"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

29 set 2019

I MIGLIORI EP DEL METAL - "V EMPIRE OF DARK FAIRYTALES IN PHALLUSTEIN" (CRADLE OF FILTH)


Ricordo distintamente di aver combattuto con il dubbio della fregatura a proposito di questo EP da cui ero fastidiosamente attratto per via di quella sete di Cradle of Filth che allora avevo (correva l'anno 1996).

E così alla fine, dopo vari tentennamenti, in attesa dello strombazzato “Dusk and her Embrace”, ripiegai su questo episodio breve, che si colloca a tutti gli effetti come secondo lavoro della band inglese.


Soprattutto per scelte sonore e per la manifestazione sempre più vigorosa di un gusto per l'intricato, i Cradle of Filth cambiavano pelle e non solo a livello sonoro. Parevano introdurre elementi di Burlesque, casomai non avessero funzionato quelli seri. “Avventure oscure nel paese della fava”: no, non è un titolo di un film porno d'autore italiano, ma un titolo di vampiri ormai goliardici che contrappunta il titolo alternativo “V Empire”, puerile gioco di parole (Vampire Empire). Alcuni affermano che Phallustein sia un gioco di parole tra Phallus e Palestine, ma di vampiri palestinesi non c'è grande tradizione, né mi risulta il mito di grande fave palestinesi.

Detto questo, alla fine i Cradle of Filth avevano un po' capito - non senza autoironia - che il filone dei vampiri erotici tipo Carmilla inevitabilmente si sputtanava da solo,tra sesso lesbico e sadomasochismo. La linea di Dani Filth fu proprio questa: cavalcarne lo sputtanamento. Uno sputtanamento che inizia, badate bene, in grande stile perché non si arriva subito al vampirismo “acido” e al black gothic semplificato dei dischi successivi. "Dusk and her Embrace" e "Cruelty and the Beast" resteranno su livelli elevati di composizione e lirismo, ma il cambio di marcia è denotato dallo spostamento progressivo dell'interesse dal vampirismo romantico al feticismo e all'esibizionismo sadomasochistico.

La sottile linea tra vampirismo concettuale e l'esibizionismo vampiresco viaggia proprio sulla segretezza, sulla clandestinità della figura del vampiro. Un essere leggendario perché forse non esiste, forse solo una interpretazione di malattie nervose, di epilessie, di raptus inspiegabili, o anche nascosto in elementi della natura come pipistrelli e lupi. Non leggendario per l'abitudine di indossare lenti a contatto colorate, insomma, ma per qualcosa di più sobrio e non visibile per quello che è: un vampiro costretto a travestirsi per coprire un aspetto sgradevole che invece è fallace. Il vampiro romantico è quello di Renato Zero che dice: “E mi travesto perché la vita mia, mi riconosca, e vada via”.

I primi vampiri, quelli degli storici film gotici, si atteggiavano a maggiordomi di loro stessi: sinistri, ma certamente poco psicologici. Una sorta di supereroe negativo, di cui tutti conoscevano la natura e la trasformazione, quasi fosse programmata con la radiosveglia, per poi insulsamente ruotargli intorno o far finta che fosse difficile sbarazzarsene (basta aspettare il giorno e piantargli un palo di frassino nel cuore mentre il poveretto giace inerme nella bara).

Il "Dracula di Bram Stoker" di F.F. Coppola ha, in ritardo di decenni, sostanzialmente rilanciato la figura del vampiro romantico, riaccendendo il cuore del vampiro e il colore del sangue. Il vampiro fu anche riletto in chiave espressionistica, come materializzazione delle paure e quindi “brutto, sgraziato, storpio, alla ricerca di una sanazione e di una presentabilità impossibili, con la metafora della nave di Nosferatu che si avvicina al mondo, il vampiro come ombra ecc. Geniale in questo senso la trovata coppoliana dell'ombra che non rispetta i movimenti della figura: non solo violazione delle leggi fisiche, ma anche metafora della tragedia interna del vampiro, dell'impossibilità della sua esistenza in una unità spazio-temporale (egli vive per un amore già morto).

Infine, il vampiro metaforico, come in "The Addiction" di Abel Ferrara o "Wampyr" di George Romero, nei quali sostanzialmente si riprende il vampirismo come interpretazione superstiziosa di fenomeni naturali, molto poco misteriosi e molto disturbanti nella loro cruda umanità, come la tossicodipendenza o la diversità.

Tornando a Dani “il Laido”, egli opera la scelta verso un vampirismo da consumazione obbligatoria e comincia da questo EP a stagliarsi come figura frontale in una isterica concorrenza d'immagine con le vampire delle copertine. La sua frenesia si trasforma in stizza: quasi come in un audiolibro Dani cerca di strizzare i suoi testi tentacolari dentro le linee vocali, ai limiti dell'ultrasuono. Un pipistrello logorroico, un fantastico pipistrello, il migliore che il metal abbia mai avuto.

Il rifacimento del classico "The Forest Whispers My Name", stiracchiata e accelerata rispetto alla versione originale, si piega a questo nuovo vezzo, anche se a rendere meglio saranno i brani nuovi. "Queen of Winter, Throned" replica “The Black Goddess Rises”, ma la dea nera non è lasciata risorgere con calma, semmai la si evoca a calci contro la bara.

Quanto all'erotismo, sinceramente il solo accostamento di Dani Filth al mondo del sesso mi lascia dubbioso; trovo semmai più erotico il Nosferatu di Murnau, ingobbito che somiglia a Raimondo Vianello.

L'estetica è sempre più “cura del dettaglio estroso", l'erotismo si fa sessualismo oggettuale e la luce aumenta in maniera innaturale per chi debba parlare di vampiri. L'empietà di Dani il vampiro è trasgressività che fa sbadigliare il buon Dio:  niente a che vedere con il titanismo di quel Dracula che maledice Dio e che rifiuta la salvezza per condannarsi all'eterna ricerca di un amore impossibile. Il vampiro non può consumare l'amore se non uccidendo l'altra persona, perché ha un vuoto di sangue, d'amore, di calore. Il buon Dani consuma senza consumare in un'orgia di immagini e suggestioni multisensoriali che lo fanno somigliare molto alla figura della Contessa Bathory: frenetica, vorace insanguinata, ma non sanguigna.

Tanto per capirci: l'immaginario erotico di Dani vira verso quello pasoliniano, usato come ispirazione per "Babalon A.D." e quindi a ritroso anche al Marquis de Sade, che niente ha a che vedere con la mitologia vampirica, ma riguarda piuttosto la pornografia sadomasochistica (of dark blood and fucking).

La sopraffazione dell'altro, tra orgasmo sadico e ebbrezza di potere, non era il problema di Dracula e di tutta la stirpe dei vampiri, che si dolevano semmai del sangue sottratto (anche se ci avevano fatto il callo…). L'universo lirico ed estetico ritratto dai Cradle of Filth richiama piuttosto “Intervista con il Vampiro”, dove i vampiri sono talmente rilassanti nel loro vampirismo libertino da far sospettare che non ne abbiano alcuna necessità e che siano stati solo presi dal gusto di dissanguare, piuttosto che condannati al bisogno di farlo.

Ma, soprattutto, il compiacimento tradisce l'assenza di tragicità: il vampiro è condannato a desiderare invano tramite il sangue mortale una vita che non potrà più avere e un'immortalità che non sarà mai divina, ma solo vita allungata (L'amata piange un'ombra che si allunga....She mourns a lenghtening shadow...). Il vampiro dominatore consuma la sua caducità come un qualsiasi altro essere umano, nell'illusione di forza e immortalità che il suo potere gli conferisce, ma che non lo illumina su niente che non sia se stesso e la sua irrisoluzione materiale.

In “V Empire”, i temi sono ancora fermi al disco precedente: il sangue è la vita, il regno della carne che si rinnova all'infinito, il dialogo speculare con la natura, la sessualità. Ma il vampiro di seconda generazione pare non accettare che debba riposarsi nella bara: vuole rimanerne fuori anche di giorno, posa per i fotografi, si concentra sulle inquadrature, diventa un front-man e non un retro-man.

In cielo splende il profilo di una lurida luna ("Queen of Winter, Throned"): splenderà ancora per un po' di luce riflessa...

A cura del Dottore

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