"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

23 ott 2019

COSA E' METAL E COSA NON LO E': I KING GIZZARD & THE LIZARD WIZARD NON LO SONO - LIVE AT ALEXANDRA PALACE, LONDON (05/10/2019)


Ci si è spesso chiesti in redazione se il suonare/essere metal sia una questione meramente stilistica oppure culturale: ossia se il metal sia semplicemente un insieme di stilemi musicali oppure vi debba anche essere un senso di appartenenza per potersi definire heavy metal a tutti gli effetti. Sinceramente mi sono sempre schierato a favore della prima scuola di pensiero, sostenendo a spada tratta che il metal nasceva nell'anno 1970 con i Black Sabbath e con il riffing pesantissimo di Tony Iommi. Eppure, assistendo tempo fa al concerto dei King Gizzard & the Lizard Wizard, che con il metal hanno a che fare solo in maniera tangenziale, ho avuto qualche ripensamento al riguardo. 

Se dalla pesantezza sabbathiana, infatti, rimuoviamo l’oscurità o la carica epica di certi passaggi, quanto rimarrebbe di metal e quanto invece di rock progressivo o psichedelico? E se addirittura prendessimo del crudo e veloce thrash metal e lo trasformassimo in una farsa goliardica per nerd, potremmo continuare a considerarlo heavy metal? 

King Gizzard & the Lizard Wizard costituiscono un caso anomalo nel panorama musicale odierno: osannati da molti e da altrettanti liquidati con sufficienza come degli artisti derivativi, gli australiani hanno pubblicato quindici album in poco più di sette anni (di cui cinque usciti nel solo 2017!), facendosi un nome fra i nostalgici del rock. Nel corso delle numerose uscite discografiche, il loro revival ha saputo annettere gli elementi più vari: dal garage all’acid-rock, dal progressive alla psichedelia, passando persino dall’heavy metal. La loro opera di collage non è malvagia e si capisce che i Nostri ci sanno fare: il resto lo fa il marketing, a partire dalle belle copertine e dal merchandising.

Se fino a ieri si è trattato di sparare qua e là qualche bel riffone sabbathiano (una scelta comunque coerente con quegli umori che sono il contesto privilegiato entro cui si muove da sempre la band), con l’ultima prova in studio, “Infesting the Rats’ Nest”, ci si è gettati senza ritegno nelle braccia del thrash-metal ottantiano. E quando affermo questo non compio iperboli da scribacchino che vuole solo incuriosire il lettore: il sound del collettivo (ridottosi a trio per l’occasione) si fa per davvero duro, tirato, veloce. La vena psichedelica si fa da parte, scalzata da tempi sostenuti e riff taglienti conditi da vocalità aggressive e assoli al fulmicotone, proprio come accadeva nei primi album di Metallica, Slayer e Megadeth, quando il thrash si stava ancora formando (e in questo non sono fuori luogo gli accenni frequenti agli imprescindibili Motorhead). 

L’approccio ironico e parodistico che da sempre caratterizza le gesta dei Nostri (basti visionare il simpatico videoclip con cui era stato lanciato qualche mese fa il singolo “Planet B”) riconduce questa svolta alla visione artistica della band, che adotta un concept fantascientifico di taglio distopico e lo aggiorna alle tematiche ambientaliste di cui si parla molto in questo periodo. L'aver optato per il metal come medium espressivo, stando agli autori, è stata solo una scelta coerente con le fattezze del mondo che l’album intende rappresentare, ossia un mondo involuto, violento, imbarbarito, povero di contenuti: dichiarazione che probabilmente non troverà d’accordo i metallari che certo non descriverebbero in questo modo il loro genere musicale preferito. A nostro avviso, però, l’idea di indurire i suoni oltre il consentito è stato anche un modo per mantenere l’attenzione del pubblico, laddove pareva sopraggiungere un calo di ispirazione. Niente di stravolgente, se si pensa che la musica dei King Gizzard & the Lizard Wizard è in fondo un tritacarne in cui vengono gettati i generi più disparati, metabolizzati, rielaborati e dati in pasto a giovani che per motivi anagrafici non si sono potuti godere di persona certe sonorità nel momento del loro massimo splendore. 

Quanto alla rivisitazione della materia metal, il risultato sarà gradito tanto più che certe sonorità non sono masticate da chi ascolta: lo scimmiottamento si ferma infatti in superficie, non bissando nemmeno lontanamente la genialità compositiva di chi, quegli stessi stilemi, li inventava oramai quasi quaranta anni fa. Per chi il metal lo conosce, l’ascolto di “Infesting the Rats’ Nest” è infatti una esperienza assai trascurabile in quanto in trentacinque minuti di sferragliante thrash/speed metal non si ha per un solo istante l’impressione di ascoltare metal. 

Dal vivo la sensazione non cambia, nemmeno in occasione di quei quattro brani che sono stati chiamati a rappresentare l’ultima uscita. La solennità delle terzine di batteria (ben due i batteristi presenti sul palco), accompagnate dal fruscio di feedback delle chitarre (ben tre, qualora due non bastassero) dell’openerSelf-Immolate” sembra voler evocare l’incipit di “Raining Blood”, ma anche qui la tensione che procura il vero metal è cosa non pervenuta. 

Qualche avvisaglia delle impressioni generali sulla serata l’avevo già avuta dal gruppo spalla, di cui non ricordo il nome. Un set dignitoso quanto inconsistente. Sul palco danzano dei riff che baldanzosi si abbassano e si alzano di tonalità, si impennano e si inaspriscono, sì, come insegnava la mano di Tony Iommi agli inizi degli anni settanta; ci sono gli energici contro-tempi di Bill Ward, c’è la voce effettata di Ozzy Osbourne. Il problema non sono quei quattro giovani sul palco, i loro occhiali da sole e le loro camice sgargianti. Il discorso va ben più a fondo: durante la loro esibizione ci si rende conto di quanto ancora i Black Sabbath dei primi lavori fossero più vicini al rock psichedelico che al metal per come si sarebbe poi imposto nel corso degli anni ottanta. Paradossalmente, negli stessi anni, Led Zeppelin e Deep Purple avevano un’attitudine più heavy metal, e se non fossero intervenute band come i Judas Priest, il metal come movimento probabilmente non si sarebbe generato, rimanendo un insieme di stilemi appannaggio di qualche band hard rock con ambizioni di pesantezza più spinte rispetto alla media o di band progressive con maggiore voglia di osare in termini di durezza (non era in fondo heavy metal il riff portante della mitica “21th Century Schizoid Man" dei King Crimson?). 

Ma torniamo ai King Gizzard & the Lizard Wizard, che avevamo lasciato a "Self-Immolate". Il secondo brano in scaletta, “Mars for the Rich” (la più motorhediana del nuovo album), continua a mostrare il lato più aggressivo della band, ma con il trittico “I’m in you Mind”/“I’m not in your Mind”/ “Cellophane” (da “I’m in your Mind Fuzz”) capiamo che la cosa che riesce meglio agli australiani è la psichedelia: una psichedelia schizoide e contorta che viaggia spedita ai limiti del kraut-rock.

Con “Crumbling Castle” (l’episodio sabbathiano di “Polygondwanaland”) le chitarre tornano a ruggire e riffoni cadenzati si propagano sulle nostre teste, ma è una pesantezza che ancora possiamo definire pre-heavy metal. L’accoppiata “Venusian 2” e “Planet B” (estratte dall’ultimo album) tornano a pestare duro, ma, anche a giudicare dal pubblico, sembrano due divertissment messi lì per far pogare i giovanissimi: un bello scherzo che infatti dura poco, visto che queste presunte zampate metal vanno e vengono come parentesi in un contesto dominato da suoni di altra natura. Da un lato il rock’n’roll scanzonato con tanto di armonica a bocca del penultimo album “Fishing for Fishies” (celebrato ben tre volte sul palco con “Plastic Boogie”, “This Thing” e "Boogieman Sam”); dall'altro i consueti trip psichedelici che toccano l'apoteosi con la superba “Rattlesnake” (da “Flying Microtonal Banana”), accompagnata da visual al limite dello shock epilettico. Concludono degnamente le danze le melodie decadenti di “Float Along – Fill your Lungs” (dall’album che porta lo stesso titolo) e l’impressione che lascia è quella di un band davvero in palla e, in generale, di un bel concerto. 

A me stanno veramente simpatici i King Gizzard & the Lizard Wizard e, a dirla tutta, li apprezzo anche artisticamente (altrimenti non sarei andato a vederli dal vivo), ma per cortesia, il metal lasciatelo a chi di competenza...