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29 nov 2021

I MIGLIORI ALBUM DI ATMOSPHERIC BLACK METAL - PAYSAGE D'HIVER: "IM WALD" (2020)



Punto e a capo: si riparte dalla Norvegia. Burzum, DarkthroneEmperor, Ulver sono nomi che sicuramente hanno avuto un influsso nella modellazione dell’entità Paysage d’Hiver, che scegliamo come ultima degna tappa nella nostra rassegna sull’atmospheric black metal.
 
Il monicker in francese, in verità, risulta fuorviante nel localizzare il progetto, che vede la sua base operativa a Berna, in Svizzera, più precisamente nel cantone tedesco. Ed in lingua tedesca sono redatti gli scarni testi che corredano le astratte visioni di quella che potremmo annoverare fra le esperienze atmospheric black metal più entusiasmanti di sempre. 
 
La validità della proposta viene certificata dalla presenza in cabina di pilotaggio di tale Wintherr, nome d’arte di Tobias Mockl, noto ai fan dei Darkspace con lo pseudonimo di Wroth
 
Paysage d’Hiver, in verità, non è da considerare come un semplice progetto parallelo, in quanto preesistente ai più noti Darkspace e portato avanti negli anni con maggiore regolarità rispetto agli stessi Darkspace, fermi discograficamente al 2014. La ricostruzione della folta discografia vergata Paysage d’Hiver, tuttavia, risulta più semplice oggi, nell’era digitale, che nello scorcio finale degli anni novanta, quando i primi demo venivano registrati. 

Non era quello il periodo più radioso per il black metal. I fasti della stagione norvegese stavano iniziando a sfumare e il black metal era in procinto di entrare in una fase di incertezze: come accadde nella biblica separazione delle acque ad opera di Mosè, si distanziavano le posizioni di coloro che cercavano di recuperare uno spirito proto-black radicato nel punk e in certo thrash metal primordiale, e quelle di chi tentava la via della sperimentazione, in certi casi abbandonando la nave del black metal stesso. Fortunatamente questa sarebbe stata solo una fase temporanea, perché il black metal sarebbe presto rifiorito (inaspettatamente) negli Stati Uniti, e da lì si sarebbe propagato al resto del mondo. 
 
Questi sforzi di contestualizzazione, in verità, sono irrilevanti quando si parla di un autore a cui non sembra fregare un cazzo di quello che accade là nel mondo dei vivi e che ha maturato un percorso artistico del tutto autoreferenziale. Ora, che sia o meno una leggenda metropolitana (anzi, montana!) il fatto che il Nostro ami dimorare in una baita sperduta in mezzo alle montagne poco ci importa, ma resta incontestabile la purezza di una visione artistica che negli anni ha dimostrato la costanza di portare avanti lontano dai riflettori un percorso virtuoso fatto di lavori estremamente validi, ma ignoti ai più. 

Il paradosso di questa misteriosa creatura, infatti, è di avere all’attivo una miriade di pubblicazioni, ma al tempo stesso di aver ufficialmente debuttato nel mercato discografico solo nel 2020 con “Im Wald”, primo full-lenght della one-man band dopo più di venti anni di carriera (un secondo album, “Geister”, è invece uscito quest'anno, a rimarcare la prolificità del progetto). Il resto delle pubblicazioni risultano essere demo e split, usciti su svariati supporti e non sempre facilmente reperibili. Una discografia, quella di Paysage d’Hiver, che rispecchia le medesime dinamiche misantropiche che ammorbano la sua sprezzante (non) diffusione: lavori molto diversi fra loro, diversi nell’approccio, nei suoni, dalla durata e dalle caratteristiche assai variabili, e dalla qualità altalenante, a seconda degli umori del momento. 

In un momento imprecisato del 1999, usciva il manifesto “Paysage d’Hiver” (autocelebrativo fin dal titolo), il quale andava a sistematizzare ad un livello superiore quelle intuizioni che erano state seminate nei lavori precedenti. Che si battessero velocità mesmerizzanti (“Welt aus Eis” - quasi diciannove minuti) o si trascinassero annaspanti mid-tempo (“Gefrorener Atem” - quasi diciotto), emergeva la straordinaria capacità nel descrivere desolanti paesaggi invernali, con il supporto di una produzione lo-fi che, confondendo gli strumenti tra loro, evocava continuamente l’idea di tormenta, ghiaccio, gelo, neve. Val sempre la pena ricordare i sensazionali ultimi minuti di “Der Weg“ (altri diciassette minuti e mezzo), con riff in sospensione scanditi da solenni colpi di piatti che ricordano il Burzum più catartico, la voce che si fa suono disarticolato perso nel marasma, mentre imponenti tastiere e chitarre arpeggiate (senza che il distorsore sia stato spento) tessono un requiem ambientale nel quale l’ascoltatore non può che lentamente annullarsi.  

I cinquantaquattro minuti di "Paysage d'Hiver" sono forse la miglior porta d'ingresso per accedere alle lande innevate descritte da Wintherr, ma per tenere fede alla coerenza della nostra rassegna, che intende trattare i migliori album dell'atmospheric black metal, andremo a descrivere l'ufficiale "Im Wald", le cui due ore di durata offrono un'eccellente panoramica sulle potenzialità artistiche del nostro uomo. 

Una produzione grezzissima fa da cornice ad un viaggio di ben tredici tracce di notevole lunghezza che rispolverano i fasti di Darkthrone e Burzum: velocità esecutiva, grandi intuizioni melodiche e necessarie pause riflessive sono alla base di un prodotto che si pone agli orecchi dell'ascoltatore senza offrire indulgenza alcuna. E colpisce, ancora nel 2020, un lavoro così estremo e senza compromessi, volutamente ostico ma al tempo stesso ammaliante. 

La copertina incornicia un notturno forestale in cui il viandante, solitario, si fa strada nella selva oscura ("Im Wald" significa "Il Bosco"): una quiete apparente che cozza con la violenza espressa nel platter, ma che evoca l'idea di un cruento viaggio spirituale. Ferocia ed introspezione procedono mano nella mano, in un equilibrio dinamico sospeso fra velocità e mistica ambientale, come se la tempesta incessante descritta con le note fosse la descrizione delle turbolenze dell'interiorità. A confermare l'idea di un unico viaggio esistenziale, la decisione di concatenare i brani fra di loro, saldati dal sibilare del vento e da rumori indecifrabili che caricano l'opera di sinistri connotati metafisici, come accadeva in “Nattens Madrigal”, opera che verrà in mente in più di un frangente. 

Premuto play, ci si mette qualche istante per capire cosa sta accadendo. Un tripudio di distorsioni con batteria che frulla velocissima in lontananza ed una voce che affoga nel caos investe l’ascoltatore: una tormenta di suoni al vetriolo nei quali tuttavia il palato fino saprà riconoscere splendide intuizioni melodiche. "Im Wintervald" e "Uber den Baumen" aprono le danze all'insegna di una furia che potremmo definire darkthroniana, con riff magnetici e riuscite variazioni melodiche, accordi potenti a sottolineare i passaggi chiave, finali rancidi che si stemperano in un fosco arpeggiare elettrificato, proprio come accadeva in album come "Under a Funeral Moon" e "Transilvanian Hunger". Non mancheranno, lungo i centoventi minuti di misantropica dissertazione, passaggi che rimandano all'epicità "invernale" degli Immortal, in particolare quelli granitici di "Battles in the North". 

Dietro alla scorza dura di un sound caotico ed apparentemente monotono, ogni traccia mostra i suoi tratti distintivi, più o meno evidenti. Spiccano "Stimmen im Wald", aperta da cori ulveriani che anticipano l'ispirato tema melodico del brano, e "Le Reve Lucide", nella quale viene ripescato il violino, strumento utilizzato più volte in passato. Ma altre infinite sfumature si celano in un suono minimale che ottiene il massimo impiegando il minimo, grazie ad una costante ispirazione e ad uno straordinario equilibrio compositivo. 

Il modus operandi è in genere il seguente: le linee melodiche si ripetono in modo ossessivo, quasi ipnotico, con variazioni ritmiche innestate al momento giusto a conferire dinamismo alle composizioni; una volta stabilizzati i tempi, ecco che cambia la melodia, o si introduce un tappeto di tastiere, strategia che rende convincenti brani che rischierebbero invece di risultare ripetitivi. Insomma, "Im Wald"  si presta alle nostre orecchie come una tempesta di intensità variabile, suscitando la sensazione persistente di procedere faticosamente in una tormenta di neve: vento in faccia ad occluderci la visuale e gelo insopportabile ad intorpidirci le membra. Ma questa volta in un senso più metafisico che "corporale".

A spezzare il "flusso", ben cinque strumentali gettate quasi con disprezzo nel bel mezzo dell'infernale scaletta. Si va da brevi interludi di impronta ambientale (pervasi da sinistri arpeggi o fraseggi di tastiere) a parentesi di pura poesia black metal con chitarre elettriche lasciate a friggere per qualche minuto, fino agli imponenti undici minuti di "Flug", una cattedrale di suoni che sa alternare momenti di funerea quiete ad onerosi passaggi di una decadenza che sfiora il doom.  

E poi c'è "So Hallt es Wider" con i suoi quasi venti minuti di emozioni che salgono e scendono a concludere degnamente il viaggio: all'arpeggio iniziale subentra presto la chitarra elettrica e di seguito una batteria galoppante che picchierà incessante sfiorando la trance mistica. Vero momento topico sarà il "pausone" al tredicesimo minuto, dopo il quale il tutto ripartirà all'insegna di solenni tempi lenti ed intrecci di chitarra e tastiere di infinita mestizia. A venire in mente, ancora una volta, è la poetica burzumiana, quella misticheggiante dei minuti iniziali di “Det Som En Gang Var” (il brano). 

Ma non risulti fuorviante la citazione di tutti questi nomi noti nel valutare l’autenticità della proposta: i riferimenti sono chiari e palesi, ma Paysage d’Hiver sa procedere oltre, con una proposta, volendo, ancora più estrema e spinta a sondare, forse ancora più a fondo, l’animo umano, tramite l’esplorazione di mondi fantastici rigorosamente calati in mesti scenari invernali, vera prerogativa del progetto. 
 
Si è visto, lungo la nostra rassegna, come l’atmospheric black metal abbia saputo adottare diversi approcci e perseguire i fini espressivi più disparati. Quel che è certo è che Paysage d’Hiver sa offrire una delle interpretazioni più vivide e penetranti del black metal atmosferico, puntando poco su espedienti scenici ed effetti speciali, e sfruttando il solo potere suggestionante della musica. 

Preparatevi per tempo: l'inverno è alle porte!