Padri dell’hard
and heavy (Led Zeppelin e Deep Purple), toccando i Mostri Sacri del prog rock
anni settanta: Pink Floyd e Genesis. Ma si era a Londra: come non ossequiare anche i
Queen? E, d’altro canto, si può omettere un atto di riverenza verso i gruppi storici loro connazionali, come Kansas,
Journey e Dixie Dregs? Certo che no...
Ora, tutto questo lo si può fare
banalmente, con riproduzioni pedisseque delle compisizioni originali; oppure se ne può cogliere lo spirito ma con una reinterpretazione decisamente personale (e magari con medley di oltre 10’, giusto per "farci stare più roba possibile"). Indovinate Petrucci&co che
soluzione scelsero in quel lontano 1995?
Ecco, appunto…il risultato? Un breve EP di 58'... giusto perché nulla va sprecato e ogni nota suonata è degna di essere condivisa con i propri fan. Del resto un “Extended Play” dev’essere appunto extended.. Dizione presa alla lettera dai cinque musicisti.
Portnoy a scanso di equivoci fu chiaro: qui abbiamo solo un brano inedito (peraltro risalente alle session di “Images and words”) e nonsiamai che i nostri fan credano che questo sia un nostro nuovo album in studio. Dio ce ne scampi, caro Mike e ti
ringraziamo per averci deliziato con un’uscita che, a conti fatti, segnò lo
zenit di una band che, da "Falling into infinity" in poi, perse quella magia che
l’aveva contraddistinta per tutta la prima metà degli anni ’90.
Se della title track non mi sento di spendere neppure una parola, visto che Metal Mirror ne ha già diffusamente parlato con i nostri Mementomori e Lost In Moments inserendola meritatamente nella Rassegna sui migliori brani lunghi del Metal, è la seconda metà dell’EP, con le cover succitate, che incanta. Incanta per la capacità della band, all’epoca, di trasformare in oro qualsiasi nota prodotta, con la consapevolezza e la forza dei Grandi, di chi sicuramente si sentiva quasi onnipotente, modestamente parlando vista la personalità degli autori. Gli abnormi successi di pubblico e critica lasciava campo aperto alle volontà dei newyorkesi, tanto da potersi permettere qualsiasi cosa. Uscendone vincitori.
Sì, i Dream Theater vinsero la sfida
di quel 1995 visto che le versioni dei brani coverizzati interamente ne escono
rivitalizzati, con un trasporto e un amore che trasuda da ogni singolo
passaggio; e quelli sminuzzati per esigenze di medley, come quelli dei Led
Zeppelin, vanno a comporre un puzzle uniforme e coerente, di fatto una nuova
canzone made in Dream Theater di superba qualità.
La conclusiva “The Big Medley” poi è la summa dell’ardire concettuale della band, ma anche della sua padronanza totale dei mezzi espressivi e della sua chiarezza di idee, fondendo in un unicum affascinante l’austera epicità di “In the Flesh?” (Pink floyd) con il fumante incedere hard and heavy di “Carry on wayward son” (Kansas); l’heavy sinfonico di “Bohemian Rhapsody” con la giocosità bluesaggiante di “Lovin’, touchin’, squeezin’” (Journey) per chiudere con le galoppate di “Cruise Control” (Dixie Dregs) e “Turn it on again” (Genesis).
Concedetemi di chiudere con una
nota personale: l’accoppiata “Funeral for a Friend / Love Lies Bleeding”
(recuperata dal capolavoro di Elton John “Yellow Brick Road” del 1973) è uno dei vertici emozionali della
carriera tutta dei Dream Theater, quasi 11' di pelle d’oca che raramente i Nostri riusciranno a (ri)generare nei loro successivi 25 anni di carriera…E scusate se è poco.
EP fenomenale, non si discute.
A cura di Morningrise